“Solo uno come lui poteva resistere e mantenere il controllo su quel fazzoletto di terra. Il coraggio e la dedizione del comandante d’armata furono un esempio per i suoi subordinati, e contribuirono in larga misura alla fermezza dimostrata da tutto il personale dell’esercito che combatteva in città e per la città”. Così il maresciallo Konstantin Rokossovskij (1896-1968) parlò del generale Vasílij Chujkóv (1900-1982), comandante della 62ª Armata, che difese Stalingrado con feroci e cruente battaglie nell’autunno del 1942.
La carriera militare di Chujkov era iniziata nel 1918, quando, diciottenne, si arruolò nell’Armata Rossa. Combatté sui campi di battaglia della Guerra civile nel Sud, nell’Ovest e nell’Est del Paese e già all’età di diciannove anni gli fu affidato il comando di un reggimento di fucilieri. Nel 1939 raggiunse il grado di comandante dell’esercito e partecipò attivamente alla Guerra d’inverno contro la Finlandia del 1939-1940.
Un posto speciale nella vita di Chujkov è occupato dalla Cina. Nel 1926, dopo essersi diplomato all’Accademia militare dell’Armata Rossa (dove, tra l’altro, studiò la lingua cinese), fu inviato in quel Paese come corriere diplomatico. Vi tornò nel 1940, come consigliere militare di Chiang Kai-shek, per assistere l’esercito cinese nella difficile lotta contro i giapponesi. Quando la Wehrmacht invase l’Unione Sovietica, Vasilij Chujkov era ancora in Estremo Oriente. “Ma ero ansioso di andare al fronte per combattere il nostro nemico principale, la Germania nazista”, ha detto nelle sue memorie. E nel 1942, il generale fu accontentato: venne finalmente richiamato a casa, e finì letteralmente dalla padella nella brace.
Il 28 giugno, con l’Operazione Blu (Fall Blau), le truppe tedesche sfondarono le difese dell’Armata Rossa nel Sud del Paese e si fiondarono verso i ricchi giacimenti petroliferi del Caucaso. La 6ª Armata di Friedrich Paulus e la 4ª Panzerarmee di Hermann Hoth avanzarono verso Stalingrado. Con la conquista di questo importante centro industriale e nodo di trasporto sul Volga, i tedeschi avrebbero potuto tagliare fuori completamente il Caucaso dalle regioni centrali dell’Urss, portando immediatamente il Paese sull’orlo del baratro.
Il 22 luglio, Chujkov fu incaricato di comandare la 1ª Riserva (64ª Armata), che incontrò il nemico in un’ansa del Don alle porte di Stalingrado. Il 12 settembre si mise alla testa della 62ª Armata, che dovette combattere già ai confini della città. Nel giro di pochi mesi, questa unità operativa, devastata dalla battaglia, aveva visto cambiare tre comandanti. L’Armata Rossa stava arretrando sotto l’assalto dei tedeschi, che si scagliavano instancabilmente verso il Volga. Erano in corso sanguinosi combattimenti letteralmente per ogni strada, casa per casa e per il controllo del terrapieno ferroviario, di ogni scantinato e poi persino cumulo di rovine. “Arretravamo, occupando un edificio dopo l’altro, trasformandolo in nodo difensivo. Un soldato si allontanava da una posizione occupata solo quando il pavimento sotto di lui iniziava a crollare e i suoi vestiti iniziavano a bruciare", ha ricordato il generale.
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Chujkov si rifiutò di condurre contrattacchi con unità e grandi unità, affidandosi alla creazione di piccoli gruppi d’assalto (20-50 persone), estremamente mobili. “Scavavano negli edifici e nel terreno e aspettavano l’avvicinarsi dei nazisti per lanciare una granata”, o attraverso tunnel sotterranei penetravano nelle retrovie del nemico, infliggendo colpi dolorosi.
