Aleksandr Kolchak, storia dell’unico “Comandante supremo della Russia”

Storia
BORIS EGOROV
L’ammiraglio diventò leader e simbolo della lotta contro i bolscevichi, ma fece una tragica fine

Pur avendo svolto un ruolo chiave nella lotta contro i bolscevichi durante la Guerra civile in Russia, Aleksandr Vasilevich Kolchak (1874-1920) non aveva mai pensato di far politica. All’inizio del XX secolo era già conosciuto come oceanografo e esploratore polare, successivamente, nel corso della Prima guerra mondiale, era stato promosso a comandante della Flotta del mar Nero.

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Sulla scia degli eventi rivoluzionari del 1917, la vita dell’ufficiale della Marina subì una brusca virata, perché non solo si trovò a capo dei Bianchi, schierati contro i Rossi, ma addirittura divenne l’unico “Comandante supremo della Russia” (“Verkhóvnyj pravitél Rossii”) nella storia.

Scalata ai vertici

Dopo il rovescio della monarchia e l’avvento del Governo provvisorio in marzo del 1917, Kolchak continuò ad occuparsi degli affari della Marina. Nell’estate dello stesso anno partì per l’America a capo di una missione militare russa. La notizia della Rivoluzione bolscevica lo raggiunse mentre si trovava negli Stati Uniti.

Per tornare in patria, Kolchak sarebbe dovuto passare attraverso il Giappone e alcuni Paesi del Sud-Est asiatico. Inizialmente decide di rientrare, ma scioccato dalla notizia della pace di Brest-Litovsk, stipulata con i tedeschi dal governo di Lenin, che privava la Russia di circa 1 milione di chilometri quadrati dei suoi territori e di circa 56 milioni di abitanti, cambiò idea e chiese di essere arruolato nell’esercito britannico.

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Tuttavia, l’ammiraglio Kolchak era un personaggio troppo importante per permettergli di rimanere da qualche parte in Mesopotamia (il moderno Iraq). Lo volevano usare per i loro scopi sia il movimento dei Bianchi, che stava crescendo in Russia, sia le potenze occidentali che stavano preparando un intervento armato anticomunista.

“Il governo inglese ha deciso che conviene usarmi in Siberia nell’interesse degli alleati e della Russia…”, scrisse Aleksandr Kolchak alla sua compagna Anna Timireva in una lettera inviata nel 1918 da Singapore. Falliti i suoi tentativi di cooperare con i capi dei cosacchi dell’Estremo Oriente, Grigorij Semenov e Ivan Kalmykov, l’ammiraglio Kolchak si recò in Siberia.

In estate scoppiò una rivolta contro i bolscevichi che abbracciò una vasta regione. Ad Omsk si insidiò il Governo provvisorio panrusso che rappresentava diverse correnti del movimento Bianco. Kolchak entrò a farne parte in qualità di ministro dell’esercito e della marina.

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Comandante supremo della Russia

“È come un bambino grande ma malato, idealista e schiavo convinto del dovere, al servizio dell’idea e della Russia…”, così descriveva l’ammiraglio un suo stretto collaboratore, il barone Aleksej Budberg. Tuttavia, all’occorrenza, questo “bambino” poteva essere duro e persino crudele.

Le posizioni del governo direttoriale erano molto deboli. Già il 18 novembre esso fu spodestato dall’esercito. I militari proposero a Kolchak di prendere nelle sue mani tutti i poteri. L’ammiraglio accettò, diventando il “Comandante supremo della Russia”.

“Il mio principale scopo è quello di creare un esercito efficiente per sconfiggere il bolscevismo e instaurare la legalità e l’ordine, affinché il popolo possa scegliere liberamente la forma di governo di suo gradimento e implementare le grandi idee della libertà, proclamate oggi in tutto il mondo”, si leggeva nel primo comunicato ufficiale del Comandante supremo. “Esorto voi, cittadini, a essere uniti, a lottare contro il bolscevismo, a lavorare e ad essere pronti a sacrificarvi”.  

