Il peggior disastro ferroviario nella storia dell’Urss (FOTO)

Sergej Titov/Sputnik
La potenza dell’esplosione, causata da una falla in un gasdotto vicino ai binari, fu quasi paragonabile a quella dell’atomica di Hiroshima. La colonna di fiamme era visibile da oltre 100 chilometri di distanza e la temperatura superò i mille gradi

“Gli alberi bruciavano come candele giganti, i vagoni, resi incandescenti dal fuoco, fumavano lungo la massicciata. Le grida di dolore e di terrore di centinaia di persone gravemente ustionate e morenti si fondevano in un unico penoso lamento. La foresta era in fiamme, le traversine erano in fiamme, le persone erano in fiamme. Ci siamo affrettati a soccorrere alcune di quelle ’torce vive’, a toglierle dal fuoco, a spostarle più vicino alla strada, lontano dalle fiamme. Era l’Apocalisse…”. Così Valerij Mikheev, direttore del giornale “Stalnaja iskra”, descrisse le conseguenze della terribile catastrofe ferroviaria del 4 giugno 1989 sulla Transiberiana, nella Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Baschiria (circa 1.500 chilometri a est di Mosca). 

La causa della tragedia fu un guasto a un gasdotto vicino ai binari della ferrovia, che provocò un rapido accumulo di gas in una zona ribassata e disabitata. Verso l’una di notte, due treni passeggeri che viaggiavano in direzioni opposte finirono in quel “lago” di gas. Bastò una scintilla o una sigaretta gettata dal finestrino a scatenare l’inferno. 

La potenza dell’esplosione fu quasi paragonabile a quella della bomba atomica di Hiroshima (12 chilotoni di trinitrotoluene contro 16). La colonna di fiamme venne avvistata a più di 100 km di distanza e l’onda d’urto mandò in frantumi le finestre delle case della città di Asha, lontana 11 chilometri. Nella depressione del terreno dove avvenne lo scoppio fu un incubo: la temperatura raggiunse in breve i mille gradi, l’incendio inghiottì 150 ettari di foresta, estendendosi per 350 metri lungo i binari ferroviari. Alcune carrozze con le persone che vi dormivano furono strappate dai treni e finirono giù dalla massicciata, altre, rimaste sui binari, bruciarono completamente.

“Mi sono svegliata che ero caduta dal secondo ripiano delle cuccette a terra e tutto intorno a me era già in fiamme”, ha ricordato Natalia K. di Adler: “Mi sembrava di assistere a una specie di incubo: la pelle del mio braccio bruciava e si staccava, un bambino in fiamme strisciava sotto i piedi, un soldato con gli occhi vuoti mi veniva incontro con le braccia tese, strisciavo accanto a una donna che non riusciva a spegnere i capelli, e lo scompartimento non aveva più ripiani, né porte, né finestrini”. 

Tanja Sopilnjak, cinque anni, stava viaggiando con i fratelli e i genitori dalla Siberia per andare in vacanza sulla costa del Mar Nero: “La carrozza si è incendiata in tre minuti… Le maniglie delle porte si sono surriscaldate e si sono bloccate. Mia madre si è ustionata perché ha afferrato le maniglie: è stata una questione di secondi. Non siamo riusciti a rompere il finestrino. Poi il calore ha rotto il vetro e abbiamo messo la testa fuori per prendere un po’ d’aria... La gente gridava e urlava e poi si è zittita. Si è zittita perché stava morendo. Non appena siamo usciti, c’è stata una seconda esplosione e il nostro vagone è andato in mille pezzi.

Quando le autorità si sono rese conto dell’enorme disastro, tutti i vigili del fuoco, i medici e il personale militare disponibili nella regione è stato inviato nell’area dell’incidente. “L’immagine che abbiamo visto assomigliava alle conseguenze di un’esplosione nucleare. Come una bomba atomica. È stata la prima volta che ho visto il ferro bruciare e l’alluminio fondersi e gocciolare”, ha ricordato Radik Zinatullin, medico in un ospedale di Ufa. I feriti, con terribili ustioni alle vie respiratorie, alle gambe, al viso e al busto, vennero portati negli ospedali con autobus, camion ed elicotteri. Molti arrivarono rapidamente sul tavolo operatorio, ancora vivi, ma lì morirono quasi subito. 

Ai soldati che lavoravano tra le lamiere bruciate venne somministrato dell’alcol: tremavano e avevano la nausea mentre sgombravano le macerie da corpi carbonizzati e ferro accartocciato. Ben presto arrivarono sul posto i parenti dei morti, sbalorditi dalla tragedia e disperati di trovare i loro cari senza vita. Ma anche il riconoscimento non sempre era possibile, perché alcune delle vittime non avevano più la testa e molti cadaveri erano consumati dalle fiamme.

Il medico Viktor Smolnikov ha ricordato una scena straziante a cui ha assistito in un ospedale di Ufa: “Un ragazzo giaceva lì, con le bende dalla testa ai piedi. Due donne entrano nella stanza, entrambe affermano che si tratta di loro figlio. Il bambino apre gli occhi, guarda uno di loro e allunga la mano per dire ‘Mamma, mamma’. La seconda scoppia in lacrime. Il suo bambino era completamente bruciato”. 

La terribile tragedia era stata causata da una combinazione di negligenza umana e di fatalità. Il gasdotto era stato danneggiato da un escavatore durante la sua posa nel 1985. Quattro anni dopo, la fessura aveva raggiunto un’ampiezza di 1,7 metri. Alla vigilia dell’esplosione, il personale operativo aveva rilevato un calo di pressione nella conduttura, ma invece di cercare l’origine del problema aveva semplicemente aumentato l’erogazione del gas, peggiorando ulteriormente la situazione. Anche le segnalazioni dei macchinisti dei treni in transito, che avvertivano un forte odore di gas nella zona, erano rimaste inascoltate. Infine, entrambi i treni non avrebbero dovuto circolare contemporaneamente su questa tratta: uno di essi era in forte ritardo a causa del fatto che una passeggera incinta era dovuta scendere per essere ricoverata d’urgenza.

Il processo si è protratto fino al 1995. La Corte Suprema della Federazione Russa ha condannato sette persone direttamente coinvolte nella posa del tubo che avevano ignorato i danni causati. Quattro di loro sono stati immediatamente rilasciati in virtù di un’amnistia per il 50° anniversario della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica, uno è stato presto assolto in appello, e solo due hanno scontato due anni di reclusione in una colonia penale.

Secondo i dati ufficiali, l’incidente ferroviario nei pressi di Ufa ha causato la morte di 575 dei 1.284 passeggeri dei due treni, tra cui 181 bambini. La squadra giovanile di hockey “Traktor-73”, due volte campione dell’Unione Sovietica, scomparve quasi completamente. Centinaia di persone sono rimaste invalide a vita. “Ancora oggi non posso prendere il sole sulla braccia”, dice la provodnitsa Valentina Dzonzhua: “Non appena il sole le colpisce, iniziano a diventare nere. Non rosse, nere! Ma almeno sono viva…”.

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