La testa di Oduvanchik è completamente ricoperta da uno scialle ricamato, e non è possibile capire di che colore siano i suoi capelli, se rossi (come un vero udmurto, direbbero in molti) o castano scuri.
“Per scoprire di che colore sono i capelli di una donna, non devi guardare la sua testa”, ride lei. Nell’aria gelida la sua risata si trasforma in vapore. “I nostri tempi sono piuttosto ingannevoli. Anche i capelli sono un inganno”.
Come il suo nome. In realtà non si chiama Oduvanchik (in russo: “tarassaco”) ma Svetlana. Si chiamava Oduvanchik prima che, poco più di quarant’anni fa, agli udmurti fosse richiesto di avere in tasca un passaporto (quello interno, assimilabile a una carta d’identità) e di avere nomi “normali”. Lei è pagana. “Come ogni udmurto nel profondo nella sua anima”, dice lei. Siamo accanto alla sacra capanna Kuala, che non differisce troppo da una comunissima isba russa.
“Gli udmurti sono politeisti. Non possiamo veramente descrivere in cosa crediamo. L’essenza della fede è la natura, che ha molti Dei”.
L’interno dell’isba è buio, l’atmosfera è accogliente e calda. Sparsi tutt’intorno ci sono vari oggetti rituali: coppe per i sacrifici con emblemi tribali e scialli degli anni Trenta ricamati con immagini dell’albero della vita. Sono tutte cose in mostra, e Oduvanchik-Svetlana è ufficialmente il collaboratore scientifico senior presso il Museo della riserva Ludorvai, che si trova nella Repubblica udmurta (1.200 chilometri a est di Mosca). Siamo nella regione degli Urali centrali.
Le differenze tra Nord e Sud
La maggior parte degli udmurti del nord e del sud vivono lungo i fiumi Kama e Vjatka in Udmurtia, proprio come secoli fa. Nel 2010, l’ultimo censimento russo, ha registrato 552.000 udmurti. Nel XVII secolo la strada siberiana passò attraverso la parte settentrionale della Repubblica. Era la vecchia rotta commerciale che portava dalla Russia europea fino al confine cinese. Questo è principalmente il motivo per cui gli udmurti del nord sono considerati più “russificati” di quelli meridionali. Questa è la prima differenza.
La seconda è l’aspetto fisico. Al sud gli udmurti hanno i capelli rossi e gli occhi azzurri, mentre al Nord hanno i capelli e gli occhi scuri. La terza differenza è il carattere: i meridionali sono aperti e i settentrionali più riservati. Il quarto elemento divisorio è la fede. Sebbene la maggior parte degli udmurti sia stata convertita all’Ortodossia alla metà del XVIII secolo, ci sono molti più villaggi pagani nel sud rispetto al nord ortodosso.
Le persone in ogni villaggio ricordano come gli udmurti si siano convertiti al cristianesimo. Tuttavia, mentre alcuni amano parlarne, altri preferiscono tacere. I metodi non erano sempre onesti e pacifici. Ma secondo la teoria di Oduvanchik-Svetlana, la fede è, per così dire, genetica. Non può essere né venduta né cambiata. Gli udmurti venivano chiamati “il popolo della foresta” e tali sono rimasti. La lingua udmurta non ha nemmeno la parola “città” nel suo vocabolario. La parola più vicina è kar, che si traduce come “nido”.
“Non siamo un popolo ribelle, non siamo categorici. Possiamo essere molto indignati dentro, ma non ci ribelliamo apertamente. Ingolliamo i bocconi amari. “Fintanto che nessuno ci tocca. Tutto è fatto in modo silenzioso”, pacifico.
Questo è fondamentalmente il modo in cui gli udmurti entrarono a far parte della Russia alla fine del XV secolo. A differenza dei vicini tatari, non avevano mai avuto un loro Stato. La gente viveva in piccoli insediamenti e non aveva mai avuto ambizioni di governo unitario.
La vergogna e l’orgoglio
“Essere udmurto significa essere limitati, di mentalità ristretta”, sostiene Nikita, che vive nella capitale udmurta, Izhevsk. Questo modo di pensare viene dal passato sovietico, quando l’Udmurtia divenne uno dei poli industriali del Paese (produzione di armi) e gli udmurti, in quanto popolo rurale non istruito, divennero sinonimo di lavoratori non qualificati.
