A raven stretches its wings as it sits on a post inside the 30 km (18 miles) exclusion zone around the Chernobyl nuclear reactor near the village of Babchin, some 370 km (217 miles) southeast of Minsk, December 23, 2009. The sign reads: "Radiation hazard"
ReutersUn corvo sopra a un cartello con la scritta “Pericolo radiazioni”. Fonte: Reuters
Raggiungere Pripyat, oggi, significa intraprendere un viaggio andata e ritorno verso l’inferno. Sono trascorsi trent’anni. E questa zona continua a essere un luogo fantasma. Solo la vegetazione tutto attorno cresce inesorabilmente, ingoiando le ultime testimonianze di una vita che, fino a prima di quel 26 aprile, scorreva tranquillamente.
Il viaggio
Prima di iniziare questo viaggio è necessario trovare un’agenzia che organizzi visite nelle zone interessate dal disastro. Secondo la legge, infatti, le visite private non sono consentite. E il permesso per entrare in questa zona viene rilasciato esclusivamente a chi lavora al del sarcofago (la volta in cemento che ha ricoperto l'edificio che ospita il reattore esploso, ndr) e al sistema di sicurezza di questo luogo. Per tutti gli altri, l’unico modo per accedere a questa zona è attraverso una di queste agenzie, le uniche autorizzate dal governo.
Sulla sinistra, il sarcofago costruito per ricoprire l’edificio dove si trova il reattore esploso. Fonte: Reuters
Cercando su internet, si possono trovare informazioni molto interessanti: si può scegliere tra visite individuali (un’opzione alquanto costosa) o visite standard, con più passeggeri. Il prezzo varia dai 60 ai 300 euro, e si può scegliere tra una guida in inglese e una in russo. Anche la data della prenotazione risulta importante: nel caso in cui si prenoti con un mese di anticipo, si può ottenere uno sconto del 25%.
Questi sono i passaggi che consentono di entrare, finalmente, a visitare il famoso reattore N. 4 di Pripyat, a Chernobyl.
L’arrivo
Nonostante il livello di pericolo nella zona non sia troppo elevato, è necessario prendere misure di precauzione. Il problema principale consiste infatti nelle particelle contaminate che possono trovarsi ancora nell’aria o nella terra. Per questo motivo decido di acquistare, esclusivamente per questo viaggio, abiti e scarpe in un negozio di vestiti usati.
Arrivo a Kiev la notte prima del viaggio. È una mattina fredda e nevica. Il cielo è dipinto di grigio. Il tempo è esattamente come me lo ero immaginato.
La zona si trova a circa 110 chilometri a nord-est di Kiev, a circa un’ora e mezzo di auto. Sono molto stanco e non mi risulta difficile dormire. Al mio arrivo, la neve ricopre interamente il paesaggio e il grigiore dell’inverno ci accompagna durante tutta la visita.
Operai al lavoro nella città fantasma di Pripyat, a pochi chilometri di distanza dalla centrale nucleare di Chernobyl. Fonte: AP
L’ingresso
Mano a mano che ci avviciniamo al checkpoint di Dityatki, iniziamo a vedere cartelli di avvertimento sulle radiazioni. Attraversare questa zona è come oltrepassare una porta ed entrare in un mondo diverso. Davanti a noi si apre una strada dritta, coperta da uno spesso manto di neve.
Anche questo sentiero non dà l’impressione di essere un semplice sentiero ricoperto di neve, bensì la via che conduce a un altro mondo. Osservandolo, non posso fare a meno di pensare al film “Stalker”, girato sette anni dopo la catastrofe.
Dentro al reattore
Avvicinandoci al grande segnale con la scritta Chernobyl, iniziano ad apparire i primi edifici. Danno l’impressione di essere una grande città. Ma, osservandoli, la sensazione di immensità, stranamente, scompare.
Entrando in quella piccola città, praticamente deserta, queste sensazioni si fanno via via più profonde. Ad accoglierci all’ingresso, l’Angelo con la Tromba, un monumento eretto dopo la catastrofe. Poco più in là, un cimitero simbolico le cui lapidi rappresentano tutti i luoghi che sono scomparsi dopo questo disastro nucleare.
Incamminandoci sulla via principale della città, sulla sinistra si intravede un negozio che continua a essere aperto ancora oggi. Sugli scaffali non ci sono molte cose. Solamente alcuni semplici prodotti e dei souvenir per i turisti.
Avanzando per i resti di questa piccola città, ci si avvicina al bosco. Poco più in là si intravede il reattore N. 4, i reattori 5 e 6, la cui costruzione non è mai terminata, e l’enorme sarcofago che spunta all’orizzonte.
Piano piano ci avviciniamo al cuore della tragedia. E la centrale nucleare si fa via via sempre più grande. Al centro del reattore nucleare si intravede un altro monumento, dedicato ai lavoratori della centrale, morti in tragiche condizioni.
Una bambola spunta dai letti di un asilo abbandonato nella città di Pripyat. Fonte: Reuters
La città fantasma di Pripyat
Avanziamo verso Pripyat, città il cui nome probabilmente è quello meno conosciuto in tutta questa tragedia, nonostante sia stato il luogo che più di tutti ha sofferto le conseguenze della catastrofe. Scomparve dalla sera alla mattina, trascinando in questo inferno buona parte della sua popolazione.
La città si fermò così nel tempo. E l’unica cosa che continua ad avanzare, qui, è la vegetazione che continua a crescere tutto intorno.
All’ingresso della città troviamo un altro checkpoint. La vegetazione copre le strade, una volta affollate di gente, le piazze, i boulevard, i parchi. La luce si fa fioca.
Entriamo nel cuore della città e ci avviciniamo finalmente a uno dei luoghi più impressionanti di questa zona, trasformatosi negli anni nel simbolo macabro di questa tragedia: la ruota panoramica di Pripyat. Si trova qui, abbandonata, esattamente da trent’anni. Come in attesa di un’inaugurazione che non avverrà mai.
Un gatto spunta tra le vie di Pripyat. Sullo sfondo, la ruota panoramica abbandonata, diventata uno dei simboli della catastrofe. Fonte: Reuters
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