“Назови мне такую обитель,
Я такого угла не видал,
Где бы сеятель твой и хранитель,
Где бы русский мужик не стонал?”
“Nominami quella dimora,
Non ho mai visto un angolo simile,
Dove il seminatore e il custode non si lamenta,
Dove il mugik russo non si lamenta…”
Questi sono versi della poesia di Nikolaj Nekrasov (1821-1878) “Размышления у парадного подъезда” (“Razmyshlenija u paradnogo podezda”; “Riflessioni alla porta d’ingresso”). Molto prima della Rivoluzione bolscevica del 1917, a metà del XIX secolo il poeta fu uno dei primi a preoccuparsi della situazione dei contadini. Capì che l’intera Russia “poggia” sui contadini, e vedendo la loro sofferenza, si rammaricava e scrisse molto sulla loro difficile sorte.
Da poeta romantico a editore progressista
Nella critica letteraria sovietica, era consuetudine affermare che Nekrasov aderiva a visioni democratiche rivoluzionarie. Fin dall’infanzia, aveva visto come suo padre, proprietario terriero, trattava i servi in modo crudele, soffrendo per quell’ingiustizia sociale.
I primi esperimenti poetici di Nekrasov avvennero nell’adolescenza. Suo padre aveva previsto per lui una carriera militare, ma il giovane disobbedì e andò a San Pietroburgo, dove divenne un libero studente della Facoltà di filologia della locale università. Il genitore arrabbiato lo privò del sostegno finanziario, e Nekrasov provò sulla sua pelle tutte le difficoltà della vita in ristrettezze econonomiche. Svolse ogni tipo di lavoro: fu insegnante, editore, e riuscì a scrivere la propria poesia e prosa. All’età di 19 anni pubblicò la sua prima raccolta di poesie, “Мечты и звуки” (“Mechtý i zvuki”; “Sogni e suoni”), che fu ben accolta dalla critica.
Negli anni Quaranta dell’Ottocento, ottenne un lavoro in una delle riviste più significative dell’epoca, “Otechestvennye Zapiski” (solitamente tradotto in italiano come “Annali patrii”), dove conobbe l’autorevole critico Vissarion Belinskij. Con il suo aiuto, Nekrasov fece amicizia con molti scrittori russi e iniziò un’attività editoriale di successo. Chiedeva agli scrittori di dargli un racconto o una novella e compilava raccolte di questi manoscritti gratuiti, dove sono apparse anche le opere di Fjodor Dostoevskij, Ivan Turgenev e Aleksandr Herzen.
Successivamente, Nekrasov ruppe con Belinskij e divenne editore di un’altra importante rivista, il “Sovremennik” (“Il Contemporaneo”), fondata da Aleksandr Pushkin. Grazie al suo lavoro qui furono scoperti diversi talenti letterari e la fama di Tolstoj e Dostoevskij iniziò proprio con il “Sovremennik”.
Poeta e cittadino impegnato
Nekrasov dette sempre la preferenza alla letteratura “impegnata”, che solleva questioni socialmente significative. “Sveglia! Distruggi i vizi con coraggio…”, “Puoi anche non essere un poeta, / ma devi essere un cittadino”, con queste righe spiegò il significato della poesia nel componimento “Poeta e cittadino” (“Поэт и гражданин”; “Poet i grazhdanin”).
Lui stesso non cambiò mai le sue convinzioni: nel suo lavoro prestò sempre molta attenzione alla sofferenza del popolo russo. “Il popolo russo ha sopportato abbastanza”, scrive nella poesia “Ferrovia” (“Железная дорога”; “Zheleznaja doroga”), “sopporterà tutto ciò che il Signore manda!”.
Oltre che dalla sofferenza del popolo, il poeta era toccato anche dalla terribile condizione delle donne. Suo padre trattava male sua madre e Nekrasov fin dall’infanzia si rese conto della difficile sorte della donna russa. Nessuno degli autori russi ha toccato questo tema più di lui.
