Nel 1897, a Kherson, venne assolto il nobile Georgij Butmi de Kacman, che aveva ucciso il famoso prestatore di denaro Oizer Dimant con tre colpi di pistola. L’imputato era difeso da Nikolaj Karabchevskij, un noto avvocato dell’epoca, che con la sua arringa infuocata convinse la giuria che, in sostanza, la vittima era in realtà il colpevole… perché si trattava di uno strozzino, che aveva portato il debitore a ucciderlo, snervandolo con dei tassi usurai.
Ecco quanto era forte l’odio per chi prestava denaro in Russia! Eppure, senza credito, nessuna società può esistere. Ma come è apparso e si è sviluppato il sistema del credito in Russia?
Interessi peccaminosi
Il primo creditore dei russi fu la Chiesa ortodossa. Le regole dei santi apostoli proibivano ai religiosi di dare soldi a credito esigendo un interesse, pena l’allontanamento dalla Chiesa. Ma la vita reale dettò altre condizioni.
I monasteri e le chiese dell’antica Russia erano un luogo, rarissimo per quell’epoca, in cui non la facevano da padroni né i malviventi, né i ladri, né gli invasori tataro-mongoli: i khan mongoli avevano infatti garantito ai russi l’inviolabilità delle chiese, dei monasteri e dei loro possedimenti. Le terre e le tenute nobiliari potevano essere portate via (confiscate dai principi o conquistate dai nemici), le operazioni commerciali potevano saltare (a causa della guerra), e così la chiesa divenne l’unico posto sicuro dove era possibile accantonare le ricchezze. Inoltre, chiese e monasteri in muratura (in un’epoca in cui quasi tutte le costruzioni erano in legno) erano il posto giusto per conservare i gioielli, visti i frequenti incendi.
La maggior parte dei russi di tutte le classi sociali nei secoli XVI-XVII viveva in condizioni di povertà o di indigenza. Ai monasteri stessi, che a loro volta possedevano terre e contadini, questa miseria diffusa non portava niente di buono, e inoltre le persone si presentavano spesso con la richiesta di denaro a credito, dando come ipoteca le loro proprietà. Pertanto, nonostante i divieti delle autorità ecclesiastiche e dello zar stesso, i monasteri continuarono a fungere da istituti di credito.
Debito e interessi, il debitore poteva restituirli anche con il servizio militare o il lavoro manuale. Un’altra opzione era quella di ipotecare beni mobili e immobili: terra, oro, armi, gioielli, bestiame e abiti costosi.
Gli interessi erano altissimi, fino al 20% all’anno. La situazione era aggravata dalla religiosità dei contadini: credevano che senza pagare il debito sulla terra non si potesse entrare nel regno dei cieli. Se il debitore non pagava per lungo tempo, il creditore minacciava di distruggere la ricevuta del debito, e quindi si condannare il debitore alla dannazione eterna…
Nel XVII secolo, l’usura della Chiesa prese forma in un sistema finanziario a tutti gli effetti: esisteva un mercato secondario dei prestiti (i monasteri si acquistavano i debiti gli uni dagli altri), c’erano interessi sugli interessi, e i contadini che non pagavano il debito diventavano proprietà dei monasteri.
Stato e nobiltà: chi ha salvato chi?
Una situazione del genere non era redditizia per lo Stato: ipotecando le loro terre con anche i contadini compresi, i proprietari terrieri russi non potevano mettere abbastanza soldati a disposizione dell’esercito. Lo zar fu costretto a creare una guardia regolare, gli Strelizzi, e ad aumentare la distribuzione della terra ai proprietari. Tutto ciò minò l’economia del Paese. Alla fine del XVII secolo, la Chiesa possedeva quasi un terzo di tutte le terre coltivate in Russia.
La riforma attuata da Pietro il Grande (abolizione del Patriarcato e confisca delle terre della Chiesa a favore dello Stato), minò il dominio ecclesiastico sul mercato del credito. Tuttavia, era necessario un sistema creditizio e non c’erano ancora istituzioni apposite, proprio mentre il Paese spendeva montagne d’oro per lo sviluppo e per la guerra. Lo stesso Pietro prese denaro in Europa, ad esempio, dalla famiglia dei Medici, a cui, come cauzione, inviò magnifici tavoli di malachite degli Urali. In Russia, i più grandi proprietari terrieri e aristocratici, ad esempio Aleksandr Menshikov, l’uomo più ricco della Russia, diventarono usurai.
