Cinque film russi per capire il tramonto dell’Urss negli anni Ottanta e l’era della Perestrojka

Vasily Pichul/Gorky Film Studio,1988
Certe pellicole sono come polaroid vintage, che hanno catturato alla perfezione il momento, e hanno un valore non solo artistico ma anche storico

1. “Sindrome astenica” (1989) di Kira Muratova

Questo inquietante film (titolo originale russo: “Астенический синдром”; “Astenícheskij sindróm”), girato in parte in bianco e nero e in parte a colori, è per molti versi il riassunto di Kira Muratova (1934-2018) dell’intera era sovietica. Punta i riflettori sulle persone più vulnerabili, quelle che si ritrovano a essere superflue. Nessuno deve preoccuparsi di loro. Sono soli, senza assistenza e abbandonati da tutti, come il vecchio servitore Firs ne “Il giardino dei ciliegi” di Anton Chekhov. In una scena del film, un uomo si addormenta sul treno della metropolitana, senza che nessuno cerchi di scoprire se è vivo o morto. Apparentemente, la società sovietica ha avuto un blocco emotivo nei suoi ultimi anni. La messaggio di fondo è che a nessuno importa di nessuno e questa totale indifferenza è una tendenza pericolosa. È un film ben scritto e recitato in modo brillante, in cui il linguaggio volgare ha risuonato per la prima volta sul grande schermo, come un’altra prova che le persone avevano un disperato bisogno della tanto attesa libertà espressiva. Non a caso il dramma prende il titolo da una condizione fisica che provoca un totale esaurimento psicologico.

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2. “Pentimento” (1984) di Tengiz Abuladze

Il film (titolo originale russo: “Покаяние”; “Pokajánie”) è stato “tenuto sullo scaffale” dalla censura per un po’ di anni ed è arrivato sul grande schermo solo alla fine degli anni Ottanta. Questo dramma ha immediatamente attirato l’attenzione e ha vinto numerosi premi internazionali, tra cui il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1987. I censori sovietici gli misero il bastone fra le ruote per motivi ideologici. Il capolavoro del georgiano Tengiz Abuladze (1924-1994) era molto in anticipo sui tempi. Alcuni critici cinematografici ritengono che il film abbia effettivamente lanciato l’era della Perestrojka nel cinema sovietico. Rifletteva il punto di svolta nello stato della società. Abuladze ha utilizzato attivamente il simbolismo cristiano nel suo dramma, raccontando la storia di un dittatorello locale, un certo Varlam Aravidze borgomastro georgiano, il cui aspetto e comportamento ricordano Stalin, Adolf Hitler e Benito Mussolini, e le cui vittime sono paragonate a Cristo nelle loro sofferenze mortali.

Sebbene il dramma filosofico sia ambientato in un momento incerto, rimandava molto agli anni Ottanta, un’era ingenua ed egoista, quando molti credevano che se tutti avessero detto addio all’unanimità al passato, una nuova vita felice sarebbe iniziata immediatamente. Come si sbagliavano! Ad attenderli c’erano gli anni Novanta! Ma il finale del film è aperto e consente a tutti di imparare la lezione dagli errori del passato.

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3. “Iglá” (1988) di Rashid Nugmanov

Questo film (“Игла”, traducibile come “L’ago”) riflette l’umore di coloro che sono sprofondati in un oceano di incertezza e disperazione durante la Perestrojka di Gorbachev. Nel dramma del kazako Rashid Nugmanov (1954-) prendono vita il declino dei principi morali fondamentali, i dubbi sul futuro del Paese e il generale il senso di inutilità. “Igla” è un ritratto molto convincente e cupo del tempo in cui gli studenti venivano risucchiati nel lato oscuro della droga e del crimine, quando i giovani potevano essere picchiati e uccisi negli angoli bui delle città, e dove l’innocenza era persa per sempre. Il film è pesante per trama e atmosfera, venato di amarezza e pessimismo. L’energico frontman della rock band “Kinó”, Viktor Tsoj, conferisce un enorme carisma al ruolo principale. Interpreta un giovane di nome Moro che scopre che la sua ex ragazza è diventata una tossicodipendente. Decide di salvarla e dare una lezione agli spacciatori. È una questione di vita o di morte. Il momento catturato nel film è inconfondibile. La distruzione e il collasso erano nell’aria alla fine degli anni Ottanta. “Igla” aleggia sulla realtà sovietica e post-sovietica, anticipando la fine di un’era.

