Perché i russi sono così fissati con le recinzioni?

Andrej Nikerichev/Moskva Agency
Guardatevi intorno in Russia: reti, palizzate, inferriate… Ma quando e perché è nata questa idea del doversi sempre chiudere in gabbia?

Tutti hanno avuto questo incubo, prima o poi: sei in una stanza e non puoi uscirne. Sei bloccato. Le porte che avrebbero dovuto essere aperte sono chiuse. Dove speravi di trovare un passaggio c’è una recinzione invalicabile. O un vicolo cieco. Nel punto in cui il cartello verde EXIT si illumina sotto il soffitto, c’è una guardia tetra, che ti impedisce di andartene. Sei intrappolato. E non arrivi in tempo a qualcosa di importante: un aereo, il compleanno della mamma, un colloquio di lavoro, qualunque cosa… e ti risvegli madido di sudore. Sì, per fortuna, questo è solo un sogno… Aspetta… forse no! Se sei in Russia, allora questa potrebbe essere la realtà della tua vita!

Non ha infatti pari l’amore dei russi per le recinzioni, le staccionate, i tornelli, i punti di controllo e le porte chiuse. Forse è paragonabile solo alla loro passione per masticare e sputacchiare semi di girasole e indossare tute Adidas. Ma la sensazione è che comunque recinti e palizzate vincano a man bassa il confronto. Sono ovunque: cingono ospedali, scuole, aiuole nei cortili dei palazzi, negozi, parchi, chiese antiche, chiese nuove. Recintiamo qualsiasi proprietà come meglio possiamo, sempre e ovunque. E se per gli edifici ha ancora un senso, trovare la ragione degli steccati che corrono lungo fossati, terrapieni, paludi e pendii è più difficile. A volte più recinzioni si trovano una accanto all’altra.

A volte sono su diversi livelli. Noi adoriamo fare così!

E recintiamo anche post mortem.

Ma c’è una caratteristica delle recinzioni russe: hanno sempre una falla da qualche parte. Le recinzioni in Russia sono inaffidabili e raramente proteggono davvero dalle intrusioni. Allora perché mai sono così necessarie e onnipresenti?

Il monumento a un sogno: la privacy

Il fatto che siano tutt’altro che inespugnabili non significa che tutti qui si intrufolino nelle recinzioni altrui, ma sappiamo che, se necessario, non c’è recinzione che tenga. Quella riverenza per la proprietà privata, considerata sacra, che c’è, diciamo, negli Stati Uniti, non esiste in Russia. Va bene, siamo consapevoli che i recinti non possono compensare il fatto che la proprietà privata sia da noi un istituto mal sviluppato, ma di una cosa siamo sicuri: se qualcosa non è recintato, qualcuno ce lo porterà via! È una lezione imparata con il sudore ed il sangue. Secondo il giornalista Maksim Trudoljubov, autore del libro “Ljudi za zaborom. Chastnoe prostranstvo, vlast i sobstvennost Rossii” (“Le persone al di là del recinto. Spazio privato, potere e proprietà della Russia”), edito nel 2015, “le recinzioni qui sono amate perché erano e rimangono monumenti al sogno, mai realizzato fino in fondo, del diritto alla privacy.

Nell’Unione Sovietica c’era un primato del collettivo sul privato, e la memoria di questo tempo sembra essere geneticamente cucita addosso a diverse generazioni (almeno tre). A Mosca, ad esempio, la maggior parte delle persone viveva negli appartamenti comuni (le kommunalki; dove estranei erano costretti a condividere il bagno e la cucina). La privacy? Era solo un sogno nell’epoca sovietica.

Un tipico appartamento comunitario

Solo negli anni Novanta, dopo il crollo dell’Urss, recinzioni e barriere iniziarono ad apparire in città intorno ad edifici che ora si erano guadagnati lo status, prima bandito, di “proprietà privata”. All’inizio del muovo millennio, tutti si erano ormai costruiti un recinto. Inoltre, a volte  la recinzione appariva su un appezzamento di terreno vuoto PRIMA della casa. Quanti recinti in totale ci siano nel Paese non è noto, ma hanno provato (almeno a spanne) a contarli. Secondo gli esperti, sarebbero sufficienti a fare il giro all’equatore più di 50 volte. E questo riguarda solo i recinti che circondano case e dacie russe. Come avrete già capito, ne abbiamo molti, molti di più.

