“A quei tempi viveva Bogumir, e aveva tre figlie e due figli. La loro madre, che si chiamava Slavunja, […] disse a Bogumir il settimo giorno: ’Dobbiamo far sposare le nostre figlie affinché possiamo vedere i nipoti’”. Bogumir saltò sul carro e vagò a perdita d’occhio. Giunse a una quercia che si trovava in un campo e si fermò per la notte accanto al fuoco. Al crepuscolo vide che tre uomini a cavallo gli si stavano avvicinando. […] Così Bogumir tornò alle sue steppe e portò tre mariti alle sue figlie. Da qui ebbero inizio tre genie. Nacquero i Drevljani, i Krivichi e i Polani, perché la prima figlia di Bogumir si chiamava Dreva, la seconda Skreva e la terza Poleva. I figli di Bogumir si chiamavano Seva e, il minore, Rus. Da loro discendono i Severjani e i Rus’. I tre mariti si chiamavano Utrennik, Poludennik e Vechernik”.
Così recita la leggenda sull’origine degli Slavi nella versione proposta dal “Libro di Veles” (“Велесова книга”; “Vélesova kniga”). In apparenza si tratta di antichi annali che raccontano la storia dei popoli dell’Eurasia dal IX secolo a.C. L’originale non l’ha mai visto nessuno, ma questo non ha impedito al “Libro di Veles” di guadagnare un’incredibile popolarità. Ha avuto più di dieci traduzioni integrali ed è diventato uno dei principali “testi sacri” dei neopagani.
L’autore della bufala è l’emigrato russo Jurij Miroljubov. Nel 1952 scrisse ai redattori della rivista in lingua russa “Zar-ptitsa” (“Uccello di fuoco”), edita a San Francisco. Diceva di aver scoperto scoperto alcune antiche tavolette del V secolo, che delineavano la storia dell’antica Russia. Nel 1955, la rivista pubblicò un’unica immagine: una foto del testo trascritto dalla tavoletta. Dal 1957 al 1959, la rivista pubblicò la traduzione integrale del “testo delle tavolette”, realizzata da Miroljubov e da un altro dilettante appassionato di monumenti antichi, l’emigrante Aleksandr Kurenkov, con il quale era in contatto epistolare.
Immagine dichiarata "Fotografia della Tavoletta di Isenbek n. 16". Tratta dalla rivista ‘Zhar-Ptitsa’, San Francisco, 1955
Dominio pubblicoMiroljubov chiamò il “reperto” “Tavolette di Izenbek” (“Дощечки Изенбека”; “Doshchechki Izenbeka”). Secondo la sua versione, appartenevano all’artista Fjodor Izenbek, che le aveva trovate durante la Guerra civile in una delle proprietà saccheggiate, e dopo l’emigrazione le aveva portate con sé in giro per l’Europa. Aveva incontrato Miroljubov a Bruxelles nel 1925 e aveva permesso a quest’ultimo di studiare le targhe per 15 anni.
“Era molto sospettoso nei confronti di tutti i tentativi di maneggiare le tavolette. Non mi permetteva nemmeno di portarle a casa! Dovevo stare nel suo atelier, in rue Besme, nel quartiere di Uccle, e lì mi rinchiudeva, e una volta sono rimasto in questa reclusione per due giorni! Quando è arrivato, è rimasto molto sorpreso. Si era completamente dimenticato che ero nel suo atelier”, scrisse Miroljubov a un altro ricercatore di tavolette, Sergei Lesnyj.
Nel 1941, durante l’occupazione nazista del Belgio, l’artista morì e delle “antiche tavole” si persero le tracce.
Lo scrittore russo emigrato Jurij Miroljubov (1892-1970)
Dominio pubblicoLa stessa espressione “Libro di Veles” è entrata in circolazione nel 1966 su suggerimento di Lesnyj. Egli pubblicò all’estero l’opera “Il libro di Veles” con la propria decifrazione delle targhe e stralci della corrispondenza con Miroljubov.
Molti autorevoli paleografi, storici, archeologi, linguisti e critici letterari sovietici concordano sul fatto che le “Tavole di Izenbek” siano un falso. Nella storia del “reperto“ erano insospettiti da tutto: dalla mancanza di informazioni sui primi proprietari alle caratteristiche alfabetiche, di genere e linguistiche della traduzione.
Nel testo c’è una confusione di date, il conto alla rovescia del tempo è effettuato in modo non tipico delle cronache, non sono indicati i toponimi, i nomi degli zar e dei generali, non sono delineate le trame dei principali eventi, e sono presenti vari anacronismi. Vi sono inoltre discrepanze tra i testi stampati dalla rivista “Zhar-ptitsa” e gli archivi di Miroljubov, che in seguito sono entrati in possesso degli studiosi.
Gli scienziati hanno analizzato separatamente l’alfabeto e la struttura grammaticale della lingua: per loro era sufficiente una riproduzione del testo dalla tavoletta. L’analisi ha rivelato un miscuglio di forme delle moderne lingue slave, una varietà di varianti ortografiche delle stesse parole, modi inediti di formazione delle parole. La scrittura stessa – la cosiddetta “velesovitsa” – era un’imitazione del cirillico con una linea orizzontale superiore sulla falsariga del Devanagari indiano.
Foto della ricostruzione delle "Tavolette di Isenbek"
San zav (CC BY-SA)“L’analisi del Libro di Veles dimostra che la lingua con cui è stato scritto non poteva esistere. Non esiste una lingua simile, che non ha un sistema fonetico stabile, regole grammaticali uniformi, violando così le ben studiate regolarità di sviluppo di tutte le lingue slave”, ha scritto il letterato-medievalista sovietico Oleg Tvorogov.
