Murmansk, viaggio ai confini del mondo

Turismo
AGNESE PALMA
La blogger Agnese Palma ci porta nella città più grande del pianeta sopra il Circolo Polare Artico, dove in estate la notte si confonde con il giorno...

Murmansk è stata costruita sulle ondulate pendici di un fiordo che affaccia sul mare di Barents. Non può certo definirsi bella o caratteristica. È unica in quanto parliamo di una città di circa 450.000 abitanti a 69 gradi di latitudine nord, la più popolata città del mondo sopra il Circolo Polare Artico. Appena un paio di gradi sotto Capo Nord, sorprende vedere le sue larghe strade con i filobus, l’Ikea, un enorme centro commerciale, un gigantesco porto, la gente a passeggio sotto il pallido sole artico. Sembra una qualunque città venti gradi più a sud in una fresca giornata di primo autunno. Per queste latitudini il clima è incredibilmente mite e il porto non ghiaccia mai per l’effetto benefico della corrente del Golfo. Il crepuscolo a Murmansk in agosto arriva dopo la mezzanotte, e dopo meno di tre ore è di nuovo giorno.

Al porto è ancorata la prima nave civile a propulsione nucleare del mondo, il rompighiaccio “Lenin”, ora trasformato in museo. Quando arriviamo è chiuso ma non ce ne rammarichiamo, ci è bastato l’incrociatore Aurora.

Dal molo del Lenin si vede un promontorio con un enorme soldato bianco di 35 metri che guarda il mare, come fosse il Cristo di Rio de Janeiro. Si tratta di Alyosha, come viene chiamato in diminutivo Aleksandr, generico nome russo. È il monumento al milite ignoto, dedicato ai difensori dell’artico nella seconda guerra mondiale, che un monumento lo meritavano davvero. Nonostante l’invasione della Norvegia e della Finlandia, i tedeschi non riuscirono mai ad impadronirsi del porto di Murmansk, e questo fu determinante nel fallimento dell’operazione Barbarossa (conquista dell’Urss) perché non riuscirono a chiudere il cerchio a nord di Leningrado e a tagliare i rifornimenti alleati che arrivavano alla Russia tramite questo porto.

Di fronte allo stadio una dinamica statua in bronzo ricorda Anatoly Bredov nell’atto di lanciare una granata. Bredov è considerato un eroe simbolo di Murmansk. Durante l’ultima guerra, vistosi circondato dai nazisti, Anatoly si fece esplodere con una granata trascinando con sé nella morte numerosi nemici. Monumento al kamikaze.

Preferisco il museo della città, che troviamo con qualche fatica. Per la verità Murmansk ha almeno tre musei, ma non si trovano indicazioni comprensibili nemmeno su internet, tutto è solo in cirillico. Il Museo Regionale però è sempre lì, all’indirizzo indicato dalla nostra vecchia guida Lonely Planet, prospekt Lenina 90.

Ripulito di fresco, tanto da emanare ancora l’odore di vernice, gli allestimenti sembrano avere almeno trent’anni. Tutto è in cirillico, solo qua e là qualche foglio A4 in inglese riassume alcune sale. Tre piani, c’è un po’ di tutto. Si inizia con la parte storica della fondazione della città di cui quest’anno ricorre il centenario, 1916-2016. Non fecero in tempo a posare la prima pietra che scoppiò la rivoluzione, di conseguenza tutta la costruzione della città è legata alla fondazione dell’Urss. Un susseguirsi di sale celebrative della grande Unione Sovietica, partendo da Lenin, passando dalla seconda guerra mondiale che qui è stata aspramente combattuta, per arrivare fin quasi ai giorni nostri. Nulla sembra essere stato modificato di una virgola, il tempo sembra fermo a prima degli anni novanta anche dopo gli anni novanta, come del resto in tutta questa zona della Russia.

È interessante anche la parte naturalistica: ricostruzioni dell’ambiente della tundra con tanto di animali impagliati almeno cinquant’anni fa, ma ancora in forma come la mummia di Lenin.

La sezione geologica ha una ricca collezione di minerali e pietre provenienti dalla zona mineraria e dal buco più profondo mai scavato dall’uomo nelle viscere della terra, il pozzo di Kola.