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4. “La piccola Vera” (1988) di Vasilij Pichul

“La piccola Vera” (titolo originale russo: “Маленькая Вера”; Málenkaja Vera”) è un dramma a lenta combustione sulla vita di provincia nell’Urss. Una ribelle nel cuore, Vera (nome che vuol dire “Fede” in russo), non vuole vivere secondo le norme imposte dalla società esistente. Vive la vita a pieno, esce con gli amici, fa abbuffate di alcol e sesso. Le cose prendono una piega decisamente diversa quando inizia a filare con Sergej, uno studente intelligente, bello e dalla lingua tagliente. È quella persona rara che desidera una vita diversa per se stessa.

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Il film, girato nella fase terminale dell’era sovietica, si distingue perché è esplicito senza precedenti. Una scena in cui Vera (Natalia Negoda) fa sesso con Sergej divenne un tema di discussione universale. In molti modi, il film di Vasilij Pichul (1961-2015) ha avuto l’effetto di far riflettere le persone, in quanto in una volta sola ha distrutto le bugie sul benessere della famiglia sovietica ideale, portando alla ribalta senza pietà tutti i suoi difetti, incluso l’alcolismo, la grettezza mentale e l’intolleranza, l’ignoranza e l’arroganza, la totale mancanza di spiritualità e l’immersione fanatica nella vita quotidiana. “La piccola Vera” parla della “rivoluzione sessuale” nella tarda Urss, ma, in misura maggiore, è una storia su un conflitto tra generazioni, uno scontro tra giovani nichilisti e i loro genitori bloccati in un pantano di compromessi morali. “La piccola Vera” è un film sul tanto atteso risveglio individuale o addirittura privato. I giovani ora si preoccupano meno del destino del Paese di quanto non si preoccupino delle loro vite amorose ed erotiche. Non è un caso che il film si intitoli “La piccola Vera”, con il gioco in russo tra il nome di persona e la parola “fede”.

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5. “Assa” (1987) di Sergej Solovjov

Il capolavoro di Sergej Solovjov (1944-) è un simbolo dell’era passata. In poche parole, un’era di cambiamento. Alla fine degli anni Ottanta, l’intero Paese, l’Unione Sovietica, era come un enorme iceberg, che andava alla deriva verso latitudini meridionali e si scioglieva davanti ai nostri occhi. Tutto ciò che era sempre sembrato incrollabile e predeterminato, improvvisamente aveva cominciato a crollare, lasciando il posto a un nuovo che era spaventoso e ignoto. “Assa” è diventato un film davvero iconico per una generazione di giovani sovietici, che non potevano fare a meno di cantare insieme alla leggenda del rock Viktor Tsoij nel finale del film: “Cambiamenti, stiamo aspettando i cambiamenti!”

“Assa” è ambientato nella località turistica di Jalta, sul Mar Nero, e ha più colpi di scena di un giallo di Agatha Christie. Un giovane musicista underground ha una cotta per una bellissima infermiera. Il problema è che Alika (interpretata dalla straordinaria Tatjana Drubich) è l’amante di un gangster. La ragazza sognante, con grandi occhi infantili, si ritrova divisa tra i due uomini, uno dei quali è un criminale e l’altro è un artistoide. Purtroppo, non si può avere il meglio di entrambi i mondi…

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