Perché il padre dell’Ue Jean Monnet sposò nella Mosca di Stalin un’italiana già coniugata?

Jean e Silvia Monnet poco dopo le nozze sovietiche del 1934

Jean e Silvia Monnet poco dopo le nozze sovietiche del 1934

Fondation Jean Monnet pour l'Europe, Lausanne
Più giovane di lui di 19 anni, Silvia de Bondini aveva già un marito e una figlia, e il divorzio era allora impossibile in Italia, mentre era legale, fin dalla Rivoluzione del 1917, in Urss. Servì dunque questa ardita manovra internazionale per poter sancire il loro amore

Prima di diventare uno dei padri fondatori dell’Unione europea, il francese Jean Monnet (1888-1979) si era occupato di commercio di cognac (nell’azienda di famiglia) e di grande finanza internazionale. Nei primi anni Trenta era impegnato a Shanghai nella creazione e nello sviluppo della “China Development Finance Corporation” (CDFC), società che aveva come obiettivo, in particolare, un grande piano di rinnovamento delle ferrovie cinesi. Monnet non trovò grande disponibilità da parte del leader cinese Chiang Kai-shek, ma convinse invece facilmente le grandi banche e imprese britanniche presenti in Cina a sottoscrivere le obbligazioni. Allarmati dalla crescente influenza del Giappone nell’area, gli occidentali erano fiduciosi di “poter arruolare i cinesi”, come si disse allora, “per combattere le nostre battaglie al posto nostro”.

Quando, nel luglio del 1934, Monnet salì su un vagone della Transiberiana e si apprestò a lasciare momentaneamente la Cina, le sue ragioni non erano solo quelle ufficiali di completare in Europa e in America i suoi piani finanziari per la Cina. Aveva anche in programma una sosta a Mosca per un’operazione squisitamente privata: le nozze.

Un amore illegale e la benedizione del Cremlino

Nell’agosto del 1929, a una cena a Parigi, aveva conosciuto una bellissima italiana, Silvia de Bondini, che in seguito sarebbe diventata anche una apprezzabile pittrice. Lei, nata nel 1907 a Costantinopoli (solo nel 1930 la città turca avrebbe cambiato ufficialmente nome in Istanbul), era ben 19 anni più giovane di Monnet. Ma la differenza d’età non era il principale ostacolo al loro amore, che – a quanto si legge nelle memorie di lui – scoppiò a prima vista: “Ci conoscemmo e ci dimenticammo di tutti gli altri”. La ventiduenne Silvia era già sposata da qualche mese (dal 6 aprile precedente) con l’italiano Francesco Giannini. E nel 1931 avrebbe avuto da lui anche una figlia, Anna.

Jean Monnet (1888-1979) e Silvia de Bondini (1907-1982) furono sposati per 45 anni, dal 1934

Il divorzio era allora illegale in Italia, e lo sarebbe rimasto fino al 1970. Per di più Silvia era molto cattolica e dava grande importanza allo scioglimento del sacro vincolo delle nozze, anche se ottenere un annullamento per via religiosa dal Vaticano era ovviamente impossibile. I due amanti, dopo aver capito di non avere speranze in Italia, cercarono di percorrere la via americana. Ma neppure a Reno, in Nevada, fu possibile legalizzare il loro rapporto. Non solo lo ritenevano poco dignitoso, ma era comunque richiesta la residenza. Bisognava cercare altre strade per regolarizzare la loro unione. Come disse Monnet, “volevamo avere alle spalle la legittimità di un grande Paese”. L’idea vincente, a quanto pare, gliela dette Ludwik Rajchman, il polacco considerato il fondatore dell’Unicef, che aveva incontrato a una riunione della Società delle Nazioni: bisognava andare nella Mosca di Stalin.

Perché proprio nell’Urss?

L’Unione Sovietica dell’epoca presentava due vantaggi. Era possibile ottenere rapidamente la cittadinanza e la residenza ed era possibile divorziare e risposarsi in un colpo solo. Rajchman fornì a Monnet un contatto importante con il governo sovietico. Con grande sorpresa del futuro “padre fondatore dell’Ue”, che non ne scoprì mai il motivo, il governo di Mosca si dimostrò molto disponibile a realizzare questo strano piano matrimoniale.

Bisogna dire, però, che, dopo la grande libertà di divorzio seguita alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, Stalin aveva in seguito rimesso dei freni (ulteriori limitazioni entrarono in vigore in seguito). Inoltre la residenza agli stranieri veniva sì concessa, ma di solito solo a provati comunisti che si trasferivano in Urss per motivi ideologici. E la fervente cattolica Silvia de Bondini, coniugata con il dipendente della banca di investimenti americana Blair & Company (di cui Monnet era il rappresentate per l’Europa) e amante di un potente della grande finanza mondiale, non aveva certo quel pedigree.

Per raggiungere il suo scopo, Monnet, come era suo solito, si avvalse delle conoscenze influenti. È provato che a spianargli la strada fu l’interessamento degli ambasciatori americano e francese a Mosca, William Bullitt e Charles Aiphand. E, inoltre, a favorirlo fu la congiuntura politica. Le diplomazie erano al lavoro per arrivare al Patto franco-sovietico, che sarebbe stato firmato il 2 maggio 1935 a Parigi, in funzione anti-tedesca.

