Cinque elementi che hanno reso così grande Dostoevskij

È stato un condensato di tratti geniali, e questo mix unico lo rende ancora oggi, a 200 anni dalla nascita, una delle figure in assoluto più influenti della letteratura e del pensiero mondiale

“Dostoevskij è un cavaliere nel deserto con una faretra di frecce. Il sangue cola dove colpisce la sua freccia. Dostoevskij vive in noi. La sua musica non morirà mai”, scrisse nel 1912 Vasilij Rozanov (1856-1919), uno dei filosofi russi più influenti della sua epoca. Ecco i cinque elementi principali della personalità di Fjodor Dostoevskij che lo hanno reso così grande.

Era un fine psicologo

Fjodor Dostoevskij (1821-1881) ha esplorato la psiche umana come Cristoforo Colombo le Americhe. È considerato il primo a essere riuscito a raggiungere le profondità più recondite della tormentata anima russa.

Riproduzione del ritratto di Fjodor Dostoevskij realizzato da M. Scherbatov; dalla collezione del museo-casa di Dostoevskij

I romanzi di Dostoevskij sono popolati da personaggi pieni di angoscia e infelicità. Il funzionamento della mente umana ha incuriosito Dostoevskij per tutta la sua vita. Ognuno dei suoi romanzi capolavoro, tra cui “I fratelli Karamazov”, “Delitto e castigo”, “L’idiota”, “I demoni” e “Il giocatore”, è fondamentalmente un corso introduttivo di psicologia.

I suoi personaggi sono emotivamente a pezzi e mentalmente feriti. Soffrono per i sensi di colpa (Rodion Raskolnikov), per l’ansia (Mitja Karamazov), la gelosia (Parfjón Rogozhin) e l’avidità (Ganja Ivolgin); l’eccessiva bontà e la bassa autostima (principe Myshkin) e la mancanza di amore (Sonechka Marmeladova). Eppure, sono pronti a passare attraverso l’inferno emotivo nella loro ricerca della libertà morale e della giustizia cosmica.

Illustrazione per il romanzo

“Che cos’è l’inferno? La sofferenza di non poter più amare”, scrisse Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”, il suo ultimo romanzo. Lo scrittore ha usato le debolezze dei suoi personaggi per spiegare la natura metafisica del mondo, proprio come Isaac Newton ha usato la fisica per spiegare il movimento e la gravità.

“Se vuoi vincere tutto il mondo, vinci te stesso”, ha scritto Dostoevskij ne “I demoni”. Lui sicuramente lo ha fatto.

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Era un profeta

Nel suo saggio scritto nel 1906, il poeta e pensatore russo Dmitrij Merezhkovskij (1865-1941) ha salutato Dostoevskij come un “profeta della Rivoluzione russa” (l’anno precedente era scoppiata quella del 1905). 

Le persone con una grande immaginazione possono spesso prevedere il futuro. Dostoevskij non ha mai preteso al ruolo di profeta, ma è riuscito a racchiudere i problemi cruciali del suo tempo e a tracciare la traiettoria della loro evoluzione.

“La sua abilità è sorprendente. Senza cercare la scala cosmica e le grandi masse di “Guerra e pace” [di Lev Tolstoj], Dostoevskij prende solo una minuscola quantità di materiale vitale; la vita di alcune persone in un arco di diversi giorni, e crea un libro di grande importanza e forza”, concluse Aleksandr Solzhenitsyn (1918- 2008) dopo aver riletto “Delitto e castigo” nel 1947. Il personaggio principale di “Delitto e castigo” è un uomo nuovo, posseduto da idee nichiliste. Rodion Raskolnikov pensa che ci siano persone che “esigono, con le formule più svariate, la distruzione del presente in nome del meglio. Ma se per la loro idea hanno bisogno di passare magari anche sopra un cadavere, sopra il sangue, dentro di sé, in coscienza, possono autorizzarsi a passare sopra il sangue: del resto dipende dall’idea e dalla sua portata”.

