Lo chef Giuseppe Davi: “Così cambierà la cucina italiana in Russia dopo lo choc della pandemia”

Lavora a Mosca da anni, ma per la prima volta si trova a dover sperimentare il take away e le master class online. E intanto pensa a come ripartire nel lungo periodo

Lo chef Giuseppe Davi, classe 1978, di Badia Polesine, in provincia di Rovigo, è ormai diventato un vero moscovita, e nella capitale russa fa apprezzare da tempo la cucina italiana. Da quattro anni comanda la cucina del ristorante “Butler”, nella bellissima zona degli Stagni del Patriarca, a due passi dalla Casa di Bulgakov

Chef, andiamo per ordine: come è arrivato in Russia?

Mi sono trasferito a Mosca 14 anni fa. Stavo lavorando a Desenzano del Garda, quando ho ricevuto una proposta da un amico che era già qui. All’epoca non avevo famiglia, e sono partito. Ho lavorato con lui per due anni al ristorante “Pinocchio”, poi sono passato al “Semifreddo”, con lo chef Nino Graziano, due stelle Michelin, dove sono rimasto circa sette anni. Quindi è arrivata la crisi del 2014-2015, con le sanzioni, il crollo del rublo, e ci siamo lasciati. Anche perché volevo fare qualcosa più di mio. Per circa un anno e mezzo sono stato al ristorante “OliOli”, e poi ho ricevuto una proposta dal ristorante “Butler”, e sono qui da ormai quattro anni, come chef e socio.

Ora però è un momento del tutto particolare, con la pandemia di Covid-19…

È difficile. Ho i genitori in Italia. E quest’estate, dopo due anni di solo lavoro, avevo programmato di andare in Sicilia (mia mamma è siciliana) a trovare la nonna, che ha 94 anni. È brutta la sensazione di essere così limitati negli spostamenti…

E dal punto di vista lavorativo?

Lavoriamo solo con il take away. Il 30 marzo è iniziato il lockdown a Mosca. Per una settimana siamo stati chiusi; ce la siamo presa per pensare. Poi ho deciso di riaprire e fare le consegne a domicilio. Certo non ci guadagniamo, ma cerchiamo almeno di non rimetterci. Ho riaperto per non perdere la squadra di cucina e di sala, che ho formato negli anni. Abbiamo fatto un menù apposito, e vendiamo anche pasta fresca, anche ripiena, e sughi pronti, così le persone possono cucinarsi una bella pasta italiana a casa. Piano piano sta funzionando, la domanda cresce. In questo modo, il personale prende un piccolo stipendio; meno del solito, ma è già qualcosa. Nel settore della ristorazione, a Mosca si considera che sia rimasto a casa circa il 70 per cento del personale. Io gliel’ho detto ai miei: con la passione ci possiamo salvare. Ma dobbiamo mettercene tanta. Ho cercato di trasmettergliela in questi anni, ed è per quello che cerco di preservare la squadra. Qui è difficilissimo trovare personale per i ristoranti. Manca una scuola vera e propria per la formazione. E tradizionalmente, in cucina si va a lavorare in mancanza di meglio, per fare un po’ di soldi, ma senza amare il lavoro. E tanti durano tre mesi, non di più.

State iniziando a pensare alla riapertura?

Sì, inizialmente riaprono i locali fino a 50 metri quadrati, poi anche gli altri, dal 31 maggio. Niente servizio al bancone per i bar, distanze di sicurezza di due metri tra i tavoli, obbligo di sanificazione e di installazione di lampade ultraviolette antivirus in sala e in cucina, personale in mascherina e guanti, non si potranno fare banchetti e potranno esserci all’interno un massimo di 20 persone. Insomma, le restrizioni di sicurezza sono tante; per molti probabilmente non sarà conveniente riaprire. E le verande esterne rimarranno chiuse fino al 15 giugno. Questo non lo capisco molto. Mi sembra più sicuro stare in strada, all’aperto, che all’interno del locale. Noi abbiamo una veranda estiva di 120 metri quadri, che era sempre piena. Già ora è dura, ma per l’estate perderemo un casino di soldi.

C’è stato un danno d’immagine per la cucina italiana, nei giorni in cui l’Italia sembrava un po’ “l’untore” d’Europa”?

No. I russi amano gli italiani. Tutti i miei clienti che hanno case o ville in Italia mi dicono di non vedere l’ora di poter tornare. Quanto alla cucina, c’è anzi un effetto sostituzione: visto che non posso andare in Italia, almeno mangio italiano. Considerate che, in generale, i ricchi qui non vanno a mangiare russo al ristorante. Vanno solo in locali di cucina straniera, e al primo posto ci sono sicuramente quelli italiani. Anche per questo sta andando così bene il take away di pasta e sughi pronti; per rifarsi a casa un po’ d’Italia. 

Crede che in Italia avrebbe potuto allo stesso modo parare il colpo con le consegne a domicilio?

