Destinazione: il nord estremo

Ivano dei Giudici
Prosegue il viaggio in camper della blogger Agnese Palma che ha attraversato più di mille chilometri verso il Circolo Polare. Nuova tappa, il villaggio di Lovozero

Partiamo di buon mattino verso il nord, ci aspettano oltre 1.300 km fino a Murmansk su una grigia strada dritta tagliata tra boschi a perdita d’occhio. Sempre più il bianco tronco delle lunghe e sottili betulle prende il posto del rosso tronco delle lunghe e sottili conifere che ci accompagnano dalla Repubblica Ceca. Ancora nei pressi della grande città ed in corrispondenza di qualche paesello compaiono le contadine e gli anziani seduti a bordo strada che vendono i loro ortaggi: patate, pomodori, cipolle, mazzi di foglie essiccate somiglianti a quelle di faggio, non aromatiche di cui non riesco ad immaginarne l’uso. Quello che a noi interessa è il raccolto di mirtilli e funghi, che qui è molto abbondante e si vende a buon mercato. I prezzi sono onesti e fissi, i russi non amano mercanteggiare.

Salendo a nord inizia gradualmente a cambiare il paesaggio. A tratti il bosco lascia spazio a radure, laghetti e placidi fiumi. Il tempo schiarisce ed i raggi inclinati del sole offrono belle viste rilassanti tra il verde degli alberi ed il celeste del cielo.

Una piccola deviazione dalla Murmanskaya road ci porta a Kem, una cittadina dove ci riforniamo di gasolio e di acqua per il camper. Siamo a 65 gradi di latitudine, appena sotto il circolo polare artico e la temperatura massima raggiunge i 20 gradi, questa è la torrida estate di inizio agosto. 

Se i benzinai non hanno il rubinetto dell’acqua esterno si può ricorrere all’autolavaggio che spesso è abbinato. Sebbene generalmente si viene accolti con distaccata cortesia, abbiamo sempre avuto disponibilità e senza chiedere, anzi rifiutandolo, un piccolo compenso.

Non si vedono camper da centinaia e centinaia di chilometri, eppure siamo degnati solo di qualche sguardo fugace. Soltanto i bambini, con la spontaneità dell’innocenza, mostrano curiosità per questo insolito veicolo.

Kem sembra ferma a trent’anni fa, ai tempi dell’URSS, con le sue case di legno miste a condomini che mostrano i segni degli anni, e le immortali Lada, siano esse in versione fuoristrada che berlina, scolorite ed ammaccate ma ancora sulla strada. Una statua di Lenin grandezza naturale si affaccia su una strada che riteniamo essere la principale. Il tramonto arriva alle 23, la notte dura meno di quattro ore.

Il giorno successivo la strada incrocia il Circolo Polare Artico in terra russa, Polyarnij Krug, un’alta colonna lo indica, 66°33’36’’. Chiunque è in transito si ferma per un selfie, una foto, e per legare un nastro su una struttura di metallo collocata allo scopo. È zeppa di nastri e bandierine di ogni colore e foggia; molti i nastri neroarancio dell’Ordine di San Giorgio e le bandierine nazionali. La base della colonna è coperta di scritte, di adesivi, bigliettini, monetine.

Siamo entrati nella penisola di Kola, tra il Mar Bianco ed il Mare di Barents. Si fanno più diffusi gli acquitrini, sono comparsi muschi e licheni ma ancora per parecchio vedremo le foreste di betulle. Il tempo a queste latitudini è molto variabile, un debole sole si alterna ad una pioggerella frequente che a volte si trasforma in temporale, e le schiarite regalano bellissimi arcobaleni.

Arriviamo a Monchegorsk, una città fondata nel 1937 sulla tundra per iniziare lo sfruttamento di rame e nichel. Sulla strada abbiamo trovato il cartello di una città chiamata Apatity, nata per lo sfruttamento di uno dei più grossi giacimenti al mondo del minerale apatite, da cui si estrae il fosfato. Un grande cartello dice “Monchegorsk città mineraria” vicino ad una colonna di quindici metri alla cui cima un minatore di bronzo con il braccio teso sopra la testa brandisce con forza un piccone. Lo battezziamo Mimì Metallurgico. La città è come tante altre, di stampo sovietico logorata dagli anni, e i prati intorno sono neri, come bruciati. Dovrebbe essere a causa dell’inquinamento dovuto all’estrazione intensiva dei metalli. Vi ha sede l’unica agenzia che organizza ogni sorta di viaggi ed escursioni nella zona e oltre, persino una spartana crociera artica fin sulle terre di Francesco Giuseppe e della Novaja Zemlja.

Tralasciando la crociera artica e le battute di pesca al salmone, non sappiamo bene come regolarci nella visita di questa grande penisola. Alla fine ci orientiamo per andare a Lovozero, il paese dei Sami russi, ed esplorare i dintorni se il tempo ci aiuterà.

I Sami sono conosciuti con il più famoso nome di Lapponi, e vari altri nomi avuti nelle nazioni in cui vivono. Il termine Lappone non si usa più perché dispregiativo, attribuito loro dai colonizzatori: deriva dallo svedese e significa pezzente o straccione.