Una vecchia foto del pozzo porta indietro nel tempo anche me, ad un ricordo di oltre trent’anni fa quando ero una studentessa della facoltà di geologia. Nei primi anni ottanta stavano arrivando i dati di questo audace progetto scientifico sovietico, una perforazione che si poneva l’obiettivo di arrivare alla cosiddetta Moho, ovvero il limite tra la crosta ed il mantello terrestre, che si trova mediamente intorno ai 40 km sulle terre emerse, molto meno nelle profondità oceaniche. Lo scavo iniziò nel 1970 e man mano che procedeva arrivavano dati sorprendenti su temperatura, fossili e composizione delle rocce, che diedero un grande contributo alle conoscenze geologiche. Inoltre fu una sfida anche tecnica, perché era necessario non far fondere la trivella scendendo sempre più in profondità. Arrivarono a superare i 12 km, ma qualche anno dopo il crollo dell’URSS il progetto fu abbandonato. Sebbene ormai i pozzi petroliferi profondi arrivino anche a 10 km, resta ancora il più profondo del mondo. Sembra sia visitabile (secondo Google), voglio andarlo a vedere, il mitico buco del “Progetto viaggio al centro della terra”! In fondo è di strada…

Sulla strada che va verso il confine norvegese ci imbattiamo in un grande memoriale. I memoriali di guerra sono molti e variegati in Russia, qui ci fermiamo attirati dalle dimensioni. Una lunga parete di basalto nero riporta i nomi di centinaia di morti. Un carro armato, elmetti arrugginiti e bucati, una statua, tutto è disposto con cura ed oggetto di visita, c’è un certo movimento di persone. Sono ancora conservate le trincee ed i bunker della battaglia dell’ottobre 1944: per 24 giorni durò l’offensiva sovietica di Petsamo-Kirkenes per far sloggiare i tedeschi dal territorio artico.

Per restare in tema militare, pochi chilometri dopo ci dobbiamo fermare ad un posto di blocco fisso, con sbarra. Controllo dei documenti per tutti i veicoli in transito, ma per noi l’operazione è durata molto più a lungo. L’unico soldato che parla inglese ci rivolge qualche domanda con gentilezza, sono dei ragazzi sorridenti e sorpresi della presenza di una famiglia straniera su questa strada, e poi capiremo perché. Trascrivono con molta calma i nostri dati e ci lasciano passare.

La zona è militarizzata, vi sono un paio di villaggi costituiti solo da caserme, un accampamento di tende militari, carri armati, autoblindo, cannoni, ma la guerra non è finita nel 1945? I civili russi in transito si fermano a guardare e scattano foto con il cellulare. Sono lontani i tempi in cui ti sequestravano il rullino se ti azzardavi a fotografare gli impianti militari.

La zona oltretutto è mineraria, un sito molto ricco, ed anche per questo Hitler voleva appropriarsene ad ogni costo, ed è tuttora sfruttato. Passiamo vicino ad una città orribile formata da un gigantesco impianto minerario e da condomini dormitorio dal significativo nome Nikel (ex Kolosjoki finlandese). Certo che vivere qui deve richiedere nervi saldi: lavoro duro negli impianti, settanta gradi di latitudine, dieci mesi di inverno, un freddo inimmaginabile, un ambiente segnato dall’inquinamento minerario e pure il buio inverno polare!

Per raggiungere il pozzo di Kola si deve passare per un’altra amena cittadina, Zapoljarnyj, a due passi dal confine norvegese e a brevissima distanza dal pozzo. Con mio grande disappunto veniamo bloccati al crocevia, al pozzo di Kola non si può andare. Non sono militari, sembra la polizia municipale, ma cambia poco, non si passa. Il tratto di strada è breve e porta solo al pozzo, quindi difficilmente è un problema di viabilità. Temo stia andando in rovina ed abbiano chiuso per sicurezza. A questo punto non ci resta altro da fare che passare il confine.

Al posto di frontiera non c’è quasi nessuno, nemmeno la solita fila di Tir, ma non si fa presto, anzi. Il controllo del camper questa volta è esasperante, i doganieri (maschi) fanno tirare giù tutto, ed hanno il ponte per controllarlo anche sotto. Fanno storie per un sacco attaccato alla ruota di scorta, che risulterà essere il cric. Quando inizio a innervosirmi pensando che lo stiano facendo di proposito per puro sadismo o per farsi offrire del denaro, improvvisamente l’arcigno doganiere sorride: ha eseguito tutta la scrupolosa procedura e ci dice pure di sbrigarci ad andare dalla parte norvegese!

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