Nel 1900 una spedizione guidata dal barone Eduard von Toll salpò da San Pietroburgo alla volta della misteriosa Terra di Sannikov (in russo: Zemljá Sánnikova); “isola fantasma” nel mar Glaciale Artico. La spedizione polare non ebbe successo – l’isola che il mercante ed esploratore Jakov Sannikov diceva di aver avvistato nel 1811 non fu trovata – ma diede inizio a un esperimento che riguardava le conserve.
Per alcuni mesi la nave della spedizione rimase intrappolata nei ghiacci al largo della penisola del Tajmyr, ma i partecipanti continuarono a esplorare la terraferma a piedi e a condurre esperimenti nel laboratorio attrezzato sulla nave. Ipotizzando la situazione in cui qualcuno dei suoi uomini non avesse fatto in tempo a raggiungere la nave prima del disgelo, von Toll ordinò di creare sulla penisola una riserva di viveri. Nella terra fu scavata una fossa, profonda poco più di un metro, nella quale furono sistemate delle casse metalliche contenenti gallette, farina di avena, cioccolato, tè, zucchero e 48 confezioni di conserve – una parte con zuppa di cavoli e carne, e l’altra con “porridge”, prodotte nello stesso anno per le truppe imperiali dalla fabbrica di François Azibert, un francese che fu il primo produttore in Russia di conserve alimentari.
Una scatoletta di zuppa con carne e porridge prodotta nel 1900 dal primo conservificio russo e sepolta nel corso di una spedizione nello stesso anno. È stata ritrovata sottoterra nel 1973 ed era ancora buona!
Yurij Mashkov/TASSIl deposito rimase intatto, e anni dopo, nel 1973, un’altra spedizione riuscì a ritrovarlo grazie al diario del barone von Toll. Per quanto possa sembrare strano, le conserve erano ancora commestibili e persino abbastanza saporite. Nel 2004 si è proceduto a una nuova degustazione dell’ormai secolare razione di zuppa e porridge in scatola. Le conserve si potevano ancora consumare e, anzi, hanno superato tutti i test di laboratorio.
In Russia la produzione di conserve alimentari cominciò più tardi rispetto all’Europa e agli Stati Uniti. I pionieri furono i francesi. Napoleone Bonaparte, già alla fine del XVIII secolo, aveva sollevato il problema di alimentazione delle truppe durante lunghe campagne di guerra. Istituì un premio per chi avrebbe proposto la soluzione più pratica. Nel 1810 il premio, accompagnato dal titolo di “Benefattore dell’umanità”, se lo aggiudicò Nicolas Appert che inventò il metodo detto poi “appertizzazione”, cioè conservazione ermetica dei cibi in vasi di vetro con trattamento prolungato in acqua bollente.
Il francese Nicolas Appert inventò a inizio Ottocento il modo di conservare il cibo in contenitori di vetro che prese il suo nome: “Appertizzazione”. Molto semplice, viene utilizzato oggi principalmente nella preparazione di conserve casalinghe (è detta anche solo “sterilizzazione”)
Jean-Paul Barbier (CC BY-SA)Se Appert inventò le conserve in vasi di vetro, l’inglese Peter Durand, nello stesso anno 1810, brevettò un metodo analogo di conservazione del cibo in scatole metalliche. Nel 1812 fu avviata la produzione di conserve per l’esercito britannico. Successivamente, la tecnologia fu lanciata anche negli Usa e in Germania. Negli anni Venti del XIX secolo negli Stati Uniti la gamma delle conserve fu ampliata: non erano più soltanto carne, verdure e zuppe in scatola, ma anche aragoste, tonno, frutta e altri cibi.
Si può supporre che i russi abbiano assaggiato le conserve francesi già durante la guerra del 1812 contro le truppe napoleoniche. Sarebbe andato effettivamente così. Ma, secondo la leggenda, i soldati russi si rifiutavano di mangiare le conserve sequestrate ai francesi, temendo che contenessero “le rane”. A dissipare i dubbi fu il comandante delle truppe russe Mikhail Kutuzov. Assaggiò coraggiosamente la “prelibatezza” esotica contenuta nei vasi di vetro e dichiarò che non era pericolosa: non erano rane, ma della comunissima carne di pecora. Tuttavia, per evitare equivoci, proibì ai soldati di mangiarla.
Cucina da campo dell'8° Reggimento (The King’s Royal Irish) Light Dragoons britannico, durante la Guerra di Crimea, 1855
Museo Nazionale di LondraAttorno al 1830 la Russia cominciò a importare le conserve dall’estero. Erano un prodotto esotico e il prezzo era molto elevato. Nella sua opera teatrale “L’Ispettore generale” (1835) Nikolaj Gogol, primo fra gli scrittori russi, menzionò le conserve. Il protagonista della commedia, il piccolo funzionario Ivan Khlestakov così vantava i lussi della sua vita a San Pietroburgo: “La minestra, già pronta nella zuppiera, arriva direttamente in piroscafo da Parigi; sollevano il coperchio e si sente un profumino come non ce n’è un altro in natura”.