Combinò le sue attenzioni alla vita dei contadini con il tema delle donne oppresse nel poema del 1871 “Русские женщины” (“Russkie zhenshchiny”; “Le donne russe”). In quest’opera descrive le storie di due mogli di Decabristi, che seguono da sole i mariti prigionieri attraverso il Paese fino alla Siberia e vedono immagini terribili di un “Paese oppresso”, in cui c’è “un severo padrone e un miserabile contadino laborioso con la testa china… E come il primo è abituato a comandare, così il secondo a essere schiavo!”.
L’importanza dell’impegno civile in poesia fu successivamente adottato da altri poeti: apparve un’intera “scuola Nekrasov”, di coloro che si opponevano ai poeti della “pura arte”. Si ritiene che anche tra i poeti dell’inizio del XX secolo fossero visibili i motivi e il linguaggio di Nekrasov, in particolare in Aleksandr Blok. Anche i bolscevichi apprezzarono molto Nekrasov: Lenin lo definì “un vecchio democratico russo” e usò spesso sue citazioni nelle epigrafi dei suoi articoli.
Nekrasov dedicò l’ultimo decennio della sua vita alla sua opera principale: il poema “Chi vive bene in Russia?” (a volte tradotto in italiano anche come “Chi è felice in Russia?”; “Кому на Руси жить хорошо?”; “Komú na Rusí zhit khoroshó?”). Lo scrisse dal 1865 fino alla sua morte, nel 1878, e lo pubblicò capitolo per capitolo sul “Sovremennik” e su “Otechestvennye Zapiski”, avendo vari problemi con la censura.
Alla ricerca della felicità
Quanto alla forma letteraria, “Chi vive bene in Russia?” ricorda un’antica epopea con le peregrinazioni degli eroi, con molti elementi favolosi e folcloristici. Nekrasov ha cercato di parlare a nome dei contadini e per la prima volta ha introdotto il linguaggio colloquiale del volgo nella letteratura russa.
Nella poesia, ha anche riflettuto le sue opinioni sull’abolizione della servitù della gleba, con la riforma del 1861, che ha solo peggiorato la situazione dei contadini, lasciandoli senza terra e alcuna garanzia, e ha anche portato al declino delle proprietà terriere e dei villaggi in generale: “La grande catena si è spezzata, e spezzandosi colpì, con un capo il padrone e con l’altro il contadino.”
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Nel poema, sette uomini di diversi villaggi discutono furiosamente su chi viva bene in Russia. Ognuno ha la propria tesi: chi sostiene che a vivere felicemente siano i proprietari terrieri, chi i funzionari, qualcun altro i preti, i mercanti, i boiardi e, infine, lo zar. Decidono di viaggiare attraverso il Paese per trovare persone che vivono felici. Ma cos’è questa felicità e come possono trovarla? La fine del poema sorprenderà il lettore.
Le opinioni dei contemporanei su quest’opera erano divise. Alcuni la elogiarono per l’ampiezza della visione della Russia, per la profondità di comprensione della vita e la gravità dei problemi sollevati, rispetto a “Le anime morte” di Nikolaj Gogol. Altri, al contrario, criticarono la natura irrealistica di quanto mostrato. Inoltre, i critici non capivano perché criticare il sistema della servitù della gleba e allo stesso tempo lamentarsi della sua scomparsa.
Era proprio la lotta contro la servitù della gleba che piaceva molto ai bolscevichi. I critici letterari sovietici apprezzarono Nekrasov per aver cercato di avvicinarsi al popolo, e aver usato la lingua popolare, nonché per la simpatia mostrata per gli strati sociali oppressi. In epoca sovietica furono curate le opere complete di Nekrasov e le sue poesie furono incluse nel programma scolastico. Il poeta viene studiato anche ai nostri tempi a scuola, e il poema “Chi vive bene in Russia?” è spesso fonte di citazioni e aforismi. Nel 2015, il famoso regista Kirill Serebrennikov (1969-) ha messo in scena uno spettacolo basato sul poema, che ha mostrato che questo lavoro è senza tempo, e che riflette una certa essenza profonda del popolo russo.
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