Lilia Brik
russiainphoto.ruMatilda Kshesinskaja, ballerina e amante dello zar Nicola II. Zinaida Gippius, poetessa esule a Parigi. Aleksandra Kollontaj, integerrima funzionaria bolscevica. Olga Berggolts, giornalista e animatrice di Radio Leningrado. Svetlana Allilueva, figlia prediletta di Stalin. Nina Berberova, scrittrice negli anni della “cortina di ferro”. Anna Politkovskaja, giornalista assassinata nel 2006.
Margherita Belgiojoso
Giulio PietromarchiSono alcune delle donne scelte da Margherita Belgiojoso in “Là dove s’inventano i sogni. Donne di Russia” (Guanda, 304 pagine, 19 euro) per raccontare oltre due secoli di storia, dal regno di Caterina II fino al governo Putin. “Storie meravigliose in cui mi sono imbattuta quando lavoravo in Russia e che meritavano assolutamente di venire alla luce” spiega l’autrice, che ha vissuto undici anni nel Paese collaborando per varie testate italiane. Il libro è frutto di accurate ricerche storiche ma si legge come un romanzo. Un filo sottile lega tra loro le vicende di queste mogli, artiste, rivoluzionarie e dissidenti, che si scambiano il testimone in un’ideale staffetta storica. Sognatrici, ma con i piedi ben piantati per terra, aprono al lettore una finestra sul periodo storico in cui vissero, filtrando gli avvenimenti attraverso un punto di vista squisitamente femminile. Un gioco di intrecci narrativi “cuce” insieme tutti i capitoli del libro, molti storicamente documentati, come l’incontro a Radio Leningrado tra Anna Akhmatova e Olga Berggolts, altri frutto della libertà inventiva dell’autrice, ma comunque verosimili.
La rassegna si apre con Praskovja Kovaleva e Marija Volkonskaja. Serva della gleba e soprano la prima, moglie di un rivoltoso la seconda, raccontano un Paese diviso tra voglia di riforme e immobilismo, che esplode nella rivolta decabrista del 1825. Quando suo marito viene esiliato in Siberia, Marija, infarcita dell’idee romantiche dell’epoca, s’intestardisce a seguirlo. Scoprendo così la meravigliosa Russia del nord. Queste pagine sono un omaggio della scrittrice "alla natura immutabile di quel Paese. Ai suoi orizzonti vuoti, malinconici e freddi, come noi occidentali difficilmente possiamo vederne. Scenari insieme tristi e affascinanti".
Ma la Storia incalza e il testimone passa ad Aleksandra Kollontaj, commissario del governo bolscevico. Davanti ai suoi occhi scorrono le vicende della Rivoluzione e Aleksandra stessa è il simbolo di un cambiamento che coinvolge non solo lei ma l’intero universo femminile. Le donne russe abbandonano i merletti e le crinoline per reclamare un ruolo più attivo all’interno della società: emblematica la vicenda del medico Vera Figner, condannata a ventidue anni di carcere per l’assassinio dello zar Alessandro II.
La funzionaria di Lenin non è da meno: le riforme per l’introduzione dell’aborto e del divorzio portano la sua firma, anche se con l’avvento al potere di Stalin molte delle sue battaglie subirono una brusca battuta d’arresto. La Russia sovietica rivive invece nelle pagine dedicate alla poetessa Anna Akhmatova, a Lilia Brik, componente di un originale ménage à trois con il marito Osip e Vladimir Majakovskij, a Varvara Stepanova, artista eclettica e designer, a Olga Berggolts, preziosa voce radiofonica nella Leningrado assediata dai nazisti, a Ljubov Orlova, la “Marlene Dietrich sovietica”. In particolare l’autrice ha voluto descrivere la Mosca di quegli anni, “un cantiere a cielo aperto, investita dalla rivoluzione architettonica di stampo costruttivista, attraverso lo sguardo di Svetlana, la figlia di Stalin, che vedeva la città trasformarsi radicalmente”. Dopo la morte del padre Svetlana fuggì negli Usa rinnegando il proprio cognome e tutto ciò che rappresentava.
Ma è tutto il Paese che si scuote, percorso da un fremito di rinnovamento in cui le donne sono, ancora una volta, protagoniste. Come Ekaterina Furtseva, ministro della Cultura nel 1963 quando, con gran disappunto suo e dei giurati russi, “8 e mezzo” di Fellini vince il Festival internazionale del cinema di Mosca. Come Elena Bonner, moglie del dissidente Andrej Sakharov, che passa idealmente il testimone ad Anna Politkovskaja, proponendone la candidatura postuma al premio Sakharov per la libertà di pensiero.
Per lei, precisa l’autrice, “solo un accenno, senza orpelli stilistici, per non correre il rischio di strumentalizzare una vicenda così recente”. Un omaggio ad una donna eccezionale, come lo sono, del resto, tutte le russe: “Sono forse proprio loro ad essere cambiate di più nel corso dei secoli. Da gioiellini da esporre, sottomesse al padrone o al marito, a individui che reclamano e ottengono la propria libertà”.
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