Disegno di Aleksei Iorsh
La svolta verso Oriente tanto reclamizzata dai politici russi per ora appare poco realistica. L'Oriente, e in primo luogo la Cina, non sono riusciti ad ammorbidire la posizione dell'Occidente, e soprattutto dell'Europa, nell'ambito del commercio. Perdipiù il fatturato del commercio tra Russia e Cina dopo cinque anni di rapida crescita mostra una brusca frenata. Non si sono avverate le speranze degli imprenditori russi che vedevano nella Cina, dopo l'introduzione delle sanzioni finanziarie, un’opportunità, per potere (e volere) sostituire per suo tramite le banche occidentali e le società nella concessione di capitale. Tuttavia, sarebbe in ogni caso prematuro trarre delle conclusioni troppo azzardate dall’andamento del 2015 e liquidare un’idea tanto attrattiva.
I principali fattori che sono apparsi come segnali della crisi dell’interscambio Russia-Cina sono da collegarsi alla caduta dei prezzi del petrolio per molti versi responsabile del brusco crollo della divisa russa che negli ultimi dodici mesi ha perso oltre il 45% del suo valore contro il dollaro. Nel 2013 (prima della caduta dei prezzi del petrolio) la sola categoria merceologica di “combustibili minerali, petrolio e prodotti petroliferi” rappresentava più di due terzi della quota dell'export russo in Cina. E benché le forniture di greggio dalla Russia siano aumentate nell'anno in corso del 26,6%, ciò non basta comunque a compensare la caduta del 45% dei prezzi del petrolio registrata a partire dalla metà del 2014, e il calo nelle esportazioni di carbone, prodotti petroliferi e shale gas. La riduzione complessiva di un terzo del prezzo di tali forniture dalla Russia ha determinato in sostanza il 20% in meno di esportazioni russe in Cina nella prima metà di quest’anno.
La brusca svalutazione della divisa russa registrata alla fine del 2014 e all'inizio del 2015 ha provocato in misura evidente la diminuzione delle importazioni russe: il quadro aggregato delle importazioni in Russia nella prima metà dell'anno ha subito un calo del -38,5%. Di conseguenza non deve stupire una diminuzione dell’export di prodotti cinesi in Russia dell’entità del 36%.
Se ancora un anno fa, vale a dire fino alla metà del 2014, nessuno dubitava che le due potenze avrebbero incrementato al massimo nell’anno in corso il volume dell’interscambio commerciale raggiungendo la quota di 100 miliardi di dollari, attualmente ipotizzare una quota di 70-75 miliardi di dollari come bilancio annuale (corrispondente a un calo di -5-10% rispetto al 2011), appare oltremodo ottimistico. Perdipiù oggi è risultato evidente come, con gli attuali prezzi dei prodotti petroliferi, raggiungere nel 2020 la quota secondaria prevista di 200 miliardi di dollari, non sia assolutamente ipotizzabile.
L’impennata registrata nell’interscambio Russia-Cina negli anni dal 2004 al 2015 si fondava su tre ordini di fattori: il decisivo miglioramento delle relazioni politiche tra le due potenze; l’aumento dei prezzi del petrolio e del greggio; la firma di una serie di accordi che avevano aperto la strada agli idrocarburi russi nel mercato cinese. L’effetto è stato che dal 2003 al 2013 (l’ultimo anno in cui si registrano dati statistici attendibili sul commercio mondiale) la quota della Cina nell’import russo è triplicata, passando dal 5,8% al 16,9%. Mentre il volume delle esportazioni dei prodotti russi in Cina risulta persino un po’ calato in questi 10 anni, passando dal 2,3% al 2%, il che è principalmente dovuto al fatto che l’export russo si sia prevalentemente concentrato sulle materie prime.
Ipotizzando che il commercio estero dei due paesi potrebbe in certa misura equilibrarsi entro il 2020, per raggiungere il traguardo di 100 miliardi di dollari di esportazioni russe in Cina, occorre triplicare la quota registrata quest’anno, garantendo un aumento costante annuo del 25%. Non si può negare che ciò sia possibile: tra il 2004-2005 e il 2010-2011 si erano verificati ritmi di crescita dell’export russo in Cina di questo livello. Ma in ogni caso quello dell’impennata dell’export è stato un fenomeno passeggero che si basava sull’incremento dei volumi fisici delle esportazioni di petrolio russo in Cina e sull’aumento dei prezzi mondiali dei prodotti petroliferi.
Senza dubbio persino la crescita economica ora più lenta della Cina avrà bisogno di volumi aggiuntivi di materie prime (una nicchia per l’incremento della produzione in Russia), ma attualmente l’economia russa non dispone di impianti liberi per la produzione di greggio che potrebbero garantire un’impennata nelle forniture russe alla Cina nei prossimi cinque anni.
I prezzi del petrolio costituiscono il principale freno anche per l’aumento delle esportazioni cinesi in Russia (nonché per quelle europee): per incrementare l’import della Russia occorre aumentare i proventi complessivi delle esportazioni. Quest’ultimo obiettivo sarebbe conseguibile o mediante l’intenso potenziamento di una produzione concorrenziale negli altri segmenti – il che appare attualmente poco realistico – o mediante l’aumento dei prezzi mondiali del greggio.
In conclusione va detto che non si tratta di una sostituzione dei prodotti occidentali con quelli orientali destinati al mercato russo. La Russia intrattiene con l’Europa intensi scambi commerciali e per molte categorie i prodotti europei non hanno rivali. Russia e Cina hanno un valore di scambi pressappoco analogo nell’economia mondiale. E se l’attuale tasso di crescita dell’economia cinese (7% l’anno) contribuirà inevitabilmente a garantire l’innalzamento della quota cinese nel Pil mondiale, la stagnazione e i ritmi estremamente bassi di crescita dell’economia della Russia produrranno invece l’effetto contrario, portando a una diminuzione della quota russa nell’economia mondiale. Proprio l’incertezza di una reale prospettiva di crescita dell’economia russa costituirà il principale ostacolo nel futuro aumento del volume di scambi tra le due potenze nei prossimi anni.
L'autore dell'articolo coordina il team di analisti del Centro sviluppo dell'Alta scuola di Economia di Mosca ed è stato vicepresidente e amministratore delegato della Banca Centrale dal 1995 al 1998
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