Come il Kgb e la polizia sovietica si fecero la guerra a inizio anni Ottanta

Storia
BORIS EGOROV
A fine dicembre del 1980 alcuni agenti della milizia, di guardia in una stazione della metropolitana, uccisero un maggiore dei servizi segreti e fecero ritrovare il corpo alla periferia di Mosca. Non potevano immaginare le reali conseguenze di quel delitto: uno scontro al vertice tra apparati dello Stato, che costò la testa (e non solo in senso figurato) al potentissimo ministro dell’Interno

La mattina del 27 dicembre 1980, un uomo sulla quarantina, picchiato selvaggiamente, venne trovato privo di sensi vicino alla strada per l’aeroporto di Bykovo, nella Regione di Mosca. In tasca l’unico documento che gli ritrovarono era un certificato di malattia con la dicitura “si rilascia agli ufficiali di grado superiore del Kgb”.

Iniziò così una storia che avrebbe scosso la leadership dell’Unione Sovietica, portato i servizi di sicurezza e gli organi di polizia del Paese sull’orlo della guerra e fatto cadere in disgrazia una delle figure più influenti dello Stato.

Il Kgb sulle tracce dei colpevoli

Il vice capo della segreteria del Kgb, il maggiore Vjacheslav Afanasjev (la vittima delle percosse), morì in ospedale il 1° gennaio 1981 senza mai aver ripreso conoscenza. Poiché l’ufficiale era responsabile di un lavoro estremamente importante con i sistemi di protezione dei dati, l’indagine sull’aggressione ai suoi danni venne presa in carico direttamente da Jurij Andropov, allora a capo dei servizi segreti (sarebbe poi diventato Segretario generale del Pcus il 12 novembre 1982). 

Il Dipartimento Investigativo del Kgb e gli uomini del Secondo Direttorato Principale (Controspionaggio) considerarono diverse piste: da una normale rapina a un attacco mirato da parte dei servizi segreti occidentali. Ben presto arrivarono a una conclusione incredibile: gli agenti del 5° Dipartimento della Milizia che lavoravano alla stazione della metropolitana Zhdanovskaja (oggi Vykhino) potevano essere direttamente collegati alla morte del maggiore. Era presso il loro punto di guardia che si perdevano le tracce di Afanasjev.

Sebbene il Kgb avesse un’enorme influenza in Urss, non poteva così facilmente prendere di mira un intero dipartimento di polizia, organizzando interrogatori e perquisizioni tra decine di suoi agenti. L’ostacolo principale era rappresentato dalla personalità del ministro degli Interni del Paese, Nikolaj Shchelokov.

In carica da 15 anni, Shchelokov era riuscito a portare l’autorità della polizia a livelli mai raggiunti prima. Aveva spinto per la produzione di massa di libri e film sugli agenti delle forze dell’ordine e organizzato spettacolari concerti annuali per la loro festa, il 10 di novembre. Gli stipendi degli ufficiali erano stati aumentati in modo significativo e gli agenti avevano ricevuto dallo Stato gli appartamenti dove vivevano con le famiglie. Scuole di polizia erano state aperte in tutto il Paese e i giovani vi si iscrivevano in massa.

Nikolaj Shchelokov, amico stretto del leader dell’Urss Leonid Brezhnev, era uno dei principali pretendenti al potere dopo la morte del segretario generale, che, viste le condizioni di salute, sembrava non lontana (sarebbe venuto a mancare il 10 novembre del 1982). E in questa corsa al vertice si trovava ad affrontare proprio il potente Jurij Andropov. “Stiamo parlando di un confronto politico e ideologico. Erano persone completamente diverse, con opinioni diametralmente opposte”, ha dichiarato la figlia del ministro, Irina Shchelokova. 

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Andropov decise di agire con cautela ma anche con decisione. Su sua richiesta, fu la “neutrale” Procura generale dell’Urss a occuparsi del caso Afanasjev. Il Kgb gli fornì tutta l’assistenza necessaria. Il 14 gennaio 1981, quando Shchelokov non era a Mosca, fu lanciata un’operazione speciale che prese completamente di sorpresa la polizia moscovita. Decine di auto con a bordo agenti del Kgb e investigatori della Procura Generale si precipitarono nei luoghi di lavoro e di residenza dei sospettati, e ebbero inizio immediatamente fermi e perquisizioni. Un taccuino contenente i numeri di telefono dei colleghi di Vjacheslav Afanasjev fu trovato presso uno degli agenti di polizia, e gli esperti rinvennero tracce del sangue della vittima sui muri della stazione di polizia di Zhdanovskaja, lavato via alla meglio. Gli investigatori poterono farsi presto un quadro completo di ciò che era accaduto quel 26 dicembre.