Non si può dire che in Russia non ci fosse interesse per la conservazione dei cibi. Già nel 1763, mentre si preparava una spedizione lungo la rotta marittima del Nord con l’intento di raggiungere Cina e India, lo scienziato russo Mikhail Lomonosov aveva realizzato una ricetta di zuppa in polvere con delle spezie. La zuppa arrivò senza problemi fino alla penisola della Kamchatka, ma alle masse rimase ignota.
In seguito, anche Vasilij Karazin, fondatore dell’Univesità di Kharkov, condusse parecchi esperimenti con zuppe in bustina. Nel 1815 egli parlò del suo progetto al conte Aleksej Arakcheev (ministro della guerra e uno degli uomini dell’imperatore Alessandro I), ma il sostegno gli fu negato.
Le conserve alimentari continuarono a restare tema di interesse limitato da parte degli scienziati e un “capriccio” dei ricchi fino alla guerra di Crimea (1853-1856), quando le truppe britanniche e francesi mangiavano cibo conservato e i russi pativano la fame a seguito di scarsezza dei viveri. Allora in Russia si cominciò a pensare seriamente ai metodi di conservazione per assicurare alle truppe dei cibi a lunga scadenza. L’imperatore Alessandro II ordinò di comprare all’estero un quantitativo di conserve per sperimentarle.
Nel 1870 l’Accademia Imperiale di medicina militare di San Pietroburgo iniziò le prove dei prodotti realizzati da imprenditori russi, proponendo in particolare al francese François Azibert, che produceva conserve a San Pietroburgo dal 1862, di elaborare delle ricette per le truppe russe. In quel periodo le conserve di verdure e funghi, prodotte da Azibert, si vendevano nei mercati e attraverso rivenditori privati. Le conserve per l’esercito furono testate in alcuni ospedali, le prove ebbero esito positivo, dopo di che l’esercito firmò con Azibert un contratto di fornitura di lunga durata.
Nel 1887 fu avviata la produzione di cinque ricette per l’esercito: arrosto di manzo (in alternativa, pecora), spezzatino, minestra, carne con piselli e conserve di verdura.
Un manifesto che pubblicizzava le conserve del conservificio di Joseph Kefeli di Balaklava, in Crimea
Dominio pubblicoUn altro francese che produceva conserve in Russia fu un certo Mallon che ebbe l’idea di comprare dai contadini piselli sgusciati e metterli in scatola. Prima di lui non si faceva altro che essiccare i piselli. Aprì la sua fabbrica nei pressi di Jaroslavl nel 1875. Più tardi cominciò a produrre anche cetrioli conservati e altre verdure locali che si vendevano non solo in Russia, ma anche all’estero.
Anche sulla costa sudovest della Crimea, a Balaklava, nel 1892 fu costruita una fabbrica di conserve, la Società di Iosif Kepheli. I pescatori locali fornivano alla fabbrica cefali, sgombri, storioni beluga e altri pesci, che venivano trasformati in squisite conserve che si vendevano con grande successo.
L’impresa del tedesco Biermann nella città di Kozlov andava a gonfie vele, ma ebbe una tragica fine. Prima della Rivoluzione del 1917 il tedesco costruì un macello (300-400 capi bovini al giorno) e una fabbrica di carne in scatola. Lo sfruttamento degli operai, però, era spietato, tanto che nel 1916 i dipendenti iniziarono uno sciopero nel corso del quale la fabbrica fu incendiata. Biermann emigrò all’estero, lasciando nella fabbrica un suo direttore. Tuttavia nel 1919 la fabbrica fu definitivamente distrutta dai militari e dagli abitanti della città.
Etichetta di acciughe in scatola prodotte a Riga
Online auction "Bag"Parlando poi dei volumi prodotti, nel 1904-1905 i conservifici di San Pietroburgo, Odessa, Riga e Mitau (oggi Jelgava) – tutte città che allora facevano parte dell’Impero Russo – che lavoravano per l’esercito, producevano fino a 250 mila scatole al giorno (fino a 75 milioni di unità all’anno). Secondo alcune fonti (per esempio si veda “L’economia di guerra ai tempi del Primo conflitto mondiale” di G.I. Shigalin), i conservifici più grandi sfornavano 70-100 mila scatole al giorno.
Nel 1897 l’ingegnere Evgenij Fedorov inventò una scatola riscaldabile. Era una lattina con doppio fondo dove, in appositi alloggiamenti, si trovavano acqua e calce viva. Quando il fondo veniva ruotato, l’acqua entrava in contatto con la calce provocando una reazione esotermica, grazie alla quale la scatola si riscaldava. La produzione delle conserve “autoriscaldate” fu iniziata nel 1915, già durante la Prima guerra mondiale, ma l’esercitò ne ricevette soltanto quantità limitate.
Grazie a questa novità i soldati potevano mangiare cibo caldo senza accendere il fuoco e, quindi, senza essere avvistati. Tuttavia il progetto non ebbe seguito, la produzione fu interrotta. La Germania, invece, forniva ai suoi soldati le conserve esotermiche ancora durante la Seconda guerra mondiale, mentre in Giappone una tecnologia analoga è usata ancora oggi.
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