Il premier dimissionario Matteo Renzi.
ReutersL’anticonformista 41enne amante di Twitter ha commesso un goffo errore nel 2015 promettendo di andarsene se i cittadini italiani avessero respinto le sue grandi riforme della legislazione nazionale.
Questo dimostra la debolezza di Renzi come tattico, ma non mette in discussione la sua corretta valutazione sulla necessità di rinvigorire il fragile sistema di governo italiano, il 64° dal secondo dopoguerra.
Due ragioni per cui la "perestrojka" renziana non è riuscita
Con l'obiettivo di abolire de facto il Senato, Renzi ha fatto lo stesso errore di Mikhail Gorbachev, che aveva ceduto alla pressione delle anti-élite e riformato in primo luogo il sistema politico, trascurando l'economia e la base sociale.
Questo produsse un governo malsano, incapace di governare un Paese che si era squarciato e crogiolato nella pericolosa illusione di una "soluzione rapida" a tutti i mali del sistema sovietico.
Per Renzi, sarebbe stato saggio affrontare i problemi “sul bruciatore anteriore”. Quasi a zero la crescita del PIL dal 2000 e disoccupazione giovanile leggermente ridotta, ma ancora fissa al 36,4% (e salutata come una gloriosa impresa). Non sorprende che nelle zone più colpite dalla mancanza di posti di lavoro, il 65,8% dei votanti abbia respinto la riforma di Renzi.Sarebbe stata tutta un’altra storia se il Premier Renzi, dopo mille giorni, avesse potuto davvero affermare di aver impostato l'economia su una traiettoria ascendente e restaurato la fiducia della comunità degli investitori.
Avrebbe ottenuto un solido mandato e "bonificato la palude burocratica" se fosse riuscito a "riportare a casa la pancetta", come dicono gli australiani. Nel contesto della penisola appenninica, sarebbe stato portare il Prosciutto di Parma “di sotto” in ogni paesino sperduto, cioè nel Sud Italia.
In secondo luogo, l'idea di tagliare su misura la camera superiore, diluire i suoi poteri, sostituire i senatori eletti con rappresentanti regionali, riequilibrare a favore del Centro e a scapito delle province, avrebbe comportato una rigida struttura esecutiva verticale.
Avrebbe forse meglio soddisfatto l’intento della "gestione della crisi", ma portato alla fine del Senato, una delle istituzioni più durature della storia romana. È un po' troppo per un momento travagliato come questo. L'Italia semplicemente non è in forma e non è in vena di una "perestrojka" che non porti risultati immediati.
Perché mettere alla prova la pazienza in anni di magra?
Nonostante la penosa battuta d'arresto al referendum, i russi probabilmente avranno dei bei ricordi di Matteo Renzi. Come uomo politico distinto, seppure con carenze intrinseche, presunzione giovanile e lo stile “si può fare” alla Obama, Renzi sarà ricordato per il suo spirito visionario e le sue buone intenzioni.
Ma l'ex boy scout cattolico ha calcolato male il profondo risentimento delle classi dirigenti, non solo in Italia, incapaci di superare le crisi strutturali, economiche e sociali che devastano il continente.
Per questo è difficile comprendere la logica di un "Matteo II", Matteo Salvini, che alla notizia ha reagito su Facebook con un’esplosione sconcertante di eccitazione: "Viva Trump, viva Putin, viva la Le Pen e viva la Lega".
Essa riflette i sentimenti anti-UE di chi segue tendenze non dominanti, ma avrebbe più senso se la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania e il Movimento Cinque Stelle potessero articolare una narrazione convincente di politiche alternative su come correggere gli errori dell’unione e dell'Italia. Questo manca ed è un handicap comune a tutti i partiti in prima linea.
Alla fine, il Premier in uscita deve aver sentito la gente alle urne replicare, dopo aver sostituito il nome, il famoso discorso di Marco Tullio Cicerone contro Catilina: "Quo usque tandem abutere, Renzi, patientia nostra?” (Fino a quando dunque, Renzi, abuserai della nostra pazienza?, ndr).
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