Silvia de Bondini Monnet, Jean Monnet, la quindicenne Anna, nata dal precedente matrimonio di Silvia, e la piccola Marianne, alla fine del 1945, al ritorno in Europa della famiglia dopo la guerra

In ogni caso, il matrimonio costò a Monnet “mesi di lavoro e una fortuna economica”, come ammise. E in seguito si sarebbe vantato del fatto che, nella sua lunga carriera politico-diplomatica, quella era stata la sua “operazione più brillante”.

Silvia arrivò a Mosca, come cittadina italiana, dalla Svizzera, dove aveva soggiornato con la madre e la figlia Anna. In pochi giorni divenne cittadina sovietica, ottenendo, per la legge locale, il diritto unilaterale al divorzio. Lo chiese senza indugi e, una volta ottenutolo, si risposò immediatamente con l’amato Jean Monnet. Quindi i due si rimisero in viaggio. La madre di lei aveva intanto portato la piccola Anna a Parigi, e i due novelli sposi partirono, con la bimba al seguito, per gli Stati Uniti, e poi, nel marzo del 1935, si stabilirono a Shanghai.

I problemi con l’affidamento della figlia

L’ormai ex marito, Francesco Giannini, non si dette pace per la perdita della figlia, anche perché i tribunali sia italiano che francese (e in generale tutti quelli di diritto romano) la affidavano a lui. Per questo problema Silvia non poté per degli anni tornare nell’Europa continentale, mentre riuscì a farsi riconoscere, nella primavera del 1937, la tutela della figlia da un tribunale di New York.

A quanto pare, il padre, attraverso l’ambasciata italiana in Cina, fece un tentativo di prelevare la piccola Anna a Shangai, ma Silvia, cittadina sovietica, riparò nella residenza consolare dell’Urss. Proprio queste difficoltà e il pronunciamento favorevole del tribunale newyorkese, furono uno dei motivi dei lunghi anni di vita e lavoro di Jean Monnet negli Stati Uniti. Silvia, senza la bimba, si recò a Parigi e il 18 giugno 1939 fu naturalizzata francese. Rimase a Parigi abbastanza a lungo perché alcuni dei suoi dipinti fossero trasportati da un amico nelle cantine dell'ambasciata americana alla caduta della Francia, nel 1940.

Le nozze religiose a Lourdes

Quando i Monnet tornarono in Europa dopo la guerra, avevano già anche una figlia nata a Washington DC dal loro matrimonio, nel 1941: Marianne. Anna aveva ormai quasi 15 anni e il padre biologico aveva fatto pace con l’idea di non poterla riabbracciare. Quando Francesco Giannini morì, nel 1974, Silvia e Jean Monnet decisero che era l’ora di consacrare anche davanti a Dio la loro unione, e celebrarono un matrimonio religioso nella cattedrale di Lourdes.

Quai d’Orsay, Parigi, 21ottobre 1972.  Jean Monnet, presidente del “Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa” arriva per un ricevimento d’onore insieme alla moglie Silvia

Furono delle nozze sicuramente più in linea con le idee della coppia. Silvia, con il passare degli anni, era diventata una cattolica sempre più ardente. Dall’altro lato, se Monnet era considerato abbastanza laico, sua madre era “molto devota”, e la sorella maggiore, Marie-Louise, era un pezzo grosso dell’Azione Cattolica francese, e, con Barbara Ward, fu una delle due sole donne laiche convocate da Papa Giovanni XXIII al Concilio Vaticano II, negli anni Sessanta.

L’influenza di Silvia sul marito

Chiunque abbia lavorato con Monnet ha sempre sostenuto che Silvia ebbe una forte influenza sul marito in tutti i quarantacinque anni del loro matrimonio (lui morì nel 1979; lei gli sopravvisse di tre anni). Louis Joxe, diplomatico e politico francese di lungo corso, scrisse che su ogni tema “l’opinione di lei contava per lui più di quella di chiunque altro”. In effetti, era una donna intelligente e forte; molto colta. Veniva da una famiglia di poliglotti. Il nonno Pompeo era stato uno dei pionieri della fotografia e i suoi scatti della via Appia sono una rarità di grandissimo valore. Il padre, Guglielmo, era l’editore de “La Turquie”, settimanale che usciva in Turchia negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale e aveva una grande diffusione in tutto il Mediterraneo orientale.

A quanto pare, Monnet la consultava su tutti i documenti chiave e, come sapevano i suoi collaboratori, teneva conto dei suoi commenti. Oltre a questo, è difficile valutare la sua reale influenza. Per quanto ne sanno i testimoni diretti, sembrava che il politico cercasse le sue opinioni più per avere una sorta di “osservatorio privilegiato sull’opinione pubblica colta”, che non per attingere a lei per le politiche da proporre. In ogni caso, con un po’ di manica larga, potremmo annoverarla tra le “madri fondatrici” dell’Unione europea. E questo grazie alle avanzatissime leggi sul diritto matrimoniale dell’Unione Sovietica.

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