Boris Eifman, ritenuto oggi il più grande coreografo russo.
: Sergej Konkov/TASSPer il celebre coreografo Boris Eifman questo sarà un anno memorabile. Ormai sulla soglia dei settant’anni (li festeggia il 22 luglio), è reduce dalla prima del balletto “Chajkovskij: pro et contra” ed è stato insignito del premio “Maschera d’oro” per il suo contributo di rilievo allo sviluppo dell’arte teatrale. Ha intrapreso con il suo teatro una lunga tournée europea che comprende tra le sue tappe Bratislava, Belgrado, Budapest e Vienna.
Lei ha raggiunto già da molto tempo la celebrità come coreografo e quasi ogni anno continua a produrre nuovi allestimenti originali. A quando risale il suo primo incontro con l’arte?
Sono cresciuto in una tipica famiglia dell’intellighenzia russa ed ero un bambino molto vivace: cantavo, danzavo, partecipavo a spettacoli teatrali. A otto anni ho avuto per caso una parte in un balletto: era “Il lago dei cigni”.
A otto anni che traccia ha lasciato su di lei questa esperienza?
La ricordo come se fosse ora: stavo nell’ultima fila, era la fine del terzo atto. La musica di Chajkovskij ha un’incredibile potenza drammatica. Su di me ha avuto un impatto emozionale fortissimo, mi ero inondato di lacrime. Quella sconvolgente emozione che ho provato allora mi ha fatto scoprire il mondo del teatro.
Quando ha deciso di dedicarsi al balletto?
Dopo quell’esperienza ho seguito un corso per bambini e poi mi sono iscritto alla scuola di danza. A 13 anni ho cominciato a creare delle coreografie e ho capito già in quel momento che avrei dedicato a quest’arte tutta la vita. Tenevo persino un diario in cui annotavo le mie idee e descrivevo le soluzioni per miei primi allestimenti.
E poi ha incontrato Iakobson…
Sì, a 15 anni ho incontrato Leonid Iakobson, un coreografo che ha avuto un destino tragico. In quegli anni i suoi allestimenti erano praticamente proibiti. Ho cercato di capire da lui come si diventa coreografi e mi ha stupito con la sua risposta: “Coreografi non si diventa, si nasce”, mi ha detto. Da persona sempre tormentata dai dubbi, ho cercato di mettermi alla prova per tutta la vita per capire se fosse così anche per me e sono arrivato alla conclusione che per tutta l’infanzia e l'adolescenza ho cominciato a esserlo.
La sua prima troupe si era già costituita ai tempi di Kishinev?
A 16 anni avevo già il mio piccolo corpo di ballo per cui allestivo degli spettacoli. È curioso, ma questi balletti avevano già allora una struttura drammaturgica. Fin dall’inizio non mi limitavo a scegliere una serie di figure e di movimenti, ma cercavo d’incarnare nella danza delle emozioni, delle idee, pensavo già in termini coreografici. Una carenza questa che purtroppo oggi riscontro negli ideatori di balletti.
Lei ha cominciato a lavorare attivamente già all’epoca in cui studiava: prima l'hanno chiamata in televisione per allestire un vero balletto, “Variazioni sul tema Rococò”, e poi a Leningrado all’Accademia Vaganova e al Piccolo Teatro. Com'è successo?
Non grazie a delle bustarelle, né alle mie conoscenze, come può intuire. A Leningrado ho avuto una vita difficile perché questa città fatica ad accettare chi viene da fuori. Mi ci sono voluti molti anni, più di dieci, per essere accettato. Credo di aver avuto queste proposte perché ho lavorato moltissimo. Il risultato è stato che Igor Belskij, all’epoca maestro di balletto del Piccolo Teatro accademico d’opera e balletto, pur non essendo stato il mio maestro, mi ha invitato a mettere in scena “Gayane”. Si è trattato di un caso davvero eccezionale perché ci conoscevamo appena e lui era stato maestro di Genrikh Mayorov, Valentin Elizarev. Eppure ha scelto me.
All'epoca della sua giovinezza c'erano più fiducia e attenzione nei confronti dei coreografi esordienti rispetto a oggi?
Ritengo che tutti questi discorsi sul fatto che oggi i giovani coreografi facciano più fatica ad affermarsi rispetto a un tempo siano un abile pretesto. A mio avviso, le cose per noi erano molto più complicate: nessuno ci teneva dei corsi speciali di formazione. Quando ero studente mi alzavo alle 8 per andare in sala ballo a creare le mie coreografie, poi alle 10 cominciava la lezione ed ero impegnato fino a sera. Avrei tanto desiderato assistere alle prove di Iakobson, ma lui, che m’invitava spesso a casa sua a cena e a bere vodka, non me lo permetteva. Lo capivo, gli creava ansia la presenza di estranei. Così ci andavo lo stesso e lo spiavo mentre lavorava da una finestrella o dalla fessura di una porta.
Probabilmente avrà anche lei molte persone che la spiano…In 40 anni di lavoro nessun giovane coreografo ci ha mai chiesto di assistere alle prove. Non riesco proprio a capire quali siano le motivazioni che spingono oggi un giovane a dedicarsi a questa professione. È una professione che esige una dedizione infinita, un’immersione totale in questo mondo, oltre a uno spirito di sacrificio, e che richiede uno studio e un’evoluzione costanti. Una prontezza a rispondere in qualunque momento alle sfide del destino e a realizzare l’opportunità che ti viene concessa. E di opportunità ce ne sono tante.
Perché ho un atteggiamento così fanatico? Perché voglio che nel mio Palazzo della Danza – il progetto che finalmente ho cominciato a realizzare – si formino dei giovani coreografi che possano poi lavorare nel mio teatro. Per ora vedo solo un candidato, Oleg Gabyshev, ma ora è seriamente impegnato nel ruolo di primo ballerino e solista nel mio teatro, e sostituirlo è impossibile.
Molti coreografi della sua generazione, come Jiři Kylian, Ek Mats, William Forsythe, hanno detto addio al balletto. Lei non ha mai questo desiderio?
Io lavoro ogni giorno sette ore al giorno in sala ballo. Inoltre, ho imboccato un percorso del tutto nuovo: intendo riallestire alcuni miei vecchi spettacoli. Abbiamo appena presentato la prima di “Chajkovskij: pro et contra”, un balletto che aveva ottenuto molto successo qualche tempo fa e che aveva vinto prestigiosi premi a Parigi e New York. Era uscito di cartellone ormai da alcuni anni e ho deciso di riportarlo in scena.
Nella sostanza, però, ne ha ricavato uno spettacolo del tutto inedito.
Quando ho rivisto il vecchio allestimento ho capito che “Chajkovskij” era un balletto che apparteneva al XX secolo. Ma a me non interessano le reliquie museali, ho bisogno di un balletto che risponda alle esigenze del mio teatro di oggi, alle mie esigenze… Ho capito che dovevo allestirlo ex novo. E ho creato uno spettacolo con una nuova coreografia, nuovi accenti drammaturgici e nuove soluzioni scenografiche. Si tratta uno spettacolo inedito nei contenuti e nello spirito che conserva il vecchio titolo. Già, Kylian, Forsythe fanno bilanci, mentre io, al contrario, ho ancora un desiderio irrefrenabile di creare e perdipiù scopro ogni giorno nuove opportunità.
Una delle sue ultime prime è stata quella del balletto “Rodin”. Perché ha scelto proprio lo scultore francese, e non, per esempio, Vera Mukhina o Michelangelo?
Potrei mostrarle mucchi di quaderni con i miei appunti su tutto ciò che so di Rodin e pieni di annotazioni in tutte le lingue con i giudizi dei critici e le mie riflessioni su di lui. Ma per creare figure, movimenti devo acquisire una gran quantità di informazioni e avere delle idee. A questo punto forse so molto di più io della vita privata di Camille Claudel di quanto non ne sappiano gli storici dell’arte specializzati. La creazione di un balletto richiede questa profonda immersione. E non si tratta solo di un lavoro a livello razionale, ma anche inconscio. Tutte queste informazioni occorrono per stimolare la coscienza, ma soprattutto la parte più essenziale di un coreografo, il suo inconscio. Le illuminazioni, le intuizioni hanno un ruolo molto importante nella creazione di uno spettacolo. Perciò prima di mettere in scena “Roden” ho trascorso sei mesi “alla scrivania” a studiare, per acquisire informazioni, conoscenze e prepararmi a questo lavoro. Ho ascoltato tutta la musica francese del XIX secolo e dell’inizio del XX: Ravel, Debussy, Massenet, Saint-Saëns, Satie. So che oggi i coreografi fanno a meno di questa conoscenza, ma per me un altro metodo sarebbe impensabile.
Boris Eifman è ritenuto oggi il più grande coreografo russo. Circa 40 anni fa ha fondato a Pietroburgo il corpo di ballo che ora porta il suo nome. Ogni anno Eifman crea per la sua troupe delle produzioni originali. Alcune di esse, come “Chajkovskij” o “La Gisele rossa”, sono entrate a far parte del repertorio del Balletto di Stato di Berlino, dell’Opera di Stato di Vienna e di altri teatri. Ha messo in scena sue produzioni al Marinskij e al Bolshoj, e al New York City Ballet. Nel 2013 ha fondato a Pietroburgo l’Accademia di Danza e ora sta curando il progetto di realizzazione del Palazzo della Danza.
Continua a leggere:
Balanchine, una vita per la danza
Polunin: “Così voglio liberare la danza”
Diana Vishneva, zarina sulle punte
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email