Valentina Grizodubova è stata la prima donna a essere insignita del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Tra il 24 e il 25 settembre del 1938 il Tupolev ANT-37 “Ródina” (“Patria”), di cui era ai comandi, coprì una distanza di 6.450 km in 26 ore e 29 minuti senza scali intermedi. Anche la copilota Polina Osipenko e la