Come “La bella addormentata” fu rappresentata per la prima volta in Europa

Cultura
ANNA GALAJDA
Sergej Djagilev, con i suoi “Balletti russi” era il simbolo dell’impresario e dell’artista proiettato verso il futuro, che cerca costantemente nuove idee e nuove forme di espressione scenica. Eppure volle presentare a Londra un grande classico con le coreografie ottocentesche di Marius Petipa. Come reagì il pubblico?

L’impresario russo Sergej Djagilev (1872-1929) non pensava che il progetto che aveva ideato per Parigi e Londra avrebbe avuto una sorte serena. Nel 1908, quando stava organizzando la prima delle sue “Stagioni russe”, voleva includere nel programma uno dei balletti di Marius Petipa (1818-1910), un classico del balletto pietroburghese. In questo, però, non fu favorito dalle circostanze: il pubblico parigino già vedeva il balletto russo come un balletto d’avanguardia, carico di nuovi significati di attualità e di nuove, coraggiose, forme.

Tuttavia, Djagilev non rinunciò all’intento di presentare al mondo un balletto russo classico. Per farlo, però, dovette attendere più di dieci anni. Quando nel 1921, a forza delle circostanze, la sua compagnia rimase senza coreografo, l’impresario capì che era il momento. La sua scelta cadde su “La bella addormentata” di Pjotr Chajkovskij.

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“Giornata indimenticabile! Per tre ore ho vissuto un sogno d’oro, inebriato dalle fate e dalle principesse, dai lussuosi palazzi luccicanti d’oro, dal fascino della fiaba… Tutta la mia essenza sembrava assecondare questi ritmi, questo radioso e fresco flusso di bellissime melodie che già sembravano vicine…”, così ricordava l’inizio del suo lavoro lo scenografo Léon Bakst (1866-1924), chiamato da Djagilev per questo progetto.

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Per Djagilev, lo scenografo era in pratica un coautore delle coreografie. Già in quel momento Djagilev si immaginava questo balletto in tre atti, con prologo ed apoteosi, in tutto il suo splendore, con 5 cambi di scene e oltre trecento costumi. Il regista della compagnia, Sergej Grigorjev, ha ricordato in seguito che l’impresario era talmente entusiasta che lavorava con la stessa energia con cui aveva organizzato la prima edizione delle sue Stagioni, solo che questa volta la compagnia doveva esibirsi non di fronte al pubblico parigino, ma a Londra, dove Djagilev era riuscito a ottenere un finanziamento di 20.000 sterline, che all’epoca costituivano una cifra astronomica. 

La situazione sembrava favorire l’impresario russo. In quel momento a Parigi, dove si trovava la sede dei Balletti russi, soggiornava Nikolaj Sergeev, regista del teatro Mariinskij che conosceva il balletto nei minimi particolari ed era riuscito a portare all’estero tutte le stenografie. Djagilev lo invitò come regista. Per la parte della principessa Aurora l’impresario scritturò due stelle del Balletto imperiale: Ljubov Egorova e Vera Trefilova. Ma non solo. Riuscì a far venire dalla Russia anche Olga Spesivtseva, la nuova superstar della danza. 

Sebbene Djagilev credesse che “La bella addormentata” fosse un balletto perfetto, decise di apportare delle modifiche. Alcuni passaggi di Chajkovskij furono riorchestrati da Igor Stravinskij e messi in scena da Bronislava Nizhinskaja.

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La prima del balletto ebbe un grande successo, ma non fu il trionfo sperato da Djagilev. Nei dieci anni precedenti, la compagnia dei Balletti russi aveva coltivato con cura la reputazione di intransigente promotore della nuova arte, pertanto il pubblico abituale di Djagilev – l’élite intellettuale, imprenditoriale e artistica – rimase perplesso dalla semplicità e dalla serietà con cui fu presentata una vecchia fiaba, dalla mancanza di ironia, dai divertissement e dallo sfarzo che sembrava fine a sé stesso. 

Ciò nonostante, per tre mesi, “La bella addormentata” venne rappresentata a Londra ogni giorno e persino otto volte a settimana. Per il balletto l’affluenza era ai livelli record. Djagilev, però, aveva sperato che il balletto sarebbe stato rappresentato per almeno sei mesi. Per evitare l’arresto per inadempimento contrattuale, l’impresario fuggì da Londra, mentre gli amministratori della compagnia dovettero svendere le scene e i costumi.

Così fu perso tutto il materiale di scena della prima rappresentazione europea del balletto classico di Marius Petipa. Djagilev, tuttavia, era riuscito a vedere nelle vecchie coreografie un potenziale fuori dal tempo. Molte delle persone che avevano visto il balletto lo ricordavano come un sogno magico e un balletto ideale che, per decenni in avanti, aprì la strada a nuove versioni coreografiche e a nuove correnti artistiche, tanto che  quando, dal 2014 in poi, prima all’American Ballet Theatre e poi al Teatro alla Scala, Aleksej Ratmanskij ha riproposto al mondo le coreografie originali di Marius Petipa, per le scene e i costumi sono stati usati i disegni originali di Léon Bakst, riaccendendo l’interesse del pubblico per la versione del 1921.

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