Egli ha anche richiamato l’attenzione sulla trama e sulla somiglianza grafica del Libro di Veles con le opere di Aleksandr Sulakadzev, un falsario attivo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Quest’ultimo creò sia falsi “d’autore” sia false aggiunte a manoscritti autentici che invecchiavano i documenti.
Nonostante il fallimento del Libro di Veles come documento storico, l’interesse per esso andò oltre i circoli accademici. Il testo, in particolare, attirò l’attenzione degli aderenti al paganesimo russo.
Nel 1976, il settimanale di massa “Nedelja” pubblicò un articolo sul Libro di Veles, che gli autori presentarono come “una cronaca misteriosa che ci permette di dare un nuovo sguardo ai tempi dell’origine della scrittura slava, di rivedere le idee scientifiche sull’origine e la mitologia degli Slavi”. Questa pubblicazione non mise in dubbio l’affidabilità del dubbio testo e ne favorì l’ulteriore diffusione.
“Il problema più complesso legato al Libro di Veles non appartiene alla linguistica o alla storia, ma alla sfera della psicologia sociale. Consiste nel fatto che la falsità del libro è chiaramente visibile solo ai linguisti e agli storici di professione, mentre il lettore impreparato si lascia facilmente coinvolgere da finzioni rudimentali – ma che suscitano la simpatia di molti – su come gli antichi russi abbiano combattuto con successo contro i nemici già diversi millenni fa. E le affermazioni della scienza, ahimè, non superano agli occhi di un tale lettore le attraenti fantasie dei dilettanti”, richiama l’attenzione l’accademico sovietico e linguista russo Andrej Zaliznjak.
La traduzione dalle tavole è stata stampata in Russia solo nel 1992 e successivamente ristampata decine di volte. Dallo stesso anno, giornali e riviste – nazionaliste, socio-politiche ("Moskovskij Komsomolets”) e persino di divulgazione scientifica (“Scienza e religione”, “Miracoli e avventure”) scrivono attivamente del Libro di Veles e non ne mettono in dubbio l’autenticità. A metà degli anni Novanta è stato persino citato in un testo di storia sperimentale per studenti delle scuole superiori. Si sono trovati riferimenti anche in pubblicazioni professionali per insegnanti di storia!
L’interesse per il neopaganesimo non è sorto di punto in bianco negli anni Novanta: era già presente nella Russia pre-rivoluzionaria e tra gli slavofili e nell’Urss. In epoca sovietica, il fascino della cultura slava arcaica era sostenuto dall’alto per ridurre l’importanza dell’Ortodossia, che il Partito Comunista presentava come “uno strumento per sottomettere gli Slavi”. In questo modo il paganesimo giustificava l’ordine comunista e aiutava le autorità a combattere il cristianesimo.
Nel cinema sovietico degli anni Sessanta il tema del paganesimo slavo è stato trattato nel film "Andrej Rubljov" di Andrej Tarkovskij del 1966, nell'episodio "La festa"
Andrej Tarkovskij/Mosfilm, 1966Poi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si verificò una crisi di identità nella società. E molte persone cominciarono a cercare risposte nel paganesimo.
“C’era un bisogno psicologico. Le persone si erano allontanate da un’ideologia e avevano bisogno di sostituirla con un’altra. Alcuni si rivolsero alla religione tradizionale, altri hanno iniziato a cercare gli alieni, altri ancora si sono rivolti al neopaganesimo”, ha dichiarato a Russia Beyond Sergej Egorov, docente all’Università Statale di San Pietroburgo, storico e antropologo.
La domanda di una nuova ideologia fu alimentata dagli autori di narrativa: gli scrittori russi hanno padroneggiato e “reinterpretato creativamente” le trame del Libro di Veles nelle loro opere dedicate alla grandezza della Russia precristiana.
“Con il crollo dell’ideologia comunista è sorto il pilastro nero di ogni sorta di assurdità mistica e con esso un esercito di avventurieri, che guadagnavano bei soldi con sciocchi, mezzi sciocchi e vagabondi incantati”, ha ammesso in seguito lo scrittore Sergej Alekseev, la cui opera ha avuto una grande influenza nello sviluppo delle idee del neopaganesimo slavo.
Sergej Alekseev
Zyablitseva Stanislava Vladimirovna (CC BY-SA)Il materiale fornito dal Libro di Veles era perfettamente adatto alla costruzione di una nuova, attraente ideologia. In particolare, il libro sosteneva che il paganesimo slavo era una religione pacifica che non prevedeva sacrifici umani. Anche se la scienza ufficiale ha dimostrato il contrario.
“Gli ideologi neopagani comprendevano meglio di chiunque altro la precarietà delle costruzioni a loro note, basate su ferraglia superata e su approcci metodologici obsoleti. Avevano bisogno di una fonte originale, credibile come l’aria, da citare come ultima prova inconfutabile. Non è un caso che per decenni dilettanti entusiasti avessero cercato con insistenza, anche se infruttuosamente, testimonianze della più antica scrittura slava. Così il Libro di Veles si rivelò per loro un dono di Dio”, conclude lo storico Viktor Shnirelman.
Partecipanti al festival pagano dedicato al solstizio d'estate del 2017
Ilja Pitalev/SputnikLEGGI ANCHE: Neopaganesimo slavo in Russia: quanto c’è di tradizionale in questa religione?
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