“La tattica del gruppo d’assalto [in russo: “shturmavája gruppa”; ndr] si basa sull’azione rapida, sulla sorpresa, sull’ampia libertà di iniziativa e sull’audacia di ogni singolo combattente”, ha scritto Chujkov nelle sue memorie: “La flessibilità della tattica è necessaria per questi gruppi perché, dopo aver fatto irruzione in un edificio fortificato, dopo essersi addentrati in un labirinto di stanze occupate dal nemico, incontrano una massa di sorprese. È qui che entra in gioco la regola inesorabile: è ora di tornare indietro! Il pericolo è in agguato a ogni angolo. Nessun problema, metti una granata in ogni angolo della stanza e vai! Si spara una raffica di fucile mitragliatore contro i resti del soffitto; se non basta si lancia una granata, e di nuovo in avanti! Un’altra stanza: una granata! Si fa una svolta: un’altra granata! Ancora giù con la mitragliatrice! E non bisogna mai rallentare!”.
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Per impedire ai tedeschi di utilizzare efficacemente l’artiglieria e l’aviazione, le truppe di Chujkov furono posizionate in prossimità delle posizioni nemiche. Anche il quartier generale del generale stesso, che rifiutò categoricamente di evacuare sull’altra sponda del Volga, si trovava praticamente in prima linea. Il 14 ottobre, i tedeschi riuscirono a sfondare con successo ed erano a soli 300 metri dal posto di comando. Una compagnia di guardie del quartier generale dovette entrare direttamente in battaglia. “Se il nemico fosse riuscito ad avvicinarsi, avremmo presto dovuto combattere noi stessi contro i carri armati tedeschi”, ha ricordato Chujkov.
All’inizio di novembre, la 62ª armata, schiacciata contro il Volga, aveva in mano solo un decimo della città: l’area a nord della fabbrica di trattori di Stalingrado, l’impianto della fabbrica “Barrikady” (ossia “Barricate”), vari reparti della fabbrica “Krasnyj Oktjabr” (“Ottobre Rosso”) e alcuni quartieri. Nonostante la situazione disperata dei difensori, i piani tedeschi furono sventati. La 6ª Armata di Friedrich Paulus rimase completamente impantanata a Stalingrado, non riuscendo a rompere le difese sovietiche prima del sopraggiungere del freddo. Mentre le truppe di Chujkov tenevano impegnato il nemico in estenuanti battaglie strada per strada, l’Armata Rossa accumulava riserve e il 19 novembre lanciò l’offensiva strategica detta “Operazione Urano” (“Operátsija Urán”), che si concluse con il completo accerchiamento del raggruppamento delle forze tedesche.
All’inizio del 1943, la 62ª Armata partecipò all’attacco del nemico accerchiato, con l’“Operazione Anello” (Operatsija Koltsó). In seguito, ribattezzata 8ª Armata della Guardia, sotto il comando di Chujkov liberò l’Ucraina e la Polonia, completando il suo glorioso percorso militare a Berlino. Soprannominato “General Shturm” (“Generale Assalto”), Vasilij Chuikov ricoprì nel dopoguerra una serie di incarichi di alto livello, tra cui quello di Comandante in capo delle forze sovietiche in Germania e di Comandante in capo delle forze di terra sovietiche.
Nel 1981, poco prima della sua morte (avvenuta il 18 marzo 1982), Vasilij Chujkov si appellò a Leonid Brezhnev, segretario generale del Pcus, chiedendogli di essere seppellito sul Mamaev Kurgan di Volgograd (come Stalingrado fu ribattezzata nel 1961), il luogo di feroci battaglie dove dopo la guerra è stato costruito un grande complesso commemorativo. “Da quel luogo si sente il rombo delle acque del Volga, le raffiche dei cannoni e il dolore delle rovine di Stalingrado; migliaia di soldati che ho comandato sono sepolti lì…”, scrisse Chujkov al leader sovietico. Il desiderio del comandante fu esaudito.
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