Morire per le patate, o essere mandati ai lavori forzati o reclusi in una fortezza: questo fu il destino di alcuni contadini russi a metà del XIX secolo, quando nell’Impero russo scoppiarono le cosiddette “Rivolte delle patate” (in russo: “Картофельные бунты”; “Kartofelnye bunty”).
A Dolmatov (nell’attuale Regione di Kurgan), i contadini fecero prigioniero un funzionario elettivo, il capo del volost (una suddivisione amministrativa di terzo livello, formata da alcuni villaggi e dalle terre circostanti), lo picchiarono, lo denudarono e cercarono di annegare lui e tre impiegati del volost nel fiume. I funzionari dovettero rifugiarsi nel monastero, ma i contadini cercarono di prenderli anche lì. Riuscirono a calmare il tumulto della folla solo con dei colpi a salve sparati dai cannoni del monastero.
Nel villaggio di Baturino, nell’uezd (suddivisione amministrativa di secondo livello; il primo era la gubernija, il governatorato) di Shadrinsk, i capi delle parrocchie, i sacerdoti con le loro mogli e i servitori della chiesa – più di 150 persone in totale – furono costretti a ripararsi dai ribelli nella chiesa, che i contadini iniziarono a prendere d’assalto. I difensori iniziarono a sparare per uccidere con i fucili.
Nel volost di Kargopolskaja, sempre nell’uezd di Shadrinsk, i contadini – sia scismatici che fedeli alla riforma di Nikon – attaccarono il sacerdote e il diacono, versando su di loro acqua ghiacciata, costringendoli a mangiare la terra ed esigendo che consegnassero loro la “zaprodazhnaja gramata” (“запродажная грамота”), “l’atto di vendita” secondo il quale i contadini avrebbero dovuto piantare patate.
Naturalmente le patate, che le autorità avevano reso obbligatorio piantare, non erano l’unica ragione dei disordini. Ma, effettivamente, i contadini – che chiamavano il tubero “mela del diavolo” (“чёртово яблоко”; “chjortovo jabloko”) – avevano trasformato questa coltura, fino ad allora pressoché sconosciuta, in un mostro, dando la stura a molte leggende metropolitane.
Le ragioni profonde del malcontento
Sebbene le patate fossero arrivate in Russia ai tempi di Pietro il Grande, erano comuni solo sulle tavole degli aristocratici, come piatto esotico. Solo nel 1765, il Senato emanò una direttiva “Sulla coltivazione delle mele di terra, dette patate”, che conteneva raccomandazioni per la coltivazione e fu inviata a tutti i governatorati insieme a sacchi di patate da seme. Ma i contadini russi non avevano fretta di coltivare lo strano tubero. All’inizio, l’avvelenamento da solanina non era raro: i contadini mangiavano inconsapevolmente i frutti della patata (le bacche), che sono molto velenose, e le patate acerbe o, al contrario, germogliate e inverdite (molto tossiche). Forse è per questo motivo che la “mela di terra” (“земляное яблоко”; “zemljanoe jabloko”, calco dal francese “pomme de terre”) in Russia cominciò a essere chiamata “mela del diavolo”.
Le rivolte contro la coltivazione obbligatoria delle patate si verificarono negli anni Quaranta dell’Ottocento nei governatorati della zona degli Urali di Perm e Vjatka, e non furono guidate dai contadini servi della gleba (la servitù della gleba fu abolita solo nel 1861), ma dai contadini alle dipendenze dello Stato, gestiti dal Ministero del Beni fondiari del demanio, diretto dal conte Pavel Kiseljov e istituito nel 1837. Questi contadini non erano “krepostnye” (servi della gleba appartenenti a un nobile) né “udelnye” (appannaggio diretto dello zar), ma erano detti “svobodnye selskie obyvateli). Sostanzialmente erano dei “liberi contadini” che pagavano un tributo allo Stato.
Autore della riforma dei contadini statali, iniziata con la creazione del Ministero nel 1837, oltre a Pavel Kiseljov, fu il conte Egor Kankrin, Ministro delle Finanze (i contadini statali rimasero sotto la sua autorità fino al 1837). Kiseljov era europeo di formazione; teneva persino un diario personale in francese. Mentre Egor Kankrin era di origine tedesca e non parlava neanche bene il russo. I funzionari europeizzati non erano interessati all’opinione del popolo, ritenendo, come scrive lo storico Igor Menshchikov, che “il popolo vive nell’oscurità ed è sempre avverso ai miglioramenti e alle innovazioni, e quindi ha bisogno di una costante tutela da parte dello Stato”. I funzionari ministeriali furono incaricati di gestire i contadini statali. Il ministero dette uniformi con bottoni dorati ai funzionari elettivi dei volost e ai funzionari. Questo non piacque ai contadini, che pagavano gli stipendi a questi dipendenti pubblici con i soldi delle tasse versate alle comunità rurali. Il risultato furono i disordini.
Nel 1840, il ministero ordinò che le patate fossero piantate sui terreni statali e, dove questi non erano disponibili, sui terreni comuni. I contadini di alcune province cominciarono a rifiutarsi in massa di piantare patate e scoppiarono le prime rivolte, alimentate da leggende metropolitane sempre più suggestive.
