Bronzit: "Il mio cinema come autoterapia"

Il regista Konstantin Bronzit.

Il regista Konstantin Bronzit.

Phtoxpress
Il regista russo di film d’animazione, da poco insignito del Grand prix al prestigioso Festival internazionale Annecy, racconta come nascono i suoi capolavori: “Quando viene in mente un’idea, bisogna ‘espellerla’ come fosse una malattia. E da lì nascono meravigliosi film”

Il suo cinema è stato paragonato ai film di Stanley Kubrick e ai recenti “Gravity” e “Interstellar”. Konstantin Bronzit, regista di film d’animazione, con il suo “We can’t live without cosmos” ha da poco vinto il Grand prix al prestigioso Festival internazionale del film di animazione di Annecy.

Quali sono le sue fonti d’ispirazione?

Mentre lavoravo non pensavo affatto a questi film, anche se ho apprezzato “Interstellar” e le associazioni con “2001: Odissea nello spazio” mi sembrano inevitabili. Ma queste pellicole non hanno alcuna attinenza con il mio film. Tuttavia, è chiaro che quando dei film si somigliano esteriormente - in questo caso soprattutto per la presenza di uno spazio cosmico misterioso - il raffronto s’impone. Ben vengano i paragoni.

Il mio però è un film d’animazione e nel cinema d’animazione si utilizzano mezzi espressivi completamente diversi. Lo spazio nel mio film fa solo da sfondo al dipanarsi della storia dell’amicizia tra due astronauti che hanno l’idea fissa di volare nello spazio e durante l’addestramento fanno di tutto per primeggiare e ottenere questa chance. 

"Non possiamo vivere senza spazio". Fonte: annecy.org

Ispirazione non mi sembra la parola più appropriata, non ho avuto fonti d’ispirazione. Di solito accade così: ti viene in mente un’idea che continua a roderti dall’interno. Non si tratta tanto di ispirazione, quanto di “autoterapia”. Devi guarire, “espellere” da te stesso questa malattia in forma di prodotto, ossia di film.

È il secondo Grand prix che riceve al festival di Annecy. Cosa è cambiato nei suoi gusti e nel suo metodo d’animazione dai tempi di “Switchcraft” (il film girato nel 1994 per il quale Bronzit è stato insignito del suo primo Grand prix, ndr)?

Devo correggerla, questo è il mio terzo Grand prix al festival di Annecy. Di solito ci si dimentica del corto della durata di un minuto e mezzo, “Die Hard”, che ho girato nel 1998 e per cui ho ricevuto lo stesso premio, ma in un’altra categoria, quella delle serie televisive.

Il mio metodo non è cambiato. Si è formato negli anni 1994-1995. Allora investivo molti sforzi per perfezionarmi nella professione, ascoltavo i consigli dei registi di talento, leggevo libri e mi sono dedicato per un anno intero alla realizzazione di “Switchcraft”. Ho capito che la prima regola per un regista è credere in se stesso e al proprio intuito. Se ritieni che il tuo film debba essere in un certo modo e non altrimenti (non mi riferisco a un errore durante il montaggio su cui ci si fissa, ma proprio all’essenza del film, alla sua intonazione), allora vuol dire che dev’essere così.

"Interruttore" di Konstantin Bronzit. Fonte: Youtube

Allora stavo per fare marcia indietro, temevo che “Switchcraft” potesse non piacere al pubblico per il suo ritmo lento. Le cose sarebbero potute andare in modo diverso, ma alla fine ho creduto in me stesso. E anche tutti i film successivi li ho girati così. Ma ciò non esclude un affinamento continuo nella professione, il processo creativo si basa sul mestiere.

Riesce a individuare delle tendenze dominanti nell’attuale cinema d’animazione?

Mi concentrerò solo sul cinema d’autore. Nel cinema commerciale è tutto chiaro: il senso è quello di inventare una storia che vada bene per le famiglie, divertire il pubblico e far cassetta.  

Mentre la tendenza dominante nel cinema d’animazione d’autore è innanzitutto quella di prescindere dalla dimensione narrativa. I giovani autori sembrano preoccuparsi poco della drammaturgia, e cercano invece di stupire, spaventare, mostrare una “lacerazione”: a molti questo sembra l’approccio giusto per girare un film.

Il cinema d’animazione russo è diverso da quello occidentale?

Da noi esiste meno questa idea della “lacerazione”. Probabilmente la tradizione del cinema d’animazione sovietico è ancora forte. Forse è questa la nostra forma mentis e i giovani registi non sono attratti dal trash e dallo splatter. Ci è più congeniale la dimensione narrativa, ci piace raccontare delle storie che abbiano un fine morale, pedagogico, diffondere la bontà, l’umanità. Siamo cresciuti con le fiabe, con i cartoni animati positivi ed è così che ragioniamo.

Lei ha lavorato in Russia e all’estero. Dove si trova più a suo agio?

Naturalmente, per me è più comodo lavorare a Pietroburgo agli studi Melnitsa che non all’estero. Quando parli la stessa lingua dei tuoi collaboratori è più semplice e più rapido comprendersi. Ma la questione è un’altra. M’infastidisce la parola stessa “comodità” riferita alla produzione di un film. Per me è un processo scomodo girare un film. Se non mi riesce qualcosa, inevitabilmente non farò che tormentarmi, angosciarmi, sia che mi trovi nello Zimbabwe o nella Chukotka. Così come sarò felice dovunque se riuscirò a risolvere un problema. L’unica cosa è che sarebbe preferibile stare in un luogo dove il clima è caldo (ride).

Le piacerebbe girare un film con degli attori veri?

Ormai no, sono convinto che il cinema come forma artistica sia ormai arrivato al capolinea. Tutte le storie sono già state raccontate e il cinema evolve solo sul piano tecnologico.

Vuol dire che ci saranno più lungometraggi d’animazione?

Quello che ho detto temo riguardi anche il cinema d’animazione, ma non ho nessuna intenzione di lanciarmi in pronostici sul suo futuro.

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