Anni dopo, un gruppo di rivoluzionari russi avrebbe seguito le riflessioni di Raskolnikov, pensando, in nome del “meglio” di poter giustificare in piena “coscienza” il “sangue”.

Con una lungimiranza degna di Sigmund Freud (1856-1939), Dostoevskij è penetrato nel nocciolo dei codici morali, dei costumi e delle tradizioni culturali che attraversano le generazioni. Il suo “Il Grande Inquisitore”, capitolo de “I Fratelli Karamazov” è un’anticipazione di come uno Stato ideologico si assuma tutti i diritti morali, privando una persona della libertà e della giustizia. Questo sistema politico è stato messo in pratica nel XX secolo, a caro prezzo, in vari Stati totalitari.

Ne “I demoni” (un romanzo sulla tentazione diabolica di rinnovare il mondo, sulla possessione demoniaca da parte delle forze del male e della distruzione), Dostoevskij predice la diffusione del nichilismo, del caos e dell’odio. “Ogni membro della società sorveglia l’altro ed è obbligato alla delazione. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti appartengono a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c’è la calunnia e l’omicidio, ma l’essenziale è l’uguaglianza”, scrive Dostoevskij.

E ancora: “‘È necessario solo il necessario’, ecco il motto del globo terrestre da ora in avanti. Ma ci vogliono anche delle convulsioni; a questo penseremo noi dirigenti. Gli schiavi devono avere dei dirigenti. Piena obbedienza, piena impersonalità, ma una volta ogni trent’anni Shigaljov scatena anche una convulsione, e tutti cominciano improvvisamente a divorarsi l’un l’altro, fino a un certo punto, soltanto perché non ci si annoi. La noia è una sensazione aristocratica”

E infine: “L’entusiasmo della gioventù contemporanea è puro e luminoso come quello dei nostri tempi. È accaduta soltanto una cosa: uno spostamento di scopi, la sostituzione di una bellezza con un’altra! Tutto il malinteso non è che nel dubbio se sia più bello Shakespeare o un paio di stivali, Raffaello o il petrolio.”

Era un influencer

Dostoevskij è un influencer nel senso più profondo della parola. Le sue parole arrivano dritte al cuore delle persone attraverso i secoli e oltre i confini culturali. La sua voce potente mescola infelicità e passione, suicidio e amore, tragedia e sacrificio. E influenza chiunque la ascolti.

Riproduzione del quadro

David Herbert Lawrence, Virginia Woolf e William Faulkner erano in soggezione di fronte alla capacità di Dostoevskij di affascinare, ipnotizzare e leggere le menti. Secondo James Joyce, Dostoevskij “ha creato la prosa moderna”. Franz Kafka, grande fan de “I fratelli Karamazov”, ha definito Dostoevskij suo “parente di sangue”. Ernest Hemingway ha affermato che Dostoevskij è tra quelli che lo hanno più influenzato: “In Dostoevskij c’erano cose incredibili e da non credere, ma alcune così vere che ti cambiavano mentre le leggevi”.

Dopo aver letto “Memorie dal sottosuolo” e “Memorie dalla casa dei morti”, Friedrich Nietzsche disse di Dostoevskij che era “l’unico psicologo da cui ho qualcosa da imparare”. L’acclamato pensatore e filosofo russo Lev Shestov (1866-1938) giunse alla conclusione che Dostoevskij e Nietzsche condividessero una peculiare identità di spirito e, quindi, che Dostoevskij e Nietzsche “potessero, senza esagerare, essere chiamati fratelli, persino gemelli”.

Dostoevskij, che combatteva quotidianamente i suoi demoni interiori, era condannato al lettino dello psicanalista, e nientemeno che Sigmund Freud ha analizzato lo scrittore russo nel suo famoso saggio “Dostoevskij e il parricidio”, pubblicato nel 1928 come introduzione a una raccolta tedesca di materiali su “I fratelli Karamazov”. Freud non sarebbe Freud se non si fosse concentrato sul complesso edipico di Dostoevskij e sui rapporti con suo padre, le sue crisi epilettiche, le opinioni religiose e una ludopatia lunga 10 anni.

