Le scene di nudo e di sesso nel cinema sovietico: rarità per intenditori

Andrei Tarkovsky/Mosfilm, 1966
Nella moralistica e spesso bigotta società comunista non c’era spazio per la rappresentazione erotica. Sono pochi i registi che riuscirono a far superare alla censura spezzoni che per lo spettatore occidentali sembrano piuttosto castigati, ma che in patria scandalizzarono non di rado pubblico e critica, e gli stessi attori che dovevano spogliarsi

Siamo onesti, “sesso” era una parolaccia in Unione Sovietica. Le rappresentazioni del sesso sullo schermo erano rare più delle Mercedes sulle strade dell’Urss. Anche un bacio appassionato era un tabù, per non parlare dei rapporti sessuali di qualsiasi tipo. Di norma, gli attori sovietici erano persino troppo timidi per spogliarsi. Molti erano stati educati da rigidi genitori comunisti, che avevano instillato nei loro figli un incrollabile senso di idealismo e un rigido codice morale. In generale, gli attori sovietici non si sentivano a proprio agio nell’essere nudi di fronte a un partner sul set e si vedeva. Le rare scene di sesso erano prive di realismo e quasi totalmente prive di passione.

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La nudità emotiva

Ma ci furono alcune eccezioni. Il leggendario regista Aleksandr Dovzhenko (1894-1956) fece scalpore quando osò spogliare completamente l’attrice sovietica Elena Maksimova (1905-1986), che recitò nel suo capolavoro muto del 1930 “La terra” (titolo originale russo: “Земля”; “Zemljà”).

C’è una scena molto potente in questo film poetico, in cui l’attrice corre per casa completamente nuda, disperata per la morte del suo fidanzato, Vasil, ucciso dai kulakì che si oppongono alla collettivizzazione delle terre. Il suo dolore è palpabile e straziante. 

Il venerato regista Andrej Tarkovskij (1932-1986), spesso definito il più importante regista dell’era sovietica, è andato ancora oltre nel suo capolavoro del 1966 “Andrej Rublev”. Ambientato nella Russia medievale, il dramma è incentrato sul pittore di icone per eccellenza della Russia, Andrej Rublev

Il film di Tarkovskij è una simbiosi di scrupolosa fotografia e narrazione emotiva. In “Andrej Rublev” Tarkovskij ha ricreato la Rus’ del XV secolo. Il dramma è un ritratto dettagliato e senza tempo della vita del popolo russo. Per la prima volta nel cinema sovietico, un’immagine su larga scala del lato spirituale e religioso della Russia medievale finisce al centro dell’attenzione.

In una scena particolarmente rivelatrice, una donna di nome Marfa (interpretata da Nelli Snegina) si avvicina ad Andrej Rublev, che è stato legato a una croce durante una festa pagana. La donna, che libera il pittore, è completamente nuda sotto la pelliccia. Marfa inizia una conversazione con Rublev (interpretato da Anatolij Solonitsyn) sull’amore libero, e cerca di sedurlo, baciandolo e togliendosi di dosso anche la pelliccia. “È la notte in cui tutti dovrebbero amare. Amare è forse peccato?” chiede. 

In un’altra scena cult, si vede Marfa correre verso il lago, nuda. “La scena nel lago è stata girata nello stagno sul territorio di Mosfilm”, ha ricordato Nelli Snegina (1938-). “Era già autunno, l’acqua era fresca, ma la giornata era soleggiata. I cigni che nuotavano nello stagno erano stati temporaneamente portati via. Ho dovuto indossare un reggiseno effetto nudo, mutandine e una parrucca. Ho iniziato a nuotare. E poi è successo qualcosa di inaspettato. A un cigno non piaceva il fatto che qualcuno occupasse il suo territorio, quindi planò nel mezzo dello stagno, inarcò il corpo, allungò le zampe e sbatté le ali minacciosamente. Mi sono spaventata e sono andata sott’acqua. Abbiamo dovuto finire le riprese il giorno successivo, perché la mia parrucca era irrimediabilmente danneggiata. Anche se questa volta il cigno non si vedeva da nessuna parte, un numero enorme di persone si è radunato dietro la recinzione di Mosfilm, attraverso la quale lo stagno era chiaramente visibile. A quei tempi le donne nude non erano mai visibili in giro, quindi il pubblico era felicissimo!”.

Il film ebbe la sua prima mondiale semi-legale al Festival di Cannes del 1969 e uscì nei cinema dell’Urss solo nel dicembre 1971. Per attirare il pubblico, i distributori stranieri pubblicizzarono “Andrej Rublev” proprio con le scene di nudo della Snegina.

Affrontare la timidezza

Ai loro tempi, i registi sovietici dovevano affrontare molte sfide. In caso di nudo, per prima cosa, molti attori si rifiutavano categoricamente di togliersi i vestiti davanti alla cinepresa. Contrariamente alla credenza popolare, gli attori maschi erano ancora più timidi delle loro partner femminili. Il massimo che potevano essere convinti a mostrare era il petto nudo, mentre erano avvolti in coperte dalla vita in giù.

“Eshshjo raz pro ljubov” (“Ещё раз про любовь”, ossia “Ancora una volta sull’amore”) di Georgij Natanson (1921-2017) scioccò il pubblico nel 1968. Il film, basato sull’opera teatrale di Edvard Radzinskij “104 stranitsy pro lyubov” (ossia: “104 pagine sull’amore”), è una storia psicologica piena di romanticismo e dramma. La classica parabola sull’amore offriva una finestra sulla vita degli anni Sessanta in Urss. Il film, con protagonista la sex bomb bionda Tatjana Doronina e il sex symbol maschile Aleksandr Lazarev toccò il tema del rapporto tra un uomo e una donna senza cliché e stereotipi abusati. 

Girato in bianco e nero, il film presenta molti momenti memorabili. C’era evidentemente molta chimica tra la Doronina e Lazarev. In una delle scene più note, i personaggi principali sono visti sdraiati a letto nell’oscurità totale, la coperta tirata su fino al naso. “Ti amo, ti amo”, dice lei con enfasi, le lacrime sul viso. “Mi ami?” chiede Natalija, un’assistente di volo, al suo amante, uno scienziato arrogante il cui nome è Elektron Evdokimov. “Sì”, risponde lui in tono piatto, come se gli fosse stato chiesto se vuole le uova per colazione. 

Inutile dire che entrambi gli attori erano completamente vestiti quando è stata girata la scena intima. Eppure, senza di essa, il film avrebbe perso qualcosa.

Dieci anni dopo, nel 1979, fu il film catastrofico sovietico “Atterraggio zero” (titolo originale: “Экипаж”; “Ekipazh”; ossia “Equipaggio”) a suscitare molto clamore. Era, tra le altre cose, un tentativo di dimostrare che l’amore e il sesso erano in realtà una parte della vita sovietica e non qualcosa di cui vergognarsi.

Una scena erotica tra l’adorabile donnaiolo Igor (interpretato da Leonid Filatov) e l’assistente di volo Tamara (Aleksandra Jakovleva) scatenò una reazione tempestosa da parte della censura. Ma il regista Aleksandr Mitta (1933-) puntò i piedi sostenendo che la scena non poteva essere tagliata dal film. 

Tamara è a letto con l’ingegnere di volo Igor, il donnaiolo di cui è perdutamente innamorata. Sono entrambi seminudi, con la Jakovleva di cui si vede il seno. I corpi di Tamara e Igor sono intrecciati e si riflettono magnificamente nel soffitto a specchio e attraverso il vetro di un enorme acquario. Questo fu l’unico modo per Mitta di ottenere il permesso della censura di mantenere la scena intima nel film. Mitta aveva realizzato il primo film catastrofico dell’Urss, ma un gran numero di spettatori si riversò al cinema per vedere quella scena “bollente”.

È difficile da credere, ma il brillante attore Leonid Filatov inizialmente si rifiutò di apparire in quell’episodio. La scena intima divenne una vera prova per l’attore. Filatov, che non voleva togliersi i pantaloni per niente al mondo, alla fine scivolò nel letto con la sexy attrice nuda semivestito.

Rompere i tabù

Alla fine, solo nella seconda metà degli anni Ottanta, con la Perestrojka di Gorbachev, i principi morali cominciarono a cambiare.

In “Zimnjaja vishnja” (“Зимняя вишня”; ossia: “Amarena invernale”) film del 1985, l’affascinante attrice Elena Safonova (1956-) viene mostrata nuda a letto nella scena iniziale del film, e se ne intravedono i capezzoli. Il suo personaggio, Olga, è una madre single con un figlio di 5 anni da crescere. La trentenne non ne ha mai abbastanza del suo amante sposato, Vadim, che è un uomo egoista e senza sentimenti genuini. In una scena successiva, la Safonova appare completamente nuda, quando si sveglia dopo una notte d’amore e va verso la finestra di una casa in riva al lago. La scena diventa metafora del semplice piacere di sognare ad occhi aperti alla ricerca dell’amore. 

Le scene erotiche in camera da letto presero poi d’assalto il cinema sovietico solo alla fine degli anni Ottanta. Il dramma di Vasilij Pichul (1961-2015) “La piccola Vera” (“Маленькая Вера”; ‘Malenkaja Vera”; 1988) generò enormi polemiche in quanto fu il primo a contenere scene di sesso. Per audacia, la scena non aveva precedenti nel cinema sovietico.

A volte le cose migliori della vita accadono per caso. Si è scoperto che la scena bollente in cui Vera (interpretata da Natalia Negoda, la prima star sovietica ad apparire sulla copertina di “Playboy” in America nel 1989) fa sesso con Sergej (Andrej Sokolov) non era nemmeno prevista nella sceneggiatura! Secondo quanto riferito, il regista impiegò sette ore per convincere i giovani attori a recitare in quell’episodio osé. Pichul ottenne ciò che voleva e il suo film realista si è guadagnato il posto di uno dei più audaci e travolgenti del cinema sovietico.


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