E la fiducia? L’economista Aleksandr Auzan ha inventato un nuovo modo di misurare il capitale sociale: sì, tramite le recinzioni. Tra le recinzioni e il livello di fiducia reciproca delle persone c’è una relazione inversamente proporzionale: più bassa è la fiducia, più alte sono le recinzioni.

Ero ancora una bambina quando aiutai mio padre a recintare una parte della nostra casa. Era una recinzione grigia e brutta, ma impenetrabile a ogni sguardo, fatta di lamiera ondulata, e siamo stati i primi ad averne una così sulla nostra via. Era l’inizio degli anni Duemila, quando ci fu il boom delle recinzioni. La nostra doveva servire, se ben ricordo le parole dei miei genitori, a far sì che nessuno vedesse cosa facevamo nel nostro giardino (era qualcosa contro l’“invidia dei vicini”). Ma cosa mai facevamo di tanto segreto nel nostro giardino? Niente! Giocavamo con il cane e mia madre ci stendeva il bucato. Questo recinto non poteva proteggerci da nessuno (io lo scavalcavo in un batter d’occhio), ma proteggeva la nostra privacy.

Alla fine, siamo stati derubati. Non eravamo ricchi, ma i vicini, e poi i ladri, ci credevano tali, perché avevamo una simile recinzione. Dopotutto, quelli che non hanno nulla perché mai dovrebbero proteggersi dietro una palizzata? I miei genitori probabilmente pensavano che una recinzione alta fosse uno status symbol; un indicatore del successo, come una grande macchina o una borsetta di lusso. In realtà, si rivelò essere un pezzo di metallo che ci separò dagli altri, generò ’“invidia” e privò degli orecchini mia madre: fu quella l’unica cosa di valore che i ladri trovarono in casa. Dopodiché mettemmo le inferriate alle finestre.

Un bisogno interiore

L’idea della necessità di una protezione assoluta rende la società introversa, chiusa e nervosa, eternamente impaurita per la sua incolumità. Crediamo ancora che le recinzioni rendano il sonno più sicuro e profondo, ma non è così. Questo fa nascere solo un desiderio ancora maggiore di rafforzare recinzioni, inferriate, porte blindate. Una volta in Russia, è difficile non notare quante guardie private ci siano in giro: sono ovunque; nei negozi di cartoleria, nei ristoranti, a ogni piano degli edifici a uso uffici (ed in più ci sono videocamere di sicurezza a ogni angolo!). E anche per numero di agenti di polizia, siamo in testa alle classifiche mondiali (insieme a Cina e Stati Uniti): ne abbiamo 746 mila!

Entrata della stazione Oktyabrskaya della metro di Mosca

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Ma le recinzioni sono un attributo del nostro benessere psicologico. Mettete un russo in uno spazio non recintato e aperto e sarà per lui un’esperienza traumatica (anche per questo, probabilmente, da noi non hanno ancora messo radici loft e e spazi aperti come concetto abitativo). Anche la redazione di Russia Beyond, che in realtà è un open space, ha delle mini pareti divisorie, vere e proprie “recinzioni” attorno a ciascuna scrivania, e una bella parete proprio nel mezzo della stanza.

La redazione di Russia Beyond e la nostra

E di quante porte pensate che abbiamo bisogno per sentirci al sicuro in un appartamento? “Per arrivare a casa sua, un russo deve passare in media cinque porte rinforzate o blindate: tre all’ingresso del palazzo, la quarta al piano e la quinta è la vera e propria porta dell’appartamento. Non abbiamo un tale livello di pericolo pubblico, non viviamo a Johannesburg, né in Colombia”, ha dichiarato Sergej Medvedev, professore di Scienze politiche alla Higher School of Economics di Mosca. Ci siamo persino convinti che la porta di ferro per l’appartamento sia un grande investimento.

Io non credo che siamo un Paese di folli e masochisti, che adora passare attraverso tutti questi ostacoli, invece di camminare liberamente. O che i labirinti delle recinzioni ci semplifichino la vita. Ad essere sinceri, anche noi comprendiamo nel profondo che senza di loro sarebbe meglio, ma non possiamo resistere a questo arcaico desiderio di metterci in un certo sistema e ordine, di regolare lo spazio, dividerlo in sezioni, e poi mettere un tipo nerboruto all’ingresso a controllare chi passa. Questo sentimento irrazionale è una reliquia del passato di uno stato totalitario e delle successive scosse di assestamento. E come ogni reliquia, un giorno arriverà anche la sua fine.


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