Dico il vero, se fossi stato in Italia non avrei riaperto, perché le persone non sono ancora abituate al take away e il sistema di consegne non è ancora organizzato come qui. In Russia già solo Yandex.Eda è un servizio che funziona benissimo, e ce ne sono tanti altri di delivery. Certo, Yandex si prende il 25 per cento, ma gli ordini partono senza problemi. A Mosca erano già molto abituati a ordinare cibo pronto e quindi anche noi abbiamo potuto tenerci a galla; e cercare almeno di non perdere. Certo, bisogna investire in pubblicità su internet, e realizzare prodotti appositi: facili per il cliente, ma che garantiscano anche di non perdere qualità nel trasporto. Non mi metterei a fare la carbonara da asporto. Ho invece preparato delle basi da pizza romana, le ho congelate, e le vendo. Così il cliente a casa ci mette il pomodoro, la mozzarella e tutto quello che vuole (può comprare da noi anche questi ingredienti) e la inforna. Ed ecco una pizza praticamente uguale a quella che mangerebbe a un nostro tavolo. Abbiamo anche organizzato in breve tempo un negozio online, in collaborazione con fornitori italiani, dove vendiamo olive, pasta, formaggi… È una buona evoluzione.

C’è qualche lezione appresa in Russia che si sentirebbe di dare ai colleghi italiani in questa difficile fase di riapertura?

Adattarsi a ogni situazione, cercare di trovare quel poco o tanto di positivo che c’è in ogni cosa. Non chiudersi su se stessi pensando che quello che si è fatto finora tanto sta andando in malora, ma cercare soluzioni nuove. Io mai avrei pensato nella vita, con il tipo di ristoranti in cui ho lavorato, di fare un giorno take away. Né tanto meno di fare master class di cucina, specie online… Eppure mi è arrivata la proposta da una cliente e adesso funzionano. C’è una grande richiesta di master class di cucina italiana in questo periodo. E io, anche grazie al fatto che ormai parlo russo, posso spiegare tutto bene. Le faccio su Zoom, con venti, trenta persone alla volta in collegamento. Nell’ultima, per esempio, abbiamo fatto un millefoglie, un filetto di maiale con salsa al gorgonzola, un filetto di manzo con salsa di funghi, e un’insalata. Tento di insegnare cose semplici, perché se le persone riescono a farle bene già la prima volta, sono più soddisfatte e chiedono altre lezioni.

Come cambierà la ristorazione a Mosca dopo questa emergenza sanitaria?

Quando si potrà ripartire in pieno, saranno rimasti solo i ristoranti di lusso, per ricchi, e il livello basso, quello dei fast food. Scomparirà la fascia media; quella che si era fatto tanto in questi anni per costruire e far affermare anche in Russia.

Quando ci insegnò a cucinare il “kholodéts alla siciliana”, aveva detto di sognare di aprire a Mosca un ristorante di cucina italiana dai prezzi più democratici. Il coronavirus ha spazzato via questi piani?

Niente affatto. I piani non sono cambiati. Quell’idea vale ora come non mai. Qui a Mosca c’è un problema grandissimo con i prezzi degli affitti, estremamente alti. Spero che ora, in conseguenza della situazione, si abbassino, e che da questa emergenza nasca l’opportunità di una ristorazione più democratica. Io quella fascia media di ristorazione che scomparirà per la crisi, voglio lavorare a ricrearla. Quando si va giù, prima o poi bisogna risalire. Questo la Russia ce lo insegna.

Già dopo sanzioni e controsanzioni qualcuno pensava che non fosse più possibile una vera cucina italiana in Russia, e ora?

La situazione è migliorata dai primi tempi delle sanzioni. Negli ultimi tre, quattro anni il mercato qui si è molto evoluto. Troviamo anche la burrata di altissima qualità, fatta da italiani che hanno aperto in Russia. La verità è che la nostra è anche una cucina semplice. A noi italiani ci basta la farina, che arriva, e delle uova buone, che si trovano, per fare la pasta fresca. E sei già a posto. A Mosca poi non mancano certo i prodotti di alta qualità. Speriamo solo che con questa situazione di pandemia e lockdown non si fermino le importazioni. Per esempio, ora abbiamo problemi con il pesce fresco. Non arrivava dall’Italia, ma dalla Tunisia, ma era di buona qualità, ma dopo l’emergenza Covid non si trova più. Poi per noi sono fondamentali i pomodori pelati…

Cosa cucinerebbe per festeggiare la fine della pandemia?

Beh, il mio piatto preferito; semplice e classico: degli spaghetti alle vongole. Qui se ne trovano di molto buone. Vengono da Vladivostok.

In Italia pensa che i suoi colleghi chef saranno costretti a cambiare registro?

Io sono un po’ un conservatore. Ritengo che una persona debba capire quello che mangia, e che non ci sia da mescolare troppe cose. Ovviamente in Italia il livello del fine dining è molto alto, ma il gusto da noi c’è sempre stato, anche al tempo delle trattorie. Penso che si tornerà a porzioni più grandi e con meno spume e spumette e più cose concrete. La creatività non è aria e presentazione. È anche una certa essenzialità. Certe crisi lo fanno capire.


Marta, che lavora alla scuola italiana di Mosca: “Com’è cambiata la vita in Russia con il Covid” 

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