San Pietroburgo on the road

Ivano dei Giudici
Il racconto della blogger Angese Palma, in viaggio in camper verso il Circolo polare. La prima tappa è la capitale russa della cultura

Siamo in Russia, diretti a San Pietroburgo. Sarà una visita di passaggio, una gradita tappa sulla strada verso il grande nord. I fondamentali quali il Palazzo d’Inverno, il grande museo Ermitage, la fortezza di Pietro e Paolo, il monumento alla Vittoria li abbiamo visitati lo scorso anno. Ci dedicheremo a qualche altro luogo cui rinunciammo per mancanza di tempo. 

Non siamo ancora usciti da Ivangorod che veniamo fermati dalla polizia. Il motivo è che dobbiamo girare con i fari accesi anche di giorno, è obbligatorio, ci siamo dimenticati. Il poliziotto chiede la patente, non credo capisca nulla della patente italiana in alfabeto latino, magari guarda la scadenza. Di certo è prevista una multa, è titubante, c’è lo scoglio della lingua, poi ci fa capire di tenere accesi i fari e ci lascia andare senza chiederci nulla. Ci prodighiamo in spasiba, dasvidania (grazie, arrivederci) e filiamo via.

Questa volta a San Pietroburgo siamo venuti free, senza prenotare un punto sosta, al limite cercheremo un parcheggio custodito. I grandi viali della città consentono di avventurarsi in zona centro con il camper, del resto vi transitano i pullman gran turismo dei viaggi organizzati. Nelle zone consentite non sembrano esserci problemi di parcheggio, anche gratuito, e scegliamo un viale interno sul lungofiume Neva, in pieno centro. 

Ci procuriamo rubli per i piccoli acquisti e per pagare una scheda telefonica; non ho capito se per queste operazioni vogliono il cash solo dagli stranieri o da tutti. Stiamo parlando di un pagamento di 5 euro (350 rubli) per avere una scheda della durata di venti giorni con 4 Gb di traffico internet. Offerta business, ci dice la ragazza, in effetti molto buona per i viaggiatori, anche quelli come noi non interessati al business

La prima visita è il cimitero memoriale di Piskaryhovskoie, in una zona a nord fuori dal centro, dove furono seppelliti in fosse comuni tutti i leningradesi che perirono durante i 900 giorni dell’assedio di Leningrado. Fu tenuto un registro dei 470.000 morti, ma chi volesse portare dei fiori ad un parente deve accontentarsi di portare un garofano rosso su una delle lapidi che riporta solo l’anno di morte, posta di fronte alle grandi aiuole rettangolari ricoperte di erba verde, dove giacciono tutti insieme.

I memoriali russi sono monumentali ma semplici, con grande cura della prospettiva. Credo non sia un caso che le larghe strade che attraversano le città si chiamino prospekt! È un luogo aperto; all’ingresso è posto un basso braciere con il fuoco perpetuo, perfettamente allineato alla grande statua di donna in fondo al cimitero, che simboleggia la madre Russia. Ai lati la distesa delle grandi aiuole verdi delle fosse comuni. Dietro la statua, in fondo, un muro riporta la poesia di Olga Bergov per i morti di Leningrado. 

Qui giace il popolo di Leningrado, Qui sono i cittadini - uomini, donne e bambini -

E accanto a loro, i soldati dell’Armata Rossa

Che donarono la vita per difendere te, Leningrado

Culla della rivoluzione.

Non possiamo enumerare i valorosi che giacciono sotto il granito eterno,

Ma coloro che questa pietra onora

Nessuno dimentichi, nulla sia dimenticato                                                                  

Viene discretamente diffusa musica classica. Un piccolo museo all’ingresso contiene foto, cimeli, oggetti raccolti durante l’assedio. In una teca sono conservate piccole pagine di quaderno elementare su cui una bambina aveva registrato la data di morte dei componenti di tutta la sua famiglia, e la constatazione finale di esser rimasta sola.

