Donald Trump.
: APQuel che è certo è che i due tag di sviluppo più probabili dell’anno appena trascorso, qualunque siano i parametri di valutazione, riguarderanno la Brexit e Trump.
Il 2016 ha prodotto un trend di deglobalizzazione e di deintegrazione nell’Unione Europea ed è stato segnato da una svolta nella guerra civile in Siria dove la riconquista di Aleppo da parte del governo legittimo del Paese ha assicurato nuove chance al processo di pace.
La rivolta contro gli “Stati Uniti d’Europa”
La Brexit è quasi una sorta di vendetta post-mortem di De Gaulle, il fondatore della Quinta repubblica francese, il cui commento sarebbe stato che la Gran Bretagna ha così rinnegato la sua effimera e capricciosa ambizione di far parte dell’Europa.
La verità è che il 52% degli isolani che hanno votato per il Leave al referendum spartiacque del 23 giugno rappresenta un mix peculiare di tipologie di elettori comunque mossi da una solida motivazione.
Benefici come il libero scambio, che costituivano la spinta originale dell’interesse della Gran Bretagna a un contatto con il continente, sono scemati, mentre il deficit commerciale è aumentato, alienando le PMI orientate al mercato domestico.
Le aree ricche ed economicamente autosostenibili del Sud-est del Paese e i politici che si consideravano subordinati alla volontà degli esecutivi non eletti di Bruxelles si sono così schierati per il Leave.
Far parte della famiglia europea e obbedire a regole comuni di coesistenza e interazione si è rivelato un onere spropositato per alcuni residenti delle Isole britanniche. Si dice che la Regina abbia segretamente favorito il divorzio dall’Europa, unendosi così involontariamente al clan degli euroscettici, rappresentato da personaggi bizzarri come Nigel Farage e Boris Johnson.
Si è detto inoltre che il “gigante addormentato” – secondo la definizione usata dal romanziere scozzese Irvine Welsh per caratterizzare il nazionalismo inglese – si è ora risvegliato.
“Poiché il vero gigante addormentato non è il nazionalismo scozzese, bensì la sua versione inglese”.Di fatto la Brexit è una rivolta contro i regolamenti eccessivi dell’Ue e la sua incapacità di affrontare la crisi migratoria unita al timore di dover accettare ulteriori concessioni alle richieste degli artefici della struttura degli “Stati Uniti d’Europa”, fino ad abdicare alla propria sovranità nazionale.
Per ironia della sorte, la Gran Bretagna che è stata l’avanguardia di una dinamica politica di globalizzazione, ora sembra aver perso l’entusiasmo per scalare altri traguardi e spingersi oltre.
Lo spauracchio di perdere in competitività sulle altre nazioni e minare la propria identità nazionale ha avuto il sopravvento sui vantaggi che si potevano conseguire da una standardizzazione del mondo occidentale. Come ha rivelato il super-sondaggio di Lord Ashcroft sulla Brexit, a ispirare i Leavers è stato “il principio che le decisioni relative alla Gran Bretagna devono essere prese in Gran Bretagna”.
Dalla Russia la rinascita inaspettata del principio della “sovranità nazionale”, nel set di valori accettati da una parte della classe politica britannica, è stata accolta come un segnale positivo. Dopotutto, si fonda sui principi di Westfalia che sanciscono il rispetto dell’identità nazionale e l’obbligo di astenersi dal riformare con la forza le altre nazioni a propria immagine.
La crescita dei movimenti anti-élite
Il 2016 è stato anche caratterizzato da ripetute intimidazioni da parte dei media mainstream contro le élite - che richiamavano le teorie dello scientismo positivista di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto - di cui si sono fatte portavoce alcune organizzazioni politiche come il Fronte nazionale (Nf), in Francia, o Alternativa per la Germania (AfD).
Molti movimenti sono stati etichettati come di “estrema destra” o “populisti”, eppure queste stigmatizzazioni troppo semplificatorie sembrano in contrasto con la realtà.
Né l’NF, né l’AfD sono mai stati finora al potere e di conseguenza non si può certo attribuirgli la responsabilità di aver fatto bombardare dall’aviazione francese e tedesca una città europea come Belgrado o aver distrutto i ponti sul Danubio per perseguire una linea politica tipica dell’ultradestra.