Come fu ucciso il maggiore del Kgb

Quel giorno sfortunato, Afanasjev stava tornando a casa dopo una cena con i colleghi con cui aveva festeggiato il suo quarantesimo compleanno. Aveva alzato troppo il gomito e si addormentò saltando la sua fermata e, a notte fonda, si ritrovò nella stazione terminale di Zhdanovskaja. Il maggiore venne tirato fuori dal vagone dai lavoratori della metropolitana, che furono immediatamente avvicinati dai poliziotti in servizio sul posto. Tuttavia, non consegnarono il passeggero ubriaco al personale del vytrezvitel. “Il tesserino di riconoscimento [del Kgb] non impressionò le guardie”, ha scritto l’investigatore Vladimir Kalinichenko nelle sue memorie: “Ad Afanasjev legarono le mani dietro la schiena e lo trascinarono di sotto. Qui, sotto la piattaforma della metropolitana, si trovava la saletta della polizia, una stanza lugubre e scarsamente illuminata. Vjacheslav cercò debolmente di opporre resistenza. Ahimè, non aveva idea che i due giovani in uniforme grigia lo considerassero un “carassio”.

Con “karas”, il nome di un pesce, nel loro gergo si indicava una persona che dall’aspetto sembrava un membro dell’intellighenzia, e che quindi sicuramente aveva soldi e oggetti di valore, ossia qualcosa da intascare durante la perquisizione per poi accusarlo di qualche reato per chiudergli la bocca. Come ha stabilito l’indagine, tali “guadagni” illegali erano cosa comune per quegli agenti della milizia. All’inizio arrotondavano prendendo soldi dalle borse degli ubriachi.

Poi iniziarono a prendere i soldi a tutti, a picchiare e persino a uccidere i passeggeri in ritardo. Una volta, un giovane di ritorno da un matrimonio venne ucciso per una bottiglia di spumante. Questa pratica, come si è scoperto, non era caratteristica solo del 5° Dipartimento, ma era ampiamente utilizzata anche in altri distretti della capitale. Spesso i tribunali e l’ufficio del pubblico ministero contribuivano a coprire i crimini per non offuscare l’immagine ideale della polizia sovietica. La maggior parte degli agenti di polizia in servizio alla stazione Zhdanovskaja quel giorno erano a loro volta ubriachi. Il più sobrio di loro, Selivanov, raccontò all’ufficiale di turno che un ufficiale del Kgb era stato trattenuto alla stazione e picchiato duramente. Urlando che erano tutti impazziti, l’ufficiale di turno chiese che il maggiore fosse rilasciato immediatamente (la polizia non aveva il diritto di trattenere gli ufficiali del Kgb, anche se erano ubriachi; se ne occupava il Kgb stesso).

Più o meno rinsaviti, gli agenti di polizia rilasciarono Afanasjev. Prima di andarsene, però, il maggiore, infuriato, pronunciò la frase che alla fine gli costò la vita: “Non vi perdonerò mai, bastardi”. Rendendosi conto dei problemi che li aspettavano se la cosa fosse uscita, gli agenti raggiunsero l’uomo, che era già salito sulla piattaforma, e lo ritrascinarono indietro. Si decise di ucciderlo e di sviare le tracce. Boris Baryshev, capo del 5º Dipartimento, arrivò alla stazione di Zhdanovskaja per compiere l’operazione. Fu nella sua Volga che Afanasjev venne portato ai limiti della città e ucciso (così pensavano) con un piede di porco e a calci, portando via tutti gli oggetti che aveva con sé per simulare una rapina. Durante il tragitto, seminarono anche un’auto della polizia stradale che aveva cercato di fermarli per un’infrazione al codice della strada. Ciononostante, gli agenti della stradale riuscirono a prendere il numero di targa della Volga. 

Un brutto colpo per il ministro

Il caso Afanasjev divenne il filo per iniziare a districare il groviglio di crimini e il loro occultamento nel sistema del Ministero degli Interni. All’epoca dell’indagine, gli investigatori della Procura Generale, temendo per la propria incolumità, non vollero più la scorta da parte degli agenti del ministero degli Affari interni, e furono incaricati di proteggerli gli uomini dell’unità speciale “Alfa” del Kgb. Furono loro a scortare anche gli imputati al fine di escludere la possibilità di fuga. Il 21 luglio 1982, Boris Baryshev, l’ispettore capo Nikolaj Rassokhin, gli agenti Nikolaj Lobanov e Aleksandr Popov furono condannati a morte per fucilazione.

Altri agenti vennero condannati a pene detentive varie. Le epurazioni e i licenziamenti di massa riguardarono non solo il 5° Dipartimento, ma anche diversi altri dipartimenti di Mosca. La questione non finì qui. Venne avviata un’ispezione completa sull’operato del ministero dell’Interno, che rivelò un gran numero di abusi da parte dei funzionari di polizia in tutto il Paese. La credibilità della milizia subì un duro colpo. Per molto tempo, le persone  rimasero disgustate e timorose nei confronti delle forze dell’ordine in servizio nelle stazioni della metropolitana. Il 17 dicembre 1982, un mese dopo la morte del suo protettore Leonid Brezhnev, Nikolaj Shchelokov, accusato di corruzione, perse il posto di ministro degli Affari Interni che ricopriva dal 1966. Fu poi espulso dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica, privato del suo grado di generale dell’esercito, di Eroe del Lavoro Socialista e di tutte le onorificenze, tranne quelle che si era guadagnato nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 10 dicembre 1984, l’ex ministro disperato inviò una lettera al leader dell’Unione Sovietica, Konstantin Chernenko (nel frattempo Jurij Andropov era morto), in cui affermava di non aver “mai infranto la legge, di non aver mai tradito la linea del partito, e di non aver mai preso nulla dallo Stato”. Tre giorni dopo si sparò.

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