Una ragazza entra in un caffè e ordina qualcosa da mangiare e un tè. Prende il vassoio, va al suo tavolo e all’improvviso si rende conto che nella tasca della giacca ha una bottiglietta d’acqua. Non ricorda come e quando l’ha messa lì. Le è impossibile ricostruire se l’abbia pagata o no.
Nella vita della diciottenne Esteri (un nome fittizio che questa studentessa di Mosca che ha appena finito le superiori usa da tempo), a volte accadono cose inspiegabili: gli oggetti sono fuori posto o la password sul suo iPhone è inaspettatamente cambiata.
Esteri non riesce a ricordare il motivo dei cambiamenti inaspettati, ma sa con certezza la radice del problema: “Oltre alla mia personalità, ne ho altre tre”, dice.
Le braccia sottili di Esteri sono coperte di tatuaggi: dei tentacoli di polpo avvolgono i suoi polsi e, insieme a loro, la scritta “Do what thou wilt” (“Fa’ ciò che vuoi”). La ragazza dice che le era piaciuto sulla pelle di Oxxxymiron (il suo tatuaggio ripete esattamente uno di quelli del famoso rapper russo). Ha i capelli corti. A ogni rumore improvviso si gira allarmata e smette di parlare finché non torna il silenzio.
“È come un dialogo interiore, ma c’è una differenza. Se una persona cerca di simulare un dialogo tra sé e sé, penserà a delle domande e si darà delle risposte, ma conoscerà quelle risposte in anticipo. In caso di personalità multipla, invece, non sai quello che il tuo interlocutore interiore ti sta per dire”, spiega Esteri.
Si può cercare di immaginare che cosa provi una persona con un Disturbo dissociativo dell’identità (come questo fenomeno raro e controverso viene ufficialmente chiamato a livello medico), guardando il film “Split” del 2016 (regia di M. Night Shyamalan), dove un uomo rapisce tre studentesse, che conosceranno tutte e 23 le diverse personalità che convivono nel suo corpo prima di fare una brutta fine.
In contrasto con il film, solo tre personalità sono presenti nel corpo di Esteri, oltre alla sua principale. Tuttavia, la loro interazione con la personalità principale della ragazza non è così drammatica come nel film.
“È come se io rimanessi un passo indietro”, dice Esteri, “e alcuni di loro escono e fanno qualcosa al posto mio”.
La perdita totale di memoria si verifica raramente. “Dopo 15 minuti, ricordo i passaggi di ciò che è accaduto, come in un sogno”, dice.
Anche se ci sono voci nella sua testa, la ragazza le descrive non così drammaticamente come farebbero gli sceneggiatori dei blockbuster psico-thriller: “Non sento allucinazioni sonore, è come un monologo interiore… a parte la sensazione che non so di cosa si tratti e da dove provenga.”
Le tre personalità la cui presenza è percepita da Esteri hanno chiaramente definito le funzioni e le situazioni di cui sono responsabili. “Il primo si chiama Max. Lui mi difende. Nei momenti in cui mi sento male, lui spegne tutte le emozioni. Provo una calma assoluta. È come mettersi sulle sue spalle. Ti stai seduta e lui va e ti porta. Tu te ne stai a bighellonare nel corpo, e intanto lui fa qualcosa che va fatto, senza che tu debba preoccupartene”.
La seconda personalità si chiama Frankie. È responsabile della comunicazione con le altre persone. Esteri dà l’impressione di essere una ragazza introversa che è diffidente nei confronti delle persone e non ama fare nuove conoscenze. “Frankie ha alcune funzioni sociali: ama i vestiti, comunica con le persone, è educata. Svolge la funzione di comunicazione con le persone, perché semplicemente io non riesco a togliermi dagli impicci”, afferma Esteri.
La terza personalità è Charlie. Il modo in cui Esteri lo descrive è simile a quello che di solito si può chiamare la voce della ragione, con una sola differenza: “Posso parlare con lui e chiedergli di parlare con le altre personalità. Funziona.”
