Storia dello “shampanskoe”: tutto quello che c’è da sapere sullo champagne russo

Russia Beyond (Foto: MAMM/MDF; Yakov Berliner/Sputnik)
I russi si innamorarono così tanto dello champagne francese che decisero di avviare una produzione propria. Il risultato superò le aspettative

All’inizio del XIX secolo la nobiltà russa amava tutto ciò che era francese. Da Parigi arrivarono nella Russia innevata non solo romanzi e cappelli francesi, ma anche tante prelibatezze enogastronomiche. I nobili russi erano particolarmente amanti dei vini spumanti francesi provenienti dalla regione della Champagne.

Cartellone pubblicitario dello champagne

Il protagonista del romanzo in versi di Aleksandr Pushkin (1799-1837) “Eugenio Onegin” beveva “Veuve Clicquot” e “Moët” (i più famosi spumanti delle due omonime case vinicole). Lo champagne francese era così popolare tra i russi da diventare un simbolo di lusso, divertimento e buon gusto. Gradualmente divenne noto semplicemente con il suo nome russificato “shampánskoe” (“шампанское”). Aveva un solo inconveniente: era troppo costoso.

Lo “champagne” dei cosacchi del Don

I vini frizzanti non erano una rarità in Russia: dalla seconda metà del XVIII secolo la regione del Don produceva un vino chiamato Tsimljánskoe (“Цимлянское”). Questa bevanda frizzante dal colore rubino era molto conosciuta e amata dal pubblico russo. Naturalmente, lo Tsimljanskoe non era buono come lo champagne francese, ma era più accessibile e aveva molti estimatori. Ad esempio, sempre nell’“Eugenio Onegin” di Pushkin, viene servito alla cena dei poco abbienti proprietari terrieri Larin.

Etichetta del vino Tsimljanskoe

Per la produzione di questo vino venivano raccolte due varietà di uve nere, che poi erano fatte appassire sotto delle tettoie fino ai primi freddi, e in seguito macinate e lasciate fermentare. Il vino veniva imbottigliato a fermentazione non ultimata.

Un cosacco vende del vino Tsimljanskoe, 1875-1876

Molti viticoltori tentarono di produrre propri vini spumanti in Russia, ma nessuno ebbe il successo dello champagne. La prima grande impresa vitivinicola fu aperta da Pjotr-Simon Pallas in Crimea all’inizio del XIX secolo, ma fu chiusa per frode. Il nuovo proprietario dell’azienda decise di apporre semplicemente delle etichette francesi sulle bottiglie, ma questo non migliorò certo la qualità del vino. Anche il principe Vorontsov tentò di produrre dello “champagne” nazionale, ma i suoi vigneti non sopravvissero alla guerra di Crimea (1853-1856). Per lungo tempo, l’alta società fu insomma costretta a comprare champagne in Francia, fino a quando non intervenne nella questione Lev Golitsyn (1845-1915).

Il principe Golitsyn e i primi successi vinicoli in Crimea

Il principe Golitsyn proveniva da una ricca famiglia nobile e aveva ricevuto una brillante istruzione. Viaggiando per l’Europa, conobbe l’enologia francese e scoprì di avere un gran talento per la vinificazione (si dice che Golitsyn fosse in grado di determinare inequivocabilmente la varietà di uva dalla sua forma o dal suo odore) e fu ispirato dall’idea di creare uno spumante russo equivalente per qualità allo champagne francese. Nel 1878 acquistò una tenuta a Novyj Svet, in Crimea, dove piantò circa 600 varietà di uva. Golitsyn conosceva le varietà utilizzate dai viticoltori francesi per lo champagne, ma non erano adatte al clima e ai terreni russi. La stessa varietà di uva su terreni diversi può produrre un gusto e una composizione chimica del frutto completamente diversi. Per questo motivo, il principe selezionò personalmente le varietà di uva più adatte a produrre una bevanda di alta qualità nelle condizioni della Crimea. 

Il principe Lev Sergeevich Golitsyn

Il primo champagne di Golitsyn fu pronto all’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento e il successo fu tale che nel giro di soli dieci anni si guadagnò un’ottima reputazione a Corte: nel 1891 Alessandro III lo nominò enologo capo delle tenute imperiali in Crimea e nel Caucaso. Nel 1900, all’Esposizione Mondiale di Parigi, il vino di Golitsyn vinse il Grand Prix, superando tutti gli champagne francesi!

