Il 24 luglio scorso, dalla piazza del Teatro (Teatralnaja Ploshchad) di Mosca un gruppo di coraggiosi è partito per la più faticosa di tutte le corse ciclistiche: la Red Bull Trans-Siberian Extreme edizione 2018. Gli atleti venivano da Spagna, Danimarca, Brasile, Germania, India e Russia. Tre dei corridori avevano già partecipato l’anno precedente.
Il traguardo successivo era a Nizhnij Novgorod, 420 chilometri a est della capitale russa.
Patricio Doucet, originario dell’Argentina, ma che partecipa con i colori della Spagna, dice che i primi quattro o cinque giorni sono i peggiori: “Quello è il momento in cui il corpo si riorganizza per adattarsi alle nuove sfide. Quindi è importante sopportare questi primi giorni, e dopo sarà più facile.”
Altri corridori, come il brasiliano Marcelo Florentino Soares e il danese Michael Knudsen sono tornati quest’anno per riprovarci, con Knudsen che non era riuscito a terminare la corsa l’anno scorso, e Soares che era uno dei favoriti, presente per la terza volta.
L’indiano Amit Samath si allena sull’Himalaya, quindi non teme le temperature estreme e le salite. “L’aspetto mentale è la componente più importante”, secondo lui. Ha anche aggiunto che bisognerebbe “risparmiare energie mentali e gambe per gli ultimi 4.000 chilometri”.
Il russo Vladimir Gusev ha partecipato alla dura esperienza per la prima volta, dicendo che voleva “sapere di cosa sono capace, se posso percorrere mille chilometri senza dormire e senza fermarmi”.
La seconda tappa ha portato i ciclisti più in profondità nella Russia, a Kazan, 389 km da Novgorod. Gli ultimi 100 chilometri circa, i ciclisti sono stati costretti a rallentare a causa di un massiccio ingorgo stradale. E anche se la partenza da Novgorod era stata pensata per essere completamente piana e con buona pavimentazione stradale, c’è stato un costante vento, il che rendeva davvero “difficile” andare avanti, secondo Knudsen.
Perm e Ekaterinburg erano i punti di arrivo della terza e della quarta tappa. Ekaterinburg si trova proprio vicino alla frontiera tra Europa e Asia.
La sesta tappa è stata incredibilmente snervante per Gusev, che ha sofferto un terribile dolore alla gamba e “ce l’ha fatta a malapena”. Tuttavia, questo non lo ha molto rallentato, e ha finito con solo sette secondi di ritardo da Pierre Bischoff, il cui tempo era di 19 ore, 41 minuti e 35 secondi. Il danese Knudsen ha finito a due ore da entrambi i corridori di testa.
Purtroppo, Gusev ha pagato pegno nella settima tappa, tormentato dalla sua gamba. Il tratto Omsk-Novosibirsk era più lungo: oltre 660 km. “Questo è un tipico infortunio per questa gara”, dice il suo medico di squadra. Il russo ha passato la notte in compagnia degli antidolorifici.
“È bellissimo, maestoso”, ha detto Doucet della dodicesima tappa, mentre i corridori hanno sfidato i 600 chilometri da Ulan-Udè a Chità, proprio ai confini della Cina. Ma anche quella distanza pazzesca non sembra nulla se comparata ai 1.300 km che i piloti hanno affrontato in seguito, con Doucet che si è ritirato e Gusev che è tornato in gara per un’altra tappa.
I corridori sono andati come matti, a volte dormendo una o due ore appena: un’impresa veramente erculea. Il tedesco Bischoff era praticamente da solo durante l’ultima delle 15 tappe, quella da Khabarovsk a Vladivostok, e ha battuto il record del russo Aleksej Schebelin dello scorso anno di quasi tre ore. E questo dopo aver conquistato l’argento nel 2017!
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