Un impianto della compagnia Lukoil
Ria Novosti/Ilya PitalevL'introduzione delle sanzioni contro la Russia in seguito alla crisi ucraina ha provocato una caduta dell’economia russa pari allo 0,5-0,65%. La restante recessione sarebbe da imputare al calo senza precedenti dei prezzi del petrolio. A tale conclusione sono giunti Andrey Sinyakov e Sergey Seleznev, consulenti della Banca Centrale e anche l’economista del Fondo monetario internazionale Agustin Roitman, secondo quanto riferito dal giornale Kommersant. Secondo fonti accreditate, il PIL russo tra gennaio e luglio del 2015 sarebbe sceso del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2014.
Dello stesso avviso è Vladimir Bessonov, direttore del laboratorio di ricerca sui problemi dell’inflazione e della crescita economica dell’Alta Scuola di Economia di mosca. “L’attendibilità di simili stime non può che essere approssimativa, tuttavia, posso confermare che il calo del Pil russo non è provocato in generale dalle sanzioni, ma piuttosto dai mutamenti dei prezzi energetici” sostiene Bessonov.
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I principali fattori
Secondo Bessonov, ne sarebbe una conferma la cronologia della caduta dell’economia russa e il rilevante calo del PIL cominciato non un anno fa con l’introduzione delle sanzioni contro la Russia, bensì dall’inizio del 2015 dopo la brusca caduta dei prezzi del petrolio. “Gli effetti delle sanzioni sui vari settori industriali russi sono di diversa natura. In alcuni segmenti si è potuta avviare una strategia di sostituzione delle importazioni. Tuttavia, a ripercuotersi sull’economia sono i tassi chiave e l’alto costo delle risorse creditizie all’interno del paese a essi collegato, e a soffrirne è soprattutto l’industria manifatturiera”, osserva Vladimir Bessonov. In particolare, alla fine del 2014 la Banca centrale da cui dipende il costo di tutti i tassi creditizi nel paese era stata costretta ad alzarli del 17% con il risultato che in seguito il costo si è dovuto abbassare fino al 10,5%.
Nell’indagine svolta dagli analisti della Banca centrale vengono descritti il modello di dinamica del PIL nel terzo trimestre del 2014 dopo l’introduzione delle sanzioni finanziarie contro la Russia e il calo dei prezzi del petrolio da 110 a 50-55 dollari al barile. Il modello utilizzato dagli autori è basato sulle analisi di uno dei fondatori della Scuola di Chicago, Arnold Harberger, e di Carlos Wei della Johns Hopkins University. In particolare, gli autori giungono alla drastica conclusione che nell’arco di cinque anni l’accesso al capitale sui mercati esteri risulterà praticamente impossibile e ciò dovrebbe annullare il debito privato interno entro il 2019. Secondo le loro stime, l’economia russa dovrebbe tornare a una crescita annua dell’1,5% entro il 2017.
Chi ne trae vantaggio
A detta di Aleksei Baskakov, direttore della sezione valutazioni della società “Finexpertise”, l’attuale congiuntura dipende dagli esportatori di risorse energetiche che ricavano profitti in valuta, ma per la maggior parte dei settori del mercato interno, a causa dell’aumento del costo del denaro, la situazione risulta ovviamente peggiorata. “Noi operiamo con tutti i settori economici e oggi non riscontriamo alcun cambiamento strutturale positivo in nessun settore, ad eccezione forse di quello delle strategie di sostituzione delle importazioni, finanziate dalle banche statali” sostiene Baskakov.
Perdipiù, a detta di Georgy Vashchenko, direttore della sezione operazioni sul mercato azionario russo di “Freedom Finance”, a causa del calo dei prezzi del petrolio, lo sviluppo dei giacimenti artici di shale gas risulta impraticabile. Di conseguenza, afferma Vashchenko, non ha senso investire maggiori volumi di capitali nell’acquisto di impianti colpiti dalle sanzioni. A suo avviso, “il principale fattore a provocare la recessione è l’inflazione, provocata dal crollo del rublo, a sua volta prodotto dal calo dei prezzi del petrolio e dal rifiuto da parte della Banca centrale di sostenere il corso della divisa russa”.
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