Nel 1733, Anna I di Russia ordinò alla Monetnaja Kontora, la prima organizzazione del credito statale russo, fondata nel 1729, di emettere crediti a un tasso dell’8% annuo: “Poiché molti dei nostri sudditi russi sono costretti a contrarre prestiti da estranei, a tassi insopportabile, e quindi arrivano alla povertà e alla rovina…” si legge nel decreto dell’imperatrice. Ma l’istituzione aveva pochi soldi in cassa e non tutti i cittadini russi potevano ricevere un prestito, ma solo gli aristocratici con gli agganci giusti.
E il resto delle persone? I mercanti preferivano prendere in prestito i soldi l’uno dall’altro, e i contadini quasi non partecipavano all’attività del mercato del credito: semplicemente non avevano denaro e, se proprio dovevano chiedere un prestito, di solito lo facevano solo al loro proprietario terriero. La prima banca contadina apparve solo verso il tramonto dell’Impero, nel 1882.
I proprietari terrieri avevano costantemente bisogno di denaro: ricevevano entrate dalle loro proprietà solo una volta all’anno e le loro spese erano alte. Si stima che un’intera famiglia contadina nel XVIII secolo potesse sopravvivere con 26,5 rubli all’anno. Allo stesso tempo, un funzionario a livello ministeriale spendeva solo di piccole uscite 40 rubli in un mese e mezzo e di solito perdeva almeno 500 rubli all’anno alle carte.
Nel 1754, con un decreto di Elisabetta di Russia furono fondate le prime vere banche del Paese, la Dvorjanskij (nobiliare), che concedeva prestiti del 6% in caso di ipoteca delle proprietà, e la Kupecheskij (mercantile), che prestava sulla base di ipoteca delle merci. Erano banche “vere” perché il loro capitale era costituito non solo da denaro statale, ma anche da depositi privati. Il capitale sociale di queste banche era ancora molto piccolo: rispettivamente 750 mila e 500 mila rubli. E questo in un Paese i cui gli aristocratici potevano fare un debito di 10-15 mila rubli in una sola sera al tavolo da gioco! La banca nobiliare fu creata per salvare la nobiltà dall’impoverimento: la nobiltà era necessaria allo Stato come forza lavoro per l’esercito e l’apparato.
Coscienti del fatto di essere indispensabili alla macchina statale, i nobili non restituivano molto spesso i prestiti. Essere morosi non era affatto considerato disonorevole, e nessuno poteva costringere i più alti aristocratici a pagare i debiti. I fratelli Orlov, il maggiore dei quali, Gregorij, era il favorito dell’imperatrice Caterina II, chiedevano alla monarca ogni settimana 5-10 mila rubli e li ricevevano, e per gli Orlov furono costruiti palazzi a spese del Tesoro di Stato. Anche l’uomo più ricco dell’Impero, Grigorij Potemkin, prese molti soldi in prestito e non li restituì: i suoi prestiti dal Tesoro potevano raggiungere 3,5 milioni di rubli alla volta!
Il banchiere Suterland, da cui Potemkin prese 700 mila rubli senza, naturalmente, restituirli, si suicidò. I nobili sapevano di essere al di sopra della legge e si abituarono a vivere a credito. Uno dei Golitsyn (una delle famiglie più ricche dell’Impero) scrisse che è meglio avere un debito solo molto grande che tanti debiti piccoli. Questo è esattamente ciò che le banche permettevano di fare: prendere un prestito enorme, con il quale venivano saldati tutti i debiti verso i privati, mentre la banca stessa rimaneva l’unico creditore.
Su queste basi, i primi istituti di credito in Russia erano avviati al crac. Nel 1782, la Kupecheskij Bank fu fusa con la Dvorjanskij, che nel 1786 fu liquidata, mentre venne aperta la Gosudarstvennyj Zaemnyj bank (”Banca di credito statale’). Le banche organizzate dallo Stato in Russia cambiarono nome e funzione un sacco di volte, ma la situazione rimase sempre la stessa.
A spese dello zar
All’inizio del XIX secolo, il servizio di un nobile nell’esercito era un affare molto costoso. Per servire nella Guardia imperiale, bisognava comprare: un’uniforme da guardia ricamata in oro, un minimo di un paio di cavalli da combattimento, tutte le armi: sciabole, pistole, pugnali; si doveva avere un buon appartamento e un equipaggio decente. In caso di scarso decoro o cattive maniere si possibile ricevere un rimprovero ed essere espulsi dal reggimento. Solo quelli a cui i genitori inviavano denaro extra rispetto ai loro stipendi potevano prestare servizio in tali reggimenti. I nobili spendevano e spandevano: per la dote di una figlia potevano sborsare 10-15 mila rubli; una cifra con cui la stessa famiglia ricca viveva per un anno. Mentre lo stipendio di un colonnello era di 1.200 rubli all’anno.
Per sostenere la nobiltà, le banche statali abbassarono i loro tassi di prestito al 4-5% all’anno. In caso di mancato pagamento, le proprietà impegnate non venivano portate via, ma prese “in curatela”. In ogni caso, non si riuscì a infondere nei russi un atteggiamento sano nei confronti del credito. Inoltre, molti nobili percepivano il loro debito non come un debito verso lo Stato, ma personalmente verso lo zar, che servivano. E in questa logica, il debito poteva anche non essere rimborsato, dopotutto, comunque, il nobile rimaneva al servizio dello Stato. Solo dal 1763 i nobili non furono più obbligati al servizio militare, e potevano vivere nelle loro tenute. E così fecero, solo che le proprietà furono ipotecate e re-ipotecate: nel 1850 circa due terzi delle proprietà con servi erano ipotecate.
Nel XIX secolo, lo Stato continuò a organizzare istituti di credito di vario tipo: nel 1840 vennero create delle casse di risparmio ausiliarie per i contadini. Nel 1860, fu fondata la Banca di Stato dell’Impero russo, con un capitale sociale di 15 milioni di rubli. È significativo che a dirigere l’istituto fu messo uno straniero, il barone Aleksandr von Stieglitz. Era figlio dell’ebreo tedesco Ludwig Stieglitz, il banchiere più affidabile della Russia della prima metà del XIX secolo.
La funzione principale della Banca di Stato era di gestire il credito dello Stato stesso, delle banche commerciali fallite e, naturalmente, dei nobili. Inizialmente, la Banca forniva credito principalmente al Tesoro: entro il 1879, il debito del Tesoro nei confronti della Banca di Stato ammontava a 478,9 milioni di rubli, con entrate di bilancio di 628 milioni. Il rimborso di questo debito, iniziato nel 1881, terminò solo nel 1901.
Dopo l’abolizione della servitù della gleba, nel 1861, tutti i nobili russi divennero inaspettatamente possessori di titoli; certificati del riscatto della terra da parte dei contadini. Ma i nobili non riuscirono a diventare attori del mercato azionario. Si limitavano a incassare le cedole e spesso andavano a spendere i soldi all’estero.
Tuttavia, dopo la riforma della servitù della gleba, in Russia, si ebbe un boom degli istituti di credito. Solo per il periodo dal 1864 al 1872 furono costituite 33 banche per azioni e 53 istituti di mutuo credito. Furono create grandi banche fondiarie, istituti di prestito ipotecario, in cui i nobili continuavano a ipotecare le terre che erano rimaste loro, e la durata dei prestiti era ovviamente enorme, più di 50 anni, mentre i tassi si erano abbassati: nel 1897 ammontavano al 3,5%. La storia del sistema creditizio russo nella seconda metà del XIX secolo fu complicata, ma la sua funzione era sempre la stessa: di fatto le banche russe per tutta la la loro storia si limitarono a dare crediti allo Stato e alla nobiltà. Così, nel 1917, i prestiti presi dallo Stato per condurre la guerra rappresentavano oltre il 90% del saldo della Banca di Stato.
Sebbene la Banca di Stato della Russia fosse uno dei maggiori istituti di credito in Europa (per fatturato), non diventò mai finanziariamente efficiente. La ragione principale del fallimento del sistema creditizio russo rimase la disonestà finanziaria dei nobili russi, che erano essi stessi dipendenti pubblici e militari, e votati più agli interessi finanziari personali che a quelli dello Stato.
Russi in fibrillazione per i crediti al consumo