La figura dell’ammiraglio contribuì all’unità del movimento Bianco non solo in Siberia e nell’Estremo Oriente, ma anche in molte altre regioni della Russia dove era in corso la lotta contro il nuovo regime. Il potere del Comandante supremo fu riconosciuto dai generali bianchi nel Sud, Nord e Nord-Ovest del Paese.

Le potenze della Triplice intesa (Impero Britannico e Francia), sebbene fornissero a Kolchak aiuti militari, non avevano fretta di riconoscere il suo nuovo ruolo. “Lo scopo evidente di questo colpo di scena è quello di sostituire un potere quasi parlamentare, che per cinque mesi ha governato la regione, con una dittatura militare alla russa, cioè avente gli stessi poteri che aveva lo zar ormai defunto... È chiaro che è un colpo mirante alla restaurazione”, scrisse con rammarico nel suo diario lo slavista Jules Legras che all’epoca faceva parte della missione militare francese in Russia. 

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In realtà però, né Kolchak né i suoi ministri non pensavano in quel momento alla restaurazione della monarchia. Tutte le decisioni su questioni fondamentali, compreso il destino della monarchia, dovevano essere prese dopo la disfatta definitiva dei bolscevichi. Fino ad allora, nelle province, i poteri dell’ammiraglio erano delegati ai suoi rappresentanti, che in prevalenza erano militari di carriera e spesso punivano con crudeltà chi osava ribellarsi.

La fine del Comandante supremo

Proprio la crudeltà fu una delle cause principali della caduta del suo regime. Nell’autunno del 1919 l’ammiraglio dovette non solo contrastare l’offensiva dell’Armata Rossa, ma anche reprimere rivolte nelle retrovie.

Il 15 novembre le truppe dei Soviet presero Omsk, la capitale della Siberia Bianca. Kolchak si stava dirigendo a Irkutsk, quando seppe che in questa città siberiana era scoppiata una rivolta e il potere era passato al cosiddetto Centro politico, creato dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi.

Il treno del Comandante supremo fu bloccato nei pressi di Irkutsk. La sorveglianza era affidata ai militari della Legione cecoslovacca, comandati dal generale francese Maurice Janin. Questa Legione, creata dal governo zarista quando la Prima guerra mondiale era ancora in corso, era composta di prigionieri di guerra cechi e slovacchi catturati in Russia. La Legione doveva lasciare il territorio dell’Impero e avviarsi verso il fronte occidentale, ma alla fine divenne una delle principali forze che si scontrarono nel vortice della guerra civile scoppiata in Russia.  

Il generale Janin raggiunse un accordo per uscire in sicurezza dalla città insieme alle sue truppe, e consegnò Kolchak, ormai inutile, al Centro politico. Il 15 gennaio 1920, alla stazione ferroviaria di Irkutsk, l’ammiraglio fu arrestato insieme al presidente del suo Consiglio dei ministri, Viktor Pepeljaev.

Ancora in dicembre, presagendo il tragico finale, Aleksandr Kolchak aveva firmato un decreto con il quale passava il “potere supremo panrusso” al generale Anton Denikin, che comandava le truppe Bianche nel Sud del paese. Denikin, che pure affrontava delle grosse difficoltà sui fronti, si rifiutò di accettare tale formula. “Pretendere il carattere “panrusso” del potere sarebbe stato in quel momento del tutto inopportuno, il potere sarebbe stato fittizio, e legare le sorti del movimento Bianco al Sud alla vigilia della catastrofe sarebbe stato piuttosto pericoloso politicamente”, scrisse poi il generale Denikin (1872-1947) nelle sue memorie.

Aleksandr Vasilevich Kolchak, l’unico “Comandante supremo” nella storia della Russia, fu fucilato il 7 febbraio 1920.

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