I Sami sono presenti nel nord della Scandinavia in tutte le quattro nazioni: Russia, Svezia, Finlandia e Norvegia. In Russia sono meno di duemila, e novecento vivono qui a Lovozero. Il paese è piccolo, composto da case in legno e vecchi condomini soviet, quel che serve è tutto sulla principale Sovietskayaulitsa: posta, municipio, museo, il Sami kultur zentr, un paio di supermercati. In fondo alla strada una bianca statua di Lenin in posa rilassata fa capolino da un giardinetto.

Qui il camper suscita palese curiosità, al nostro arrivo bambini in bicicletta accorrono a guardare, ed anche gli adulti ci guardano, ma sempre con discrezione. 

Me li aspettavo diversi, i Sami, più scuri e simili agli inuit ed ai mongoli. Pochi sono scuri di capelli, i più sono rossi e biondi. Il viso è più largo, gli occhi più stretti e distanziati, la statura mediamente più bassa del russo europeo, brevilinei.

Ci fermiamo davanti a un edificio con un grande tepee in muratura, che ripropone la tenda dei Sami, è il kulturzentr. Mentre ceniamo arrivano due o tre pulmini e scendono una decina di persone, con pelli di renna, borse e custodie per vestiti; portano tutto dentro l’edificio, poi se ne vanno. Non è difficile immaginare che sono i Sami di ritorno dall’escursione con qualche gruppo di turisti, dove indossano il costume tradizionale e portano le comitive in qualche fattoria dove allevano le renne e montano il tepee, una tenda simile a quella dei pellerossa.

Il giorno dopo cerchiamo invano una di queste fattorie, evidentemente le conoscono solo nei gruppi organizzati dalle agenzie. Avevamo detto ai figli che oltre il circolo polare artico avremmo incontrato le renne per strada, come ricordavamo dal precedente viaggio a Capo Nord, passando dalla Finlandia. Qui nemmeno le corna. Per strada però girano liberi dei bellissimi e tranquilli husky, che d’inverno vengono usati come cani da slitta per il divertimento dei turisti.

I moderni Sami russi non si spostano in slitta ma hanno vecchie automobili o motoslitte, parlano al cellulare, non vivono nei tepee ma nei condomini soviet, fanno la spesa nei supermarket, vestono panni borghesi e non pelli di volpe. Conservano comunque tradizioni e cultura per orgoglio e per quel poco turismo che è fonte di sostentamento, insieme all’allevamento delle renne (ben nascoste, ne avessimo vista una) la cui carne ora viene esportata anche congelata.

La notte nel tranquillo villaggio Sami di Lovozero per me non sarà affatto tranquilla. Nel pomeriggio piegandomi per prendere qualcosa nel gavone del camper mi becco un colpo della strega dolorosissimo. Durante la notte inizio a star male, forse per l’effetto combinato della dose massiccia di antinfiammatori abbinata ad una dose massiccia di polenta con i finferli acquistati dai contadini russi. Molto buoni ma ho sempre avuto qualche problema nella digestione dei funghi.  Riesco a calarmi dalla mansarda stringendo i denti per i forti dolori alla schiena, la testa mi scoppia, ho la nausea, nel bagno del camper perdo conoscenza per qualche attimo, soccorsa da Ivano che stavolta si è svegliato dal suo sonno piombigno. Dopo lo svenimento sto incredibilmente meglio, con sollievo mio e soprattutto suo, già si chiedeva quanto lontano fosse un ospedale per evitare di ricorrere alle cure di uno sciamano.

La mattina dopo non rinuncio ad andare sulle rive del lago Lovozero, il tempo è bello e la temperatura arriva a venti gradi. Il sottobosco è tappezzato di piantine di mirtilli e ribes, che vengono raccolti in agosto e venduti lungo la strada, insieme ai funghi (maledetti!), grandi e ben visibili tra le piantine scure dei mirtilli. Se penso a quanto dobbiamo camminare in Italia per riempire un cestino di funghi! Ne abbiamo visti persino nelle aiuole cittadine di Murmansk.

Le fioriture più abbondanti le danno alcune lunghe erbacee dall’infiorescenza rosa, le basse eriche, e praterie di bianchi fiori in forma di ciuffetti lanosi. Di questi ultimi se ne trovano in tutte le alte latitudini. La prima volta che li vidi, anni fa in Islanda, pensai che anche i fiori avessero freddo, riparandosi in un batuffolo.

Verso la riva, dove l’acqua è più bassa, la colorazione tende al rosso ruggine, è una zona ricchissima di minerali di ferro. Prima di lasciare Lovozero, paese abitato totalmente da Sami, voglio evidenziare una sua originalità: non ha una chiesa. Originariamente tutti i Sami avevano una loro religione animista, poi furono cristianizzati dai colonizzatori, seguendo le varie ditte nazionali: evangelici, cattolici, ortodossi. Qui a Lovozero la chiesa andò a fuoco varie volte ed alla fine i Sami considerarono questo un segno del destino: la chiesa non fu più ricostruita.

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