Né sono responsabili dello scatenarsi della guerra in Afghanistan contro i talebani, presunti colpevoli dell’11 settembre (malgrado la loro apparente vergognosa condotta e i loro primati) e neppure sono stati gli ispiratori di un cambio di regime in Iraq con il pretesto che il dittatore Saddam Hussein si trovava in possesso di armi di distruzione di massa (cosa risultata non vera) ed era pronto a colpire l’Occidente.
E non possono neppure essere tacciati di minacce di maltrattamenti nei confronti degli immigrati clandestini. Specialmente dopo che la Commissione Europea ha esortato ai primi di dicembre le singole nazioni a dissuadere i richiedenti asilo dal raggiungere i paesi del Nord Europa (in particolare, la Germania) e a marzo a rispedire i migranti in Grecia.
E nessuno ha mai osato classificare il ramo esecutivo dell’Ue come una struttura di “estrema destra” o “populista” come invece è stato fatto con l’NF e l’AfD.
Il populismo ha acquisito delle connotazioni negative, benché originariamente come speiga il Cambridge English Dictionary, sia stato definito come “ ideologia e prassi politica che si prefigge di mettersi al servizio della gente comune per soddisfare i suoi bisogni”. Non regna dunque una gran confusione?
Non è compito forse della democrazia (nell’accezione greca di “governo del popolo”) prefiggersi di “soddisfare i bisogni della gente comune?”
Non è difficile concordare con John Henley, corrispondente del Guardian da Bruxelles, quando dichiara che “un vento di ansia, risentimento e cambiamento dettato dall’antipolitica sta soffiando sull’Europa”.I movimenti anti-élite stanno acquisendo consensi in Gemania, Francia, Italia, Spagna e nei Paesi Bassi. Il tempo sembra essere dalla loro parte.
Trombettieri di un nuovo ordine mondiale
Le linee di politica internazionale devono essere sottoposte a revisione ora che la classe politica americana si è frantumata producendo dei rappresentanti che mirano a una politica rivolta all’interno per “riportare l’ordine in casa” (pensiamo allo slogan “Rendiamo l’America di nuovo grande”) e a una politica estera non interventista.
Tuttavia, il presunto “isolazionismo” di Trump, tanto biasimato, non contempla la Russia. Le aperture e le dichiarazioni distensive testimoniate dalla telefonata e dalla corrispondenza intercorsa tra Putin e Trump sembrerebbero confermarlo.
“Ciò che risulta chiaro nello scenario mondiale del 2017 è che non si può ignorare la Russia di Putin” dichiara Peter Ford su Christian Science Monitor.
L’efficace combinazione di diplomazia e task force militare attuata da Mosca nel conflitto siriano e altrove ha aiutato la Russia a riguadagnare il suo status ufficiale di mediatrice e negoziatrice di potere. Alcuni analisti hanno persino affermato che nel 2016 la Russia è finalmente riuscita a “ribaltare” a suo favore i risultati della Guerra fredda.
Va notato, come ha scritto di recente Robert W. Merry, opinionista del National Interest che “tra tutti i candidati alle presidenziali del 2016 il solo Trump ha optato per una ricetta politica che mira a rivedere la linea provocatoria di espansione verso Est dell’Occidente per ridurre le tensioni e testare le vere intenzioni della Russia” .
Eppure ogni “reset” sul fronte bilaterale può comportare dei costi. Trump sembra aver rielaborato le classiche strategie di riequilibrio alla Kissinger che puntavano a rivedere nel 1971 la linea della diplomazia amichevole del ping pong tra gli Stati Uniti capitalisti e la Cina comunista.
Così come l’amministrazione Nixon aveva magistralmente giocato la carta cinese contro l’Unione Sovietica, il governo Trump cercherà di allinearsi con Mosca nella sua strategia bellicosa nei confronti di Pechino.
Si è già rilevato come Putin abbia enfatizzato le relazioni tra la Russia e la Cina oltre il livello della “partnership strategica” per mandare un segnale a Washington sul fatto che non sono negoziabili.
Tuttavia, la “linea rossa” di Putin non inibisce il riavvicinamento con gli Stati Uniti che nella definizione del presidente russo continuano a restare “l’unica superpotenza del mondo”.
Tutto sommato, il nuovo anno potrebbe non procedere lungo i binari della solita routine. L’insediamento di Trump, la Brexit, la crescita di consenso dei movimenti anti-élite in Europa continueranno a restare inevitabilmente una sfida se non avverrà un cambiamento dell’intero ordine mondiale.
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