Director Andrei Konchalovsky at the premiere of his film 'Paradise' in Moscow.
Ekaterina Chesnokova/RIA NovostiIl regista Andrej Konchalovskij. Fonte: Ekaterina Chesnokova/RIA Novosti
A Venezia ha vinto il premio per la miglior regia. Ed era entrato nella short-list degli Oscar come miglior film in lingua straniera, anche se non è risultato poi tra i finalisti. Ora il Paradiso di Konchalovskij si prepara ad approdare nelle sale cinematografiche di Europa e Stati Uniti. Dove racconterà l'amore, il male, il dramma.
Alla vigilia della première del film, Rbth ha incontrato il regista Andrej Konchalovskij.
Il film riguarda l'Olocausto, un argomento che da un lato continua a essere molto utilizzato nel cinema mondiale, dall’altro è invece considerato da molti un tema “conveniente”. Non è un caso che negli ultimi due anni gli Oscar siano stati assegnati a pellicole dedicate proprio alla Shoah. Non ha ancora ricevuto critiche?
No, ma sono pronto a qualsiasi rimprovero. E poi cos’è un rimprovero? Non è che l’interpretazione di ciò che una persona ha visto sullo schermo. A qualcuno "Paradiso" potrebbe sembrare un semplice film sull'Olocausto. Non lo nego. Forse nella realtà dello spettatore che penserà questo così sarà. Da "Paradiso" ho volutamente eliminato qualsiasi ambiguità. Ora per questo mi vengono a chiedere, per esempio, se nella scena in cui la protagonista si getta al collo di una SS dicendo che rappresenta un grande popolo che ha diritto a qualsiasi atrocità, il tono è accusatorio o ironico. A questa domanda non rispondo mai direttamente. Forse è accusatorio, forse è ironico. Diciamo che, per non entrare nel labirinto della risposta a questa domanda, per me "Paradiso" non è un film sull'Olocausto. Viene mostrata la tragedia del popolo ebraico, ma questo non è il tema portante del film. Molto più importante per me era fare un film sul fascino del male. Il protagonista del film è un ufficiale delle SS, un uomo incredibilmente istruito e attraente. Ma è in questo che sta l'orrore.
Konchalovskij alla Mostra del Cinema di Venezia. Fonte: Geisler-Fotopress/Global Look Press
Questo ufficiale, tra l'altro, rispecchia molto il protagonista del romanzo di Jonathan Littell "Le benevole". Anche questo, forse, non è un parallelo casuale?
Non è casuale. Ha assolutamente ragione. Questo romanzo ha influenzato molto l'idea di "Paradiso". L'ho letto diversi anni fa e ne rimasi davvero colpito. Mi sembrava che questo romanzo fosse semplicemente impossibile da scrivere: assolutamente documentario, scritto in prima persona e allo stesso tempo capace di proporre al lettore di immergersi nel cuore delle tenebre. Mi è anche balenata l'idea di farci un film. Ma non sono sicuro che "Le benevole" sia adatto alla cinematografia. Ma il fatto che in "Paradiso" ci abbia visto il romanzo di Littell per me è una bella notizia.
Con "Paradiso" si è aperto un bellissimo destino internazionale: premi ai festival, un posto nella short-list degli Oscar e l'attenzione garantita del pubblico. È importante per lei quanto la sua pellicola venga correttamente percepita in Occidente?
Per me tutto quello che ha seguito "Paradiso" a Venezia e agli Oscar è una piacevole sorpresa. Grazie a Dio proprio negli anni in cui dall'Occidente hanno iniziato a battere contro la Russia, lì possono almeno vedere un film che può spiegare qualcosa sulla Russia e sui russi. Credo tutti capiranno correttamente.
Anche in Germania?
Con i tedeschi è più difficile. In generale trovo la condizione della nazione tedesca disastrosa. Non per la migrazione, né per il fatto che sono occupati dall’America; occupati letteralmente: dai tempi della seconda guerra mondiale, ancora oggi ci sono lì 80mila soldati americani. Ma una condizione disastrosa della nazione tedesca perché le è stato inculcato il senso di colpa. Un conto è se il senso di colpa nasce spontaneamente e una certa generazione se ne assume la responsabilità. Un altro conto è martellare la testa delle persone con la paura di essere politicamente scorretto, fino ad avere paura della propria ombra. È terribile stare a guardare. Non hanno cultura, è rimasta completamente distrutta. Spero che nascerà un nuovo grande spirito tedesco. Non che debba portare al nazismo. Per spirito tedesco intendo Hegel, Nietzsche, Schopenhauer, quella parte di cultura europea senza la quale non esisteremmo neanche noi. Perché hanno influito su di noi sia Hegel, sia Nietzsche, sia Schopenhauer, anche su Vladimir Lenin. Credo che i tedeschi vedranno questo film con orrore, guardandosi continuamente intorno e temendo di dire cosa ne pensano. Io ci ho parlato, loro abbassano gli occhi e arrossiscono. Per loro è molto difficile. Ma la nuova generazione non ha colpe, di nessun tipo! Sono i loro nonni ad essere caduti in questo tragico, terribile e torbido fiume del nazismo. Cosa c’entrano i figli e i nipoti? Da qui per loro inizia la sublimazione, appaiono teste rasate e altri criminali.
Una scena del film "Raj" (Paradiso). Fonte: Kinopoisk.Ru
Eppure i ruoli principali nel film sono girati da attori tedeschi.
Sa qual è la cosa più interessante? Gli attori che vivono nella parte orientale della Germania, che era sovietica, sono felici di impersonare i nazisti. Quelli della parte occidentale si rifiutano categoricamente. Questo è molto interessante, sarà qualcosa di psicologico. Hanno ancora paura, glielo hanno proprio inculcato. Quindi i tedeschi che recitano i ruoli principali vengono tutti dalla Germania orientale. E Himmler è interpretato dall’attore russo Viktor Sukhorukov.
Con "Paradiso" lei è tornato dopo una lunga pausa al cinema internazionale, nel vero senso della parola: ha fatto un film in diverse lingue, le scene sono state girate in Germania e in Francia, ci ha lavorato una troupe europea. Ci sono stati conflitti di mentalità?
La difficoltà principale sta nel fatto che le persone che lavorano nel mio gruppo non pensano all'orologio, ci dovevo pensare io. Non pensano a quando iniziare e finire il lavoro, ma lavorano, emotivamente coinvolti. In Germania o dritto o niente: per diagonale non si può. Per loro era strano che tardassimo due ore e poi girassimo qualcosa. Era strano quando giravamo sei ore al giorno invece di dodici. Eravamo capaci di arrivare, girare e andarcene. Noi partivamo e loro stavano altre sei ore lì per finire di guadagnarsi lo stipendio, anche se non c'era nulla da fare. In questo senso, le due mentalità non si incontravano. Noi li comprendiamo, loro no. Se parliamo degli artisti, invece, nessun problema: la passione c’era ed era quella giusta.
Una scena del film "Raj" (Paradiso). Fonte: kinopoisk.ru
In una delle sue interviste ha detto che dal suo precedente film "Le notti bianche del postino" (Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna) è iniziato un nuovo periodo della sua attività creativa. "Paradiso" è una continuazione di questo periodo?
Sì, certo. Forse ha notato lei stesso che le due pellicole sono molto diverse da quello che facevo dieci, venti o trenta anni fa. Forse solo in gioventù ho girato qualcosa di simile.
Ha influito nel suo processo di rinascita come regista il fallimento de "Lo schiaccianoci", che ha girato a Hollywood sei anni fa?
Tutto ha avuto la sua influenza, anche questo. Allora non avevo ancora capito che un regista russo non ha nulla da prendere a Hollywood. Lì servi solo come artigiano, se all’improvviso manifesti qualche ambizione un po' più alta rispetto alla media, tutti iniziano a metterti i bastoni tra le ruote. Quindi non ho nessun desiderio di tornare a Hollywood, con le sue gerarchie assodate, dove ti assegnano un qualche posto ai piedi della piramide. Tra l'altro, ha fatto caso a come è stato girato "Paradiso", dal punto di vista formale?
Intende dire che in quasi metà del film i suoi personaggi sono seduti e parlano con la telecamera?
Esattamente. Scrivere una sceneggiatura in cui in metà del film le persone semplicemente guardano la telecamera in primo piano e parlano è in un certo senso una totale follia. Se avessi dato questa sceneggiatura a uno studio di Hollywood qualsiasi, mi avrebbero detto: "Ma sei pazzo?" Per questo sono contento di vivere in Russia, dove simili follie possono passare. Noi stessi, purtroppo, spesso trascuriamo in che Paese libero viviamo.
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