Siamo parcheggiati a poca distanza dall’incrociatore Aurora. Lo scorso anno ci sobbarcammo una faticosa scarpinata per arrivare al molo e trovarlo vuoto. Su internet scoprimmo che era in restauro e sarebbe stato ricollocato nel giugno 2016. La pianificazione è stata rispettata ed è di nuovo lì, nello stesso posto in cui staziona come museo dal 1948, e dove hanno intenzione di lasciarlo per l’eternità. È riverniciato di tutto punto, grigio chiaro sopra il grigio scuro della Neva sotto il grigio cinerino del cielo nuvoloso. Qui sì che c’è business! Una lunga fila di persone si dispone in paziente attesa lungo la Neva per salire, al prezzo di 600 rubli (8 euro circa), sulla storica nave. Sono tutti russi, ci tengono a vedere il loro incrociatore rimesso a nuovo. Dopo qualche incertezza ci accodiamo e ne veniamo a capo in un’ora e venti minuti.

L’Aurora fu varata nel 1900 e la sua vita attiva durò fino al 1948, quando fu collocata qui sulla Neva come museo. Era ancor giovane quando prese parte alla prima guerra mondiale ma la sua forte impronta simbolica è data dal fatto che il 25 ottobre 1917, mentre era ancorata come ora sulla Neva, sparò lo storico colpo di cannone che diede il segnale agli ammutinati nella fortezza di San Pietro e Paolo per l’insurrezione e l’assalto al Palazzo d’Inverno. Se si guarda nel mirino del cannone di prua si vede che è stato puntato verso la dorata guglia della Fortezza, ed una targa ricorda l’episodio. I selfie dei russi vicino ai cannoni si sprecano.

Per molta parte della sua vita l’Aurora fu adibita a nave da addestramento, con la parentesi dei 900 giorni di Leningrado, in cui di necessità riprese le sue funzioni di nave da guerra, come un anziano soldato richiamato a difendere la propria città.

Mi aspettavo di vedere sotto coperta gli ambienti originari della nave, invece i locali sono stati trasformati in sale espositive con cartelli storici, oggetti d’epoca, ricostruzioni, foto, video, cartelli esplicativi anche in inglese, tutto moderno e ben fatto. Molti i lunghi viaggi, tra cui uno di circumnavigazione dell’Asia arrivando in Giappone ed oltre, verso certe terre del nord Asia che per noi sembrano esistere solo sul Risiko. Una targa del 1911 in italiano attira la mia attenzione. È un ringraziamento della Sezione di Napoli della Lega Navale Italiana per il fraterno soccorso portato alle popolazioni di Sicilia e Calabria. Scopro così che l’Aurora venne in Italia per portare aiuti dopo il catastrofico terremoto di Messina del 1908. 

Nella sosta cittadina troviamo tempo per un altro museo, il Museo della Rivoluzione, che oggi si chiama eufemisticamente Museo della Storia Politica della Russia. Oggetti, filmati, manifesti, l’austero studio di Lenin, ricostruzioni di ambienti occupano due piani, ma non sono dedicati tutti all’ottobre rosso. C’è l’impronta revisionista su Stalin, forse risalente già al periodo di Krushev, una sala per i dissidenti, due sale dedicate alla Grande Guerra Patriottica (seconda guerra mondiale) ed infine un paio di sale sugli anni novanta con foto e, suppongo, pezzi di discorsi di Gorbaciov e di Eltsin. 

Una piccola digressione merita l’edificio che ospita il museo. È una sofisticata villa in stile liberty, appartenuta alla ballerina Matilda Kshensinskaya, avuta in regalo dallo zar Nicola secondo di cui fu amante, insieme ad altri Romanov.

L’ultima visita pietroburghese la riserviamo al grande monastero di Aleksandr Nievskij, che Pietro il Grande volle per dotare anche la sua novella città di una sede religiosa che potesse competere con Mosca e Sergej Posad. Il monastero Nievskij non ha la bellezza delle altre due, ma il suo fascino sta nei due cimiteri annessi, dove riposano compositori, letterati, scienziati, artisti e musicisti. Il matematico Eulero, Dostoevskij, Ciajkovskij riposano qui. 

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