Il petrolio e il futuro delle estrazioni

Veduta aerea di una piattaforma petrolifera

Veduta aerea di una piattaforma petrolifera

Ria Novosti/Alexey Danichev
Mosca ha ammesso la sua carenza di attrezzature tecnologiche nell’industria estrattiva offshore. Un problema fondamentalmente legato alle sanzioni e che rende indispensabile la cooperazione con altri paesi

La Russia è in ritardo nella strategia di sostituzione delle importazioni nel settore delle attrezzature per piattaforme offshore per la produzione di petrolio. Diventa quindi indispensabile una cooperazione con altri paesi che abbiano un’esperienza di lavoro in questo settore. Ad annunciarlo sarebbe stato il 22 settembre scorso il vice premier russo Aleksandr Khloponin, secondo quanto riferisce l’agenzia Interfax. In particolare, alle compagnie americane ed europee sarebbe stato proibito di fornire i loro servizi per l’esplorazione e la produzione di petrolio su piattaforme russe offshore a una profondità superiore ai 150 metri.

La piattaforma petrolifera dei record

Tuttavia, a detta di Khloponin, esistono molti paesi che dispongono di un’esperienza di lavoro su piattaforme offshore che non hanno introdotto sanzioni contro la Russia. Del resto, secondo le previsioni del Ministero dell’Energia, la Russia dovrebbe produrre, entro il 2035, 50 milioni di tonnellate di petrolio offshore, vale a dire il 9,5% della quota di petrolio complessivamente prodotto. “A bloccare lo sviluppo dei giacimenti offshore non sono soltanto le sanzioni, ma il brusco crollo dei prezzi del petrolio. Nell’attuale congiuntura di mercato la realizzazione di costosi lavori per la posa di gasdotti nell’Artico appare del tutto svantaggiosa”, sostiene Ilya Buturlin, direttore di Hedge.pro. 

I fattori principali

Il problema della sostituzione delle importazioni è sorto nel 2014 quando l’Ue e gli Stati Uniti hanno proibito le forniture di attrezzature tecnologiche per lo sfruttamento dei giacimenti artici offshore. Prima di allora la maggiore compagnia petrolifera russa Rosneft e l’americana ExxonMobil avevano già scoperto il giacimento “Pobeda” nel Mare di Kara ed eseguito la perforazione di un pozzo, ma dopo l’introduzione delle sanzioni i partner stranieri sono stati costretti a sospendere la loro partecipazione al progetto.

“In Russia non sono mai state prodotte e neppure progettate attrezzature per il lavoro su piattaforme petrolifere offshore. Perché la loro produzione e il loro utilizzo siano giustificati rispetto all’import sul piano economico, devono essere prodotte in ingenti quantità per essere destinate anche all’estero”, afferma Georgy Vashchenko, responsabile delle operazioni nel mercato azionario russo per Freedom Finance. A suo avviso, attualmente in Russia solo tre clienti sarebbero in grado di soddisfare la domanda di attrezzature: Rosneft, il colosso monopolista del gas Gazprom e la compagnia privata Lukoil che estrae petrolio nel Mar Caspio.  

A detta di Petr Dashkevich, analista di Ufs Ic, le sanzioni non si ripercuoterebbero in misura tanto rilevante sullo sfruttamento dei giacimenti offshore quanto l’effetto del crollo dei prezzi petrolio. “Molti progetti annunciati sembravano attrattivi quando i prezzi delle risorse energetiche erano elevati” sostiene Dashkevich. Al contempo, a suo avviso, i contratti con i partner occidentali firmati prima delle sanzioni non sono finiti sotto la scure delle sanzioni, ma di fatto tutti i progetti sono stati procrastinati o annullati.  

La ricerca di partner

All’inizio del 2015 il Ministero dell’Industria ha messo a punto un piano per la sostituzione delle importazioni nel settore gaspetrolifero in cui si prevedeva di diminuire del 60-70 % la quota delle importazioni di attrezzature  per i progetti offshore entro il 2020. “Prima dell’entrata in vigore delle sanzioni le compagnie russe collaboravano con i fornitori americani, norvegesi e italiani, mentre ora tra i potenziali partner vengono indicati la Cina e la Corea del Sud” dice Ilya Buturlin. Inoltre, secondo i dati in suo possesso, per la localizzazione di attrezzature specifiche per le navi russe sarebbero già disponibili altre imprese come General Electric.

Tuttavia, secondo Dashkevich, a prestare tecnologia devono essere proprio le compagnie europee e americane poiché soltanto esse dispongono di un’esperienza di lavoro adeguata su piattaforme offshore soprattutto nell’Artico. “Le imprese asiatiche possono avere un’esperienza di lavoro offshore a livello locale ed essere interessate alla fornitura di attrezzature e di servizi aggiuntivi” aggiunge.

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