Una riga d’oro e il “signor Ministero”
Dalla fine del XVII secolo, nelle province degli Urali esistevano molte comunità e insediamenti di Vecchi Credenti (così sono detti quelli che avevano rifiutato la riforma dell’Ortodossia voluta dal Patriarca Nikon nel 1666-1667), che diffondevano tra i contadini voci sugli intrighi del governo e teorie del complotto. Inoltre, i Vecchi Credenti si rifiutavano categoricamente di coltivare le patate e di includerle nella loro dieta, chiamandole “uova/palle di cane”.
Terrorizzando i compatrioti con la “riforma delle patate”, i Vecchi Credenti diffusero tra i contadini le voci più mostruose. Tutti i contadini liberi sarebbero stati “venduti” a un certo “signore” che si chiamava “Ministero” o “Kulnjov” (storpiatura di “Kiseljov”), che avrebbe costretto i contadini a piantare le patate e le contadine a tessere non per sé ma per il demanio pubblico. Il documento per la vendita dei contadini era chiamato “zaprodazhnaja gramota”, a volte detta “kabalnaja gramota” (“kabalnaja” indica un “contratto capestro” che porta alla “servitù personale”), nella quale ci sarebbe stata una “riga d”oro”, segno della sua autenticità. Se questa lettera fosse stata sottratta ai funzionari, i contadini avrebbero mantenuto la loro libertà.
Nel giorno di Pasqua del 1842 nella parrocchia di Klevakinskoe, i contadini si riunirono e decisero di cercare il famigerato atto dalla riga d’oro nella casa del sacerdote e di annegare quest’ultimo nel fiume. Il sacerdote, vista la mala parata, riuscì a riparare nel campanile e vi trascorse più di tre giorni. “Scendi dal campanile, padre Jakov, dacci la nostra carta; forse sei innocente, l’hai nascosta contro la tua volontà. Distruggi l’atto della nostra vendita, restituisci le mele della schiavitù; vivi con noi come un tempo”, gli dicevano i contadini. Questo non servì a convincerlo, e allora i contadini presero in ostaggio la sua famiglia e appesero il figlio di un anno per le gambe, a testa in giù. A quella vista, il sacerdote scese dal campanile, fu legato come un salame e trascinato da una sponda all’altra del fiume, ma l’atto incriminato non saltò fuori. Il sacerdote si salvò da un’esecuzione pubblica solo grazie all’arrivo di una pattuglia militare. In un altro caso, uno scrivano dell’amministrazione del villaggio venne trascinato sui cocci di bottiglia e poi inchiodato a una staccionata alla ricerca di quella “carta dalla riga d’oro” che lo portò alla morte.
Perché la rabbia del popolo era rivolta al clero? In primo luogo, il clero personificava la volontà delle autorità, perché annunciava gli ordini e i decreti dal pulpito. In secondo luogo, gli storici affermano che gli attacchi al clero vennero talvolta indirizzati e aizzati dai Vecchi Credenti. Ad esempio, nel villaggio di Kargopolskij una ribellione iniziò quando uno scismatico entrò nella Chiesa ortodossa e attaccò il sacerdote, padre Vasilij, picchiandolo e strappandogli il paramento.
Nel 1843, i disordini furono più diffusi, estendendosi a parti del governatorato di Orenburg. Migliaia di contadini con falci e forconi si riversarono nel villaggio di Baturino, a sud di Shadrinsk. “Il mondo è stato venduto e ai vecchi è stato detto di combattere il signor Ministero, che ha inviato molti soldi agli impiegati e ai sacerdoti, pretendendo in cambio che facessero piantare patate per il suo beneficio, e avrebbe chiesto alle donne 100 arshin [un arshin corrispondeva a 71,12 cm, n.d.t.] di tessuto fine. I funzionari e gli impiegati hanno fatto tutto di nascosto dal sovrano e ora i contadini non hanno altra scelta che ribellarsi”, così lo storico Menshikov racconta quello che accadde tra i contadini. I pochi funzionari, scortati da appena una decina di soldati, furono costretti a rifugiarsi nella chiesa locale fino all’arrivo di un comando militare che disperse gli insorti.
Quasi ovunque nello Zauralje (la zona a est degli Urali) le rivolte furono soppresse dalle truppe e i processi vennero condotti in tribunali militari da campo. I semplici contadini non venivano generalmente mandati al confino, ma condannati a punizioni corporali, in particolare alla fustigazione. Gli istigatori alla rivolta erano attesi da pene più pesanti. Intanto dovevano “passare sotto le forche caudine” (una punizione corporale nella quale un prigioniero è costretto a camminare tra due file di uomini che lo colpiscono ripetutamente con fruste o corde, e che in russo si chiama “shpitsruten”; “шпицрутен”). Poi erano condannati al pagamento di pesanti ammende e/o all’esilio in Siberia o nella fortezza di Bobrujsk. Inoltre, le rivolte cominciarono a placarsi con l’inizio dell’anno agricolo; la stagione della semina doveva pur essere avviata.
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Comunque, nel 1843 venne abolita la semina obbligatoria delle patate per i contadini statali. Eppure, alla fine del XIX secolo in Russia venivano coltivati già più di 1,5 milioni di ettari di patate e il tubero era ormai entrato nella dieta dei contadini, soprattutto nelle province con poca terra coltivabile. I Vecchi Credenti si rifiutarono invece di mangiare quel frutto del demonio fino alla seconda metà del XX secolo.
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