C’è un problema che affetta i residenti del Daghestan: la gente ha paura di fargli visita. Secondo quanto scrivono i giornali, sembra che dalla repubblica nata tra le montagne non arrivino buone notizie. È risaputo, infatti, che viaggiare in questi luoghi non sia del tutto sicuro. In realtà ci sono posti in Daghestan che, oltre a essere di eccezionale bellezza, sono anche sicuri, e meritano di essere visitati. Lo sapevate che lì è possibile visitare la gola più profonda del mondo, ammirare alcuni insediamenti umani tra i più antichi della Terra, godendo al contempo di un’incredibile accoglienza? Russia Beyond vi porta alla scoperta di questo fantastico territorio.
La storia del Daghestan
In realtà i “daghestani” come etnia non esistono. Nel territorio del Caucaso nord-orientale e nelle terre del Caspio sud-occidentale vivono più di 40 popoli, di cui 14 indigeni, per un totale di tre milioni di persone. Tutti questi popoli messi insieme si chiamano “daghestani”. Fra loro si contano gruppi di russi, avari, darghino-lak, samuro e altri.
Nell’antichità la Via della Seta passava anche attraverso il Daghestan. Il territorio occupava infatti le frontiere della Turchia con l’Iran, fino a quando i mongoli invasero questi territori.
“Siamo tutti stranieri (nomadi) del Caucaso. Ma c’è sempre stata una rivalità nel tentativo di possedere il titolo di nazione più autoctona”, racconta Muslim Alimirzaiev, fondatore del progetto “Il Caucaso sconosciuto”.
Sulle montagne ogni popolo ha il proprio idioma, leggende e tradizioni proprie. Nel Daghestan si crede che i “dargin” sappiano come fare soldi, mentre agli “avari” piace godersi la vita. “Ciò che ci ha sempre unito è stata la religione. Il 95% della popolazione infatti è musulmana”, dice Muslim Alimirzaiev.
L’arrivo in questa terra
Uscendo dall’aeroporto di Makhachkala, la prima cosa che si incontra è l’Arco di Trionfo, eretto per il 200esimo anniversario dell’unificazione del Daghestan con la Russia. Il Daghestan infatti si è unito all’Impero russo nel 1722, dopo l’invasione di Pietro il Grande. La città di Derbent si rivelò un luogo chiave nella regione del Caspio.
La base russa creata qui rimase attiva per 13 anni, prima di essere ceduta all’Iran come segno di amicizia.
“Quando viaggio all’estero, spesso la gente mi chiede chi sono. La mia risposta è: in primo luogo, sono russo. Poi, daghestano. Solo in terzo luogo sono “avaro”. Sono russo di nazionalità. Sono russo perché faccio parte di questo grande Paese”, dice Muslim.
I daghestani sono convinti che il Daghestan sia uno dei punti più meridionali della Russia. Inoltre si tratta di una delle regioni più sovvenzionate nel 2017: ricevette più di 52 miliardi di rubli, ovvero 900 milioni di dollari.
La popolazione non urbana comprende il 55% degli abitanti, anche se non è molta la gente che vive sulle montagne. Non è considerato un lavoro di prestigio fare il “chaban” (pastore), tuttavia questa resta una delle principali occupazioni del Paese.
La popolazione che non vive in città si concentra perlopiù nei villaggi, dove ci si guadagna da vivere attraverso l’artigianato. Nel villaggio di Kubachi, per esempio, vengono prodotti gioielli unici e il popolo di Rakhata è l’unico che produce burka in tutto il Paese.
La capitale, Makhachkala, è molto colorita. Qui imprese internazionali fanno concorrenza agli artigiani locali e alle boutique di abbigliamento islamico.
Oggi Muslim vive a Pyatigorsk, nella regione di Stravopol, a 1.500 chilometri da Mosca. E come tutti, resta impressionato dalle notizie provenienti dalla sua terra d’origine, relative alle operazioni anti-terrorismo che vengono spesso condotte lì.
Una realtà che non corrisponde a ciò che lui può osservare con i propri occhi quando torna a Makhachkala. La città è tranquilla, dice, e la sua natura ipnotizza.