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Era un esistenzialista

Facendo eco alle idee del filosofo danese Søren Kierkegaard (1813-1855), che ha posto il singolo al centro della sua filosofia, Dostoevskij ha scoperto la vera interiorità. “L’uomo è infelice, perché non sa di essere felice, solo per questo”, scrisse Dostoevskij.

Riproduzione del quadro

Nel 1863, Dostoevskij scrisse quello che sembra essere il primo romanzo esistenzialista, “Memorie dal sottosuolo”. L’incipit è celebre: “Sono un uomo malato… Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro”.

Il principale filologo russo del XX secolo, Mikhail Bakhtin (1895-1975), lo ha definito una “confessione con scappatoia”.

Il libro è al contempo una confessione di un ex funzionario di San Pietroburgo e una storia filosofica sull’essenza della vita umana; un tragico racconto sulla natura dei nostri desideri e un dramma sulla relazione malata tra ragione e inazione. L’uomo “sotterraneo”, privo di nome o cognome, discute con i suoi avversari immaginari e reali e riflette sulle ragioni delle azioni umane, del progresso e della civiltà. Paranoico, patologico, patetico, è un solitario la cui maggior paura è di essere scoperto.

Illustrazione per il romanzo

Il nucleo ideologico di “Memorie dal sottosuolo” è la disputa del personaggio principale con le più famose teorie scientifiche della metà del XIX secolo e l’idea fondamentale di Dostoevskij della necessità della fede cristiana e della rinuncia a se stessi.

Il romanzo breve di Dostoevskij ottenne il riconoscimento mondiale solo verso la metà del XX secolo: si rivelò un’apertura all’esistenzialismo, mentre il suo uomo sotterraneo divenne il padrino letterario dei personaggi di Sartre, Camus e di altri autori europei, nonché di vari registi.

Era un credente

Dostoevskij era un uomo di contrasti. Era un uomo profondamente religioso; un cristiano ortodosso, che invocava continuamente il nome di Dio nelle sue opere. E per lui Gesù è l’incarnazione della “bellezza dell’ideale”. Ma il suo atteggiamento nei confronti della religione e della fede subì notevoli cambiamenti.

Alcuni storici affermano che nella sua giovinezza Dostoevskij era affascinato dalle idee socialiste, e poco interessato alla religione, mentre altri affermano che era un ferventemente religioso fin dall’infanzia. Una cosa è certa: Dostoevskij fu profondamente scosso dalla sua esperienza carceraria.

Nel 1849, lo scrittore fu arrestato per il suo coinvolgimento nel Circolo Petrashevskij, un gruppo di intellettuali radicali di San Pietroburgo che criticava il sistema socio-politico dell’Impero russo e discuteva dei modi per cambiarlo. Nel 1850, il ventottenne Dostoevskij (che a quel tempo aveva già pubblicato due romanzi: “Povera gente” e “Il sosia”) fu condannato a morte insieme ad altri 20 membri del movimento. La sentenza fu poi commutata all’ultimo secondo, quando era già sul patibolo. Ma lo choc rimase per tutta la vita.

Lo scrittore trascorse poi quattro anni ai lavori forzati in una prigione siberiana, dopodiché venne inviato come soldato semplice al 7° battaglione di linea del Corpo d’armata siberiano. Questa drammatica esperienza aiutò Dostoevskij a comprendere il vero valore della vita umana. 

“L’immortalità dell’anima e Dio sono la stessa idea”, affermò in una delle sue lettere, nel 1878. E ne “I demoni” scrisse: “Dio mi è necessario se non altro perché è l’unico essere che si possa amare in eterno…”.


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