Questa confessione sembra così incredibile, come se la ragazza stessa stesse cercando di trovare una spiegazione accettabile per ciò che le accade. Allo stesso tempo, non si aspetta di ricevere aiuto dai medici.
La questione dei pazienti che dichiarano di soffrire di un disturbo in cui diverse personalità vivono nei loro corpi ha diviso la comunità medica in due campi.
“Non c’è consenso incondizionato sull’esistenza del Disturbo dissociativo dell’identità nella comunità medica”, dice Vladimir Motov, psichiatra, capo del dipartimento di Psichiatria generale del Collegio psiconeurologico №13 di Mosca.
Avendo svolto il tirocinio presso il Centro medico della George Washington University negli Stati Uniti, lo specialista russo lo sa per esperienza diretta: i principali scienziati americani non sono d’accordo sull’esistenza di pazienti con personalità multiple.
“Alla Georgetown University, un professore raccontò di aver visto con i suoi occhi come la personalità di una donna di 30 anni si trasformasse in quella di una bambina di due anni. Il suo comportamento mutava, e lei iniziava a parlare con voce lacrimosa”, racconta Motov. Ma durante il suo tirocinio negli Stati Uniti nel 2002, lo specialista russo non ha mai visto personalmente niente del genere.
L’esistenza di persone con personalità multiple catturò l’interesse del grande pubblico negli anni Cinquanta, quando apparvero nelle sale due film di successo tratti da libri in cui i personaggi principali avevano una scissione della personalità: “La donna delle tenebre” e “La donna dai tre volti”, entrambi nel 1957.
Dopo un po’ di tempo, gli scienziati si interessarono seriamente alla questione, e le persone che presumibilmente soffrivano di questo disturbo iniziarono a venire allo scoperto.
Nel 1985, il “New York Times” descrisse l’incredibile storia di John, un controllore di volo che aveva avuto una bizzarra idea al lavoro: aveva iniziato a parlare con i piloti con voce infantile e frasi incoerenti. A John venne diagnosticata una Sindrome da personalità multipla (come alla fine del secolo scorso veniva ancora chiamato il Disturbo dissociativo dell’identità, che ha questo nome solo dal 1994).
Ma non tutti gli specialisti sono stati in grado di convincersi della giustezza di tale diagnosi. Molti psichiatri si sono opposti apertamente alla diagnosi di questo disturbo nei pazienti.
Nonostante lo scetticismo di parte della comunità scientifica, la ricerca è andata avanti, alimentando l’interesse pubblico. Nel 1998, il dott. Bennett Brown del Rush-Presbyterian-St. Luke’s Medical Center di Chicago avviò un serio studio sui pazienti ai quali era stato diagnosticato un Disturbo dissociativo dell’identità. Lo scienziato intendeva scoprire come un cambiamento psicologico poteva cambiare le caratteristiche fisiche dei corpi dei pazienti. Ad esempio, perché la reazione allergica al succo d’arancia si manifesta differentemente in diverse sotto-personalità di un paziente.
Il dott. Brown non è stato in grado di completare la sua ricerca: esattamente un anno dopo, nel 1999, è stato privato della licenza per due anni e gli è stato vietato di occuparsi della scissione della personalità per altri cinque anni dopo la scadenza della sospensione di due anni. Al momento della decisione aveva 60 anni; non è mai tornato al lavoro.
In Russia, il Disturbo dissociativo dell’identità non viene diagnosticato. A causa della mancanza di casi clinici comprovati e di un esame superficiale del problema, i medici russi sono estremamente scettici sul fenomeno delle personalità multiple.
“In Russia, nell’ambiente psichiatrico professionale, è persino imbarazzante parlarne. Se chiedi a un serio psichiatra russo con esperienza del Disturbo dissociativo dell’identità, ti dirà che non sa di cosa stai parlando”, dice Motov.
Lo specialista spiega la differenza di approccio a questa diagnosi in Russia e negli Stati Uniti con diverse scuole di psichiatria seguite dai medici nei due continenti: “La comprensione di molte questioni psichiatriche in Russia è molto diversa dalla comprensione americana”.
Per Esteri, questo è diventato un problema. “Quando ho raccontato alla psichiatra, alla quale mi ero rivolta per combattere la depressione, quello che provavo (le personalità multiple), lei mi ha detto che era strano e che una diagnosi simile non viene fatta in Russia”.
La psichiatra, che aveva in cura Esteri, era scettica nei confronti delle storie della ragazza e le consigliò di trovarsi uno specialista che si occupasse professionalmente di questo problema. La ragazza non è però riuscita a trovare un tale medico, e, scoraggiatasi, ha smesso di cercarlo.
Esteri è seduta al tavolo del bar, beve l’acqua dalla bottiglietta e smette bruscamente di parlare ogni volta che si accende la macchina del caffè. Racconta dell’abuso sessuale di suo padre durante l’infanzia, delle voci che discutono nella sua mente, dei problemi con la memoria, degli improvvisi sbalzi d’umore, dei periodi di profonda depressione, di tre diverse personalità che presumibilmente “vivono” nella sua testa, con un tono così distaccato come se dicesse di dover andare a fare la spesa.
È chiaro che non le importa un fico secco se qualcuno crede o meno alla sua storia. Ma lei stessa ci crede?
“C’è chi arriva a credere che le sue sub-personalità siano individui separati. Io invece riesco ancora a capire che è qualcosa che nasce e vive solo nel mio cervello e non le ritengo certo persone a sé”, afferma Esteri.
I due amici più stretti di Esteri dicono di crederle, anche se non riescono a ricordare stranezze particolari associate all’apparizione delle sue sub-personalità. “A volte in una conversazione ha cambiato voce, è diventata più acuta o più maleducata”, dice Ilja Dinin, ex compagno di classe di Esteri, che ha avuto con lei anche una storia per qualche tempo. Qualcosa di particolarmente insolito non riesce a ricordarlo.
L’amica di scuola di Esteri, Marianna Zhigun, vuole crederle, ma si lascia il diritto di credere che l’amica possa aver fatto un errore nell’autodiagnosi. “Ne abbiamo discusso e ci crediamo solo a metà, perché il pensiero critico deve rimanere sempre attivo. Le credo, ma finora non ci sono prove chiare, ammetto la possibilità che potremmo sbagliare”, ha detto Zhigun.
Durante gli anni scolastici, Esteri e la sua amica amavano la psicologia, “eravamo interessate alle questioni della depressione, della schizofrenia, e degli attacchi di panico”. È possibile che Esteri si sia inventata diagnosi e sintomi per attirare l’attenzione dei suoi amici?
Questo non è escluso, ma anche una tale spiegazione non risolve il problema. Paradossalmente, anche se Esteri avesse pensato questa diagnosi, questo non esclude la presenza della sindrome.
La Johns Hopkins Psychiatry Guide, il manuale di psichiatria della Johns Hopkins University, afferma che oltre che per un trauma profondo nell’infanzia, il disturbo dissociativo dell’identità può verificarsi per altri motivi: “Alcune persone, senza intenzione cosciente, mettono in atto i comportamenti di solito osservati nel Disturbo dissociativo dell’identità, come suggestione, condizionamento o per una vulnerabilità soggiacente”. Se il paziente è sicuro di avere una dissociazione della personalità, questa convinzione può essere davvero la causa della manifestazione di segni di Disturbo dissociativo dell’identità.
Per quanto riguarda Esteri, non spera più di trovare una risposta. Non vuole comunicare con persone come lei, non cerca aiuto da specialisti e, in generale, ha imparato a sopportare le sue personalità multiple: “Se abbiamo un patto e nessuno lo viola, qual è il problema? A volte sono persino di aiuto: Frankie si occupa di cose di poco conto, che non sono interessanti per me. Max può proteggermi se succede qualcosa. E, quanto a Charlie… beh da lui vengono solo cose positive…”.
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