L’uomo che lavora nel negozio sotto il mio palazzo riassume abbastanza bene gli inverni di San Pietroburgo, ecco una traduzione libera di quello che dice: “Il tempo (imprecazione) qui è (imprecazione), (imprecazione).”
Non ha torto. La gente in America spesso mi dice “scommetto che faccia freddo lassù”. Ha ragione.
Ma il vero aspetto maligno dell’inverno “quassù” non ha nulla a che fare con il freddo; essere così a nord significa che, in questo periodo dell’anno, il sole raramente mostra la sua faccia, oppure non appare del tutto. In questi giorni siamo arrivati a ventisette giorni di fila senza sole.
Lo so dalle tacche sulla mia libreria.
L’inverno a San Pietroburgo è come precipitare in una tana da coniglio in stile Looney Tunes, dall’oscurità perpetua; non c’è né alto né basso, non si può vedere la fine o ricordare l’inizio, e le famose notti bianche ormai sembrano qualcosa di cui si è letto in un libro una volta, molto tempo fa.
Di fronte all’oscurità, i russi combattono con stile. Molto tempo fa, all’inizio di novembre, la mia ragazza mi disse: “Non vedo l’ora che arrivi l’inverno”.
Le ho chiesto, “perché?”
“Così potrò indossare le mie giacche e i maglioni alla moda”, ha detto.
Ho provato un brivido e le ho detto, “nessuno sarà in grado di vederle con questa oscurità e depressione!”
“Bah! Voi americani siete dei bambini”, ha detto. E così è finita la discussione.
E, ora che l’inverno si fa strada, guardo indietro in modo vago a quella conversazione, mentre avanzo, muto e cieco, attraverso le fredde vie buie della città. Ha ragione la mia ragazza: l’inverno offre ai russi l’opportunità di mostrare alcune tendenze della moda che non ho mai visto in America. Spesso nei film vediamo i russi indossare grandi colbacchi di pelliccia, pellicce, calze di pelliccia, grosse sciarpe di pelliccia e kalashnikov, ma la realtà è tutta un’altra storia.
In Russia sembra che più ci si allontana, per un verso o per l’altro, dai trent’anni, più ci si trasformi in un informe marshmallow multistrato. Il mio amico Ivan e io giochiamo ogni inverno a indovinare chi si sta avvicinando: è una vecchia signora o un bambino? È più difficile di quanto si possa immaginare.
I genitori infilano i loro bambini in completi che ricoprono tutto il corpo e li mandano fuori solo conciati in questo modo, che li ripara da ogni pericolo legato al clima; mentre le giacche imbottite delle anziane sembrano allungarsi e allungarsi, fino a coprirle tutte.
Inoltre, c’è una massiccia tendenza vintage che si è diffusa trai ventenni di San Pietroburgo che potrebbe far schiumare d’invidia gli hipster di Brooklyn. Una volta ho soggiornato in un Airbnb dove le gambe di una sedia erano state sostituite con due pezzi di compensato quasi-pari, il che mi ha fatto capire che i russi non buttano mai via niente. Ciò significa che qui potete trovare un sacco di vestiti usati di seconda mano. I negozi di seconda mano (che in russo si chiamano con la trascrizione fonetica dell’inglese: Секонд-хенд; “sekond-khend”) spuntano come funghi, e spesso si possono incontrare giovani in vecchie giacche militari, pesanti cappottoni fatti a mano e, se siete fortunati con un sacco di vecchi jeans.
Vale anche la pena notare che in inverno le donne russe si rivelano maghi artici in grado di sfidare le leggi della fisica. Il ghiaccio è ovunque. Io compro stivali, catene per gli stivali, cammino a passo di lumaca e finisco comunque per cadere, e da terra guardo in alto e vedo sfilare giovani ragazze vestite a festa, a passeggio con i tacchi alti. Questo è abbastanza comune, e sono sempre affascinato dal modo in cui le donne russe hanno imparato a camminare sulle strade sdrucciolevoli con i tacchi. Raramente cadono, a meno che non siano ubriache, perché purtroppo le leggi della fisica e la cara vecchia vodka non vanno troppo d’accordo.
E, infine, non sarebbe la Russia se non trovassi di tanto in tanto un muscoloso giovane uomo che passeggiava a -5 ºC con nient’altro indosso che una maglietta, spesso conducendo un orso polare dall’aspetto sconfitto al guinzaglio.
Benjamin Davis è un giornalista americano e autore di “The King of Fu” che vive a San Pietroburgo, in Russia, dove ha trascorso un anno lavorando con l’artista russo Nikita Klimov al loro progetto: Flash-365. Ora scrive principalmente racconti di realismo magico sulla cultura russa, disavventure autoironiche e avventure con le babushki, mentre condivide le sue imprese sul suo canale Telegram.
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