La tenuta vinicola Novyj Svet

Golitsyn era un enologo eccezionale, creativo e appassionato, ma un pessimo commerciante. Nonostante l’enorme successo dei suoi vini, fallì nel 1905. Vladimir Giljarovskij, noto giornalista e scrittore russo dell’epoca, descrisse in seguito Golitsyn come segue: “Gettava soldi a destra e a manca, non diceva mai di no a nessuno, soprattutto ai giovani studenti. Aveva un negozio di vini provenienti dai suoi magnifici vigneti di Crimea di Novyj Svet sulla Tverskaja [nel centro di Mosca; ndr] e vendeva questo vino puro e naturale per venticinque copeche [un prezzo incredibilmente economico per l’epoca; ndr] a bottiglia”. “Voglio che anche l’operaio, l’artigiano, il piccolo servo beva del buon vino!”, ripeteva infatti Golitsyn.

Frolov-Bagreev, allievo di Mendeleev, rivoluzionario ed enologo

Fortunatamente, dopo qualche tempo, l’azienda Golitsyn ebbe un degno successore: Anton Frolov-Bagreev (1877-1953). Laureatosi con lode all’Università di San Pietroburgo, ottenne lettere di referenze dal grande chimico russo, e creatore della tavola degli elementi chimici, Dmitrij Mendeleev (1834-1907) e, grazie ad esse, andò a studiare in Europa. In Francia e in Portogallo studiò le particolarità della produzione di vari tipi di vino e, tornato in Russia nel 1905, divenne chimico della produzione di champagne ad Abráu-Djursó (spesso traslitterato Abrau-Durso). Nello stesso anno, un’ondata di proteste attraversò la Russia e scoppiò la prima rivoluzione. I manifestanti chiedevano maggiori libertà civili, migliori condizioni di lavoro e limiti al potere dell’imperatore. Frolov partecipò alle manifestazioni dei lavoratori della fabbrica Abrau-Durso e firmò una petizione contro l’autocrazia, per via della quale fu licenziato e spedito in Siberia.

Anton Frolov-Bagreev

L’esilio, tuttavia, non durò a lungo: già dal 1906 lavorava di nuovo come chimico del vino in Crimea, e dal 1911 in poi fu sommerso di riconoscimenti e onorificenze (in epoca sovietica ricevette anche il Premio Stalin). Nel 1919, sotto il nuovo regime bolscevico, Frolov divenne responsabile della produzione di champagne ad Abrau-Djurso.

Dopo la Rivoluzione e la Guerra civile, l’azienda agricola aveva perso tutto il know-how sulla precedente tecnologia di produzione dello “champagne”, quindi Frolov dovette ricrearla da zero. I primi campioni furono pronti solo nel 1923. Il processo di produzione dello “champagne”, utilizzando il metodo classico, richiedeva molto tempo e rendeva il vino un piacere costoso, inaccessibile alla maggior parte delle persone. Il motivo è il tempo di invecchiamento: secondo il metodo classico il vino viene imbottigliato, vi vengono aggiunti zuccheri e lieviti selezionati (“liqueur de tirage”), viene tappato e invecchiato per 9-12 mesi, durante i quali i lieviti emettono anidride carbonica e la bevanda diventa frizzante. Un lungo tempo di invecchiamento riduce le quantità immesse sul mercato e quindi aumenta il prezzo.

Frolov si impegnò a sviluppare una tecnologia di invecchiamento accelerato dello shampanskoe e risolse con successo il problema a metà degli anni Trenta. Lo “champagne” non veniva più prodotto in bottiglia, ma in speciali vasche, e fermentato per circa un mese. Questa tecnologia è stata poi utilizzata per produrre il celebre “Sovetskoe Shampanskoe”; lo “Champagne sovietico”. Il nome provocò uno scandalo: quando si cercò di esportare lo “champagne sovietico” in Francia, i produttori locali si indignarono per l’uso della parola “champagne”, seppur nella sua versione russificate.

Pubblicità dello champagne sovietico
Pubblicità dello champagne sovietico

Il dibattito sul diritto dei vini russi di essere chiamati “champagne” è ancora in corso. Una cosa è indiscutibile: Frolov-Bagreev ha dato non solo ai cittadini sovietici, ma anche al mondo intero un vino di qualità e a prezzi accessibili, la cui tecnologia è ora utilizzata anche in Francia per alcune produzioni! Nel 1975, persino la casa francese Moët & Chandon acquistò una licenza per la produzione di vino frizzante con il metodo sovietico.


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