Mikhail Kalatozov (1903-1973) iniziò la sua carriera di regista negli anni Venti e Trenta con film d’avanguardia, che furono criticati per il “formalismo”: si riteneva cioè che amasse più la forma che il contenuto. Questa accusa politicamente pericolosa fu prima o poi rivolta a tutti i registi interessanti dell’epoca, compresi Sergej Ejzenshtejn e Dziga Vertov. Il tempo della sperimentazione era finito e ora i registi dovevano creare la “Hollywood sovietica”, un cinema che interessasse il grande pubblico. Kalatozov andò a studiare proprio a Hollywood: negli anni Quaranta visse negli Stati Uniti per diversi anni, stabilendo legami commerciali tra i cinema dei due Paesi.
A partire dagli anni Cinquanta, il regista tornò a girare attivamente. Ogni due anni usciva un suo film, ognuno dei quali era più audace del precedente. È in questi anni che trova il suo principale collaboratore, il virtuoso direttore della fotografia Sergej Urushevskij. Tra le loro opere che realizzano assieme ci sono i due film più famosi di Kalatozov. “Quando volano le cicogne”, un melodramma sulla Seconda Guerra Mondiale che nel 1958 vinse la Palma d’oro a Cannes, prima e ultima volta per un film sovietico. E “Soy Cuba” (“Я — Куба”), un poema cinematografico sulla Rivoluzione cubana, che diventerà il penultimo film del regista. Nel 1969, Kalatozov gira una grande coproduzione sovietico-italiana, “La tenda rossa”, con Sean Connery nei panni dell’esploratore Roald Amundsen, Claudia Cardinale, Massimo Girotti e altri attori italiani. Quindi lascia il cinema.
Per riassumere brevemente la trama,“Soy Cuba” a prima vista potrebbe sembrare il classico film antiamericano del cinema sovietico. In quattro episodi, viene raccontata la storia della nascita del movimento rivoluzionario sull’isola. Nel primo capitolo, vediamo gli americani oziosi che hanno trasformato Cuba in un parco di divertimenti per se stessi. I cubani vivono in baraccopoli e la povertà spinge le ragazze a diventare prostitute. Nella seconda parte, un vecchio contadino disperato brucia la sua casa e la sua piantagione di canna da zucchero insieme ai suoi raccolti quando viene a sapere che la sua terra sta per essere portata via da una società americana. Nel terzo e quarto capitolo, la situazione sull’isola si scalda: gli scontri di strada si intensificano fino a provocare un’ondata di indignazione popolare che fa cadere il regime filoamericano di Fulgencio Batista.
Ma la meravigliosa forma visiva – squisite immagini in bianco e nero, angolazioni incredibili – trasforma la propaganda in una poema sull’unità tra uomo e natura. Il cielo, le canne al vento, le capanne fatiscenti e i grattacieli bianchi come la neve diventano protagonisti del film al pari delle persone. Per essere precisi, il protagonista del film è uno solo, e lo dice già il titolo. È Cuba stessa, e tra le novelle sentiamo la sua voce (femminile) che legge monologhi fuori campo. Per esempio questo: “Per voi [americani] io sono casinò, bar, alberghi, bordelli. Ma io sono anche le mani di questi bambini e di questi anziani”.
Per ottenere un’immersione emotiva completa per lo spettatore, gli operatori hanno girato tutto con camera a mano. La macchina da presa è insolitamente agile, si muove in modo fluido e come se infrangesse tutte le leggi della fisica: vola verso l’alto, poi si immerge dolcemente verso il basso, addirittura si tuffa nell’acqua. In una bobina entravano solo cinque minuti di riprese e gli autori hanno sfruttato al massimo questo tempo a disposizione, spesso girando lunghe scene in un unico piano sequenza; senza montaggio. Ogni ripresa era preparata perfettamente e comportava l’uso di vari dispositivi tecnici come un paranco, un cavo di sospensione (a cui la macchina fotografica era attaccata con un magnete), una varietà di filtri e così via.
Nonostante sia passato più di mezzo secolo, “Soy Cuba” stupisce ancora oggi. È bello e ipnotizzante.
Uno degli sceneggiatori era Evgenij Evtushenko, il più famoso poeta sovietico dell’epoca del disgelo di Khrushchev, beniamino del pubblico filosovietico ben oltre i confini del Paese. Il regista comunista italiano Pier Paolo Pasolini prese in considerazione Evtushenko per il ruolo di Cristo nel suo film “Il Vangelo secondo Matteo”. Il poeta ha vissuto a Cuba per diversi anni, scrivendo da lì reportage, poesie e poemi. Ha persino incontrato personalmente Fidel Castro e Che Guevara.
Uno degli artisti di “Soy Cuba” è il pittore cubano René Portocarrero, che nei suoi dipinti combinava neobarocco e surrealismo. Proprio grazie a lui, l’inquietante ed elegante scena del ballo nel primo episodio sembra oggi un frammento di un film inedito di David Lynch. Uno dei migliori caratteristi francesi, Jean Bouise, che ha lavorato con Jean-Jacques Annaud e Luc Besson, ha interpretato, sempre nel primo episodio, un americano; un collezionista di croci.
L’uscita di “Soy Cuba” nel 1964 passò inosservata. Il film è stato riscoperto solo negli anni Novanta, soprattutto grazie a Martin Scorsese e a Francis Ford Coppola.
I risultati al botteghino furono miseri, sia a Cuba che in Urss. Evtushenko, uno dei creatori, attribuì l’insuccesso alla delusione dei cubani per la Revolución: il film romantico era in diretta dissonanza con la triste vita quotidiana della gente comune (il governo fu costretto a introdurre le tessere annonarie per evitare la fame). Anche gli spettatori sovietici mostrarono scarso interesse. Da un lato, il film era troppo all’avanguardia, dall’altro, i critici lo consideravano mediocre. “Urushevskij non fa atro le sue conclusioni del precedente capolavoro ‘Quando volano le cicogne’”, scrive in particolare la rivista “L’arte del cinema”. Quasi subito dopo l’uscita, il film fu dimenticato.
La vera gloria per la pellicola arrivò quasi trent’anni dopo. Grazie agli sforzi degli appassionati, il film fu ritrovato e mostrato per la prima volta al pubblico americano nel 1992 al Telluride Film Festival, in Colorado, e fece scalpore. Una seconda proiezione si tenne l’anno successivo al San Francisco Film Festival. Una società americana acquistò i diritti e con il sostegno di due fan del film, i registi Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, lo restaurò e lo distribuì nelle sale e su cassetta. Il regista brasiliano Vicente Ferras ha realizzato il documentario “Soy Cuba - Il mammuth siberiano” su come è stato creato questo capolavoro dimenticato.
Una delle scene più famose del film – quando la telecamera gira intorno a un concorso di bellezza e si tuffa in piscina – è stata riprodotta tale e quale in “Boogie Nights - L’altra Hollywood” (1997) di Paul Thomas Anderson e nella serie animata “BoJack Horseman” (2014-2020). La scena con la cantante in un ristorante è stata riproposta in un episodio della serie tv “La fantastica signora Maisel” (2017-2023). Per stessa ammissione di Scorsese, uno dei suoi migliori film, Casinò (1995), è stato realizzato sotto la forte influenza del film sovietico-cubano. E una sua frase di quel periodo è restata celebre: “‘Soy Cuba’, realizzato negli anni Sessanta, ci fa vergognare di tutto ciò che giriamo oggi", disse, riferendosi a quanto fosse moderna quell’opera.
“Soy Cuba” si trova spesso in varie liste dei migliori film della storia del cinema. Ad esempio, il capolavoro di Kalatozov e Urushevskij si colloca all’825° posto nella classifica dei “1000 film da vedere prima di morire” del The Guardian, al 688° posto nella Top 1000 del New York Times e nella Top 500 della rivista Empire al 112° posto, sopra big assoluti come “Il silenzio degli innocenti” e “Seven”.
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