“Oggi la gente parla apertamente delle proprie origini, ma prima avreste sicuramente sentito negare: ‘Io non sono udmurto, sono russo’. Anche perché sul passaporto è scritto che sono russi. Quando gli udmurti ricevettero il passaporto, nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento, avevano solo una scelta.
La conoscente di Nikita ha poco più di 30anni. Nella sua famiglia udmurta non ha sentito molto parlare in udmurto, quindi non capisce la lingua madre del suo popolo. L’udmurto non è insegnato nelle scuole (solo in alcune scuole rurali), non si sente nelle strade e non si vede sui cartelli. “Gli udmurti sono persone modeste. Imporre qualcosa non è nella loro mentalità”, osserva Nadja, che da 15 anni porta in giro i turisti in Udmurtia, mostrando loro il carattere etnico della gente, qualcosa che la Repubblica ha deciso di promuovere per attirare più persone.
Eppure, c’è una teoria secondo cui questa “modestia” deriva anche dal vergognarsi delle origini. Solo ora l’orgoglio nazionale ha iniziato a manifestarsi. Soprattutto nei fumetti, per quanto strano sia. I fumetti scritti in lingua udmurta sono la nuova tendenza.
Stregoni con le armi
Oggi la città è praticamente l’unica fonte di denaro, l’unico posto dove si possa lavorare. Il villaggio di Ludorvai ha il gas, una scuola e una biblioteca, ma non c’è ancora un negozio, una clinica e neppure una farmacia. È per questo che bisogna ancora fare in casa il pane, dice Anna Stepanovna.
Nel 1960 il 70% del villaggio di Karamas-Pelga, da cui proviene lei, era pagano. Riesce ancora a ricordare come tutti pregavano nei campi con le mani alzate verso il cielo. Quindi fu promessa in sposa a qualcuno che non conosceva, e fu portata a Ludorvai.
“Non conoscevo mio marito. L’avevo visto solo un paio di volte e non avrei mai pensato che lo avrei sposato. Ma è così che si faceva prima. Ora no, ovviamente…”.
Oggi, poco più di 1.000 persone vivono a Ludorvai. La città più vicina, la capitale Izhevsk, dista appena 19 chilometri. Anna Stepanovna lavora nel museo con Oduvanchik. Prima, venivano al lavoro a piedi, camminando per tre chilometri al lavoro, con qualsiasi tempo.
“Tutti i residenti di Ludorvai lavoravano nelle fabbriche di Izhevsk, mentre Ludorvai aveva enormi campi e kolkhoz (le fattorie collettive sovietiche). Oggi non ci sono più kolkhoz, solo aziende agricole private. Ma pochi ci lavorano. Alcune persone vivono in villaggi a cento chilometri dalla città. Vivono lì senza mai andare da nessun’altra parte. Le case sono di legno, hanno le loro piccole fattorie. Alcune persone vendono bacche, quando è stagione, altre vendono legno. I giovani si trasferiscono in città. Ritornano a vedere i loro genitori solo nei fine settimana. Non c’è praticamente nulla da fare lì”.
La maggior parte degli udmurti, avendo superato gli stereotipi del passato, lavora nelle fabbriche. Per inciso, questo popolo estremamente pacifico produce armi. La metà delle fabbriche Izhevsk (compresa la famosa Kalashnikov) è attiva nel settore della Difesa. Qui ricordano ancora la caricatura del New York Times del 1993: l’Udmurtia coperta di armi e una didascalia dove si legge che se si separasse dalla Russia, la Repubblica sarebbe in grado di combattere il mondo intero da sola per tre anni.
Ma temibili gli udmurti lo sono non a causa delle armi. C’è una voce popolare secondo la quale sarebbero stregoni. “Sono sciamani. Tengono cerimonie di guarigione”.
“Lo sciamanesimo non è scomparso. Ci sono sicuramente alcune cerimonie”. La voce di Anna Stepanovna diventa seria e profonda. I suoi occhi sono verdi, penetranti. “C’era una storia, in passato: un direttore di un kolkhoz fece affondare nel fiume una casa di preghiera, e morì pochi giorni dopo. Ma forse è stata una coincidenza…
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