Sviluppare l'Artico. Il gioco vale la candela?

Vignetta di Konstantin Maler

Vignetta di Konstantin Maler

Perché a interrogarsi sulla convenienza del rapporto costi-benefici sono Paesi come la Norvegia? Perché a porsi la domanda non è invece il Canada? E perché la Russia ancora si chiede se valga la pena tornare a investire nella regione?

Negli anni Novanta l’Artide russa aveva un disperato bisogno di considerazione da parte dello Stato: una serie di tagli aveva decurtato i fondi destinati alla flotta delle rompighiaccio, al sostegno delle popolazioni indigene del Nord e dell’Artide e ai programmi di ricerca polare − al punto che i progetti della Stazione polare alla deriva furono completamente annullati. La Russia sta tornando ad affermare la propria presenza nell’Artide, anche se in misura inferiore rispetto ai tempi dell’Urss.

D’altronde, esiste forse un’alternativa per Mosca? Di questi tempi, come ho già scritto in diverse occasioni, lo stato di nazione artica non è garantito automaticamente, ma esige uno sforzo scrupoloso e costante, mirato al conseguimento di nuove conoscenze sui processi naturali e sociali in atto nella zona artica. Cosa sarebbe la Russia senza l’Artide, in termini geografici e di Pil? Sarebbe un Paese che in tutte le classifiche internazionali occupa una posizione ben inferiore. La Russia non ha alternative allo sviluppo dell’Artide, e non solo in considerazione delle nuove opportunità fornite dalla sua piattaforma continentale, ma anche in virtù del potenziale (in termini demografici, di sviluppo urbano e di risorse naturali) che essa ha già accumulato durante l’epoca sovietica.

Gli obiettivi per lo sviluppo dell'Artico

Inoltre, l’emancipazione delle Repubbliche dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale hanno reso la Russia un Paese sempre più “del Nord”, il che rende semplicemente inevitabile lo sviluppo delle sue regioni artiche. Al tempo stesso, tuttavia, occorre domandarsi quale sia per il Paese il modo migliore, più economico ed efficace per garantire la propria presenza nell’Artide. È vero che la Russia sta spendendo troppo per l’Artide? E i progetti per la modernizzazione della flotta delle rompighiaccio russe sono stati implementati? Il programma per modernizzare le navi rompighiaccio procede a piccoli passi e con ritmi decisamente poco ambiziosi. E malgrado il fatto che per l’esplorazione della propria piattaforma continentale e per competenze geologiche la Russia è decisamente indietro rispetto agli Usa e all’Europa del Nord, i tentativi di colmare questo divario ad oggi rimangono palesemente inadeguati.

Nell’ultimo decennio la Russia ha realizzato qualche rilevante iniziativa riguardo allo sviluppo delle infrastrutture? I progressi compiuti riguardano per lo più dei progetti singoli, come ad esempio lo sfruttamento da parte della Lukoil del giacimento petrolifero di Prirazlomnoye. Nel corso degli ultimi anni la maggior parte delle risorse è stata destinata alla raccolta di informazioni volte a legittimare la rivendicazione da parte della Russia di diversi milioni di chilometri quadri di piattaforma continentale nei pressi della dorsale Mendeleev. Un obiettivo per il quale la Russia la speso centinaia di milioni di dollari. Come dico ai miei studenti di economia: nessuno aveva mai speso tanto per rivendicare un terreno. Nel XIX secolo i cercatori d’oro affermarono i propri diritti sui giacimenti della California, dello Yukon e dell’Alaska per molto meno.

 
Clima, i segreti in un lago russo

Le spese sostenute dalla Russia sono state però rese necessarie dal fatto che negli anni Novanta il Paese, desideroso di entrare a far parte della comunità internazionale, aveva firmato una Convenzione Onu sul diritto del mare che impone ai Paesi firmatari di dimostrare la liceità di qualsiasi rivendicazione sulla piattaforma continentale che superasse il limite di duecento miglia dalla costa. Un requisito che la precedente suddivisione in settori, alla quale la Russia aveva aderito sin dagli anni Venti, non prevedeva. Quei costi possono dunque essere considerati come il biglietto di ingresso da pagare per accedere al club dei firmatari della Convenzione Onu sul diritto del mare.

Mi piacerebbe passare ad un altro aspetto della questione: come mai il ritorno su larga scala della Russia all’Artide, assolutamente giustificato, viene implementato così lentamente? È necessario fare una chiara distinzione: l’approccio allo sviluppo dell’Artide è piuttosto limitato. Che siano private, o interamente o parzialmente statali, le imprese operanti nel settore della produzione del petrolio e del gas e nell’industria estrattiva − come Lukoil, Rosneft, Gazpromneft − tendono a concentrarsi su un progetto specifico, tanto offshore che sulla terraferma. Di norma si tratta di progetti scelti in base ai principi dell’economia di mercato e sulla produzione di profitti nel medio termine.

Esiste però anche un approccio più ampio: quello dello Stato che, superando le semplici considerazioni basate sul rapporto costi-benefici, decide di affrontare un progetto specifico. Ed è questo il tipo di strategia che dovrebbe informare lo sviluppo dell’intero segmento russo dell’Artide (infrastrutture comprese), innestando uno sviluppo sostenibile per secoli a venire e a vantaggio delle generazioni presenti e future di russi. Naturalmente si tratta di un approccio che esula dall’economia pura e tocca anche i temi della sovranità, della concezione di Stato e della diffusa e massiccia presenza della Russia nell’Artide. Si tratta di due strategie diverse, che anziché essere messe a confronto o confuse tra loro dovrebbero coesistere. La politica artica dello Stato dovrebbe mirare ad assicurarsi che convivano in armonia, affinché attraverso la collaborazione tra pubblico e privato gli interessi di tutte le parti in gioco siano presi in considerazione, per il bene dello sviluppo sostenibile dell’Artide russa e nell’interesse di coloro che abitano in quella regione e di tutti i russi. 

L'autore dirige il Centro di economia nordica e artica del Consiglio per lo Studio delle forze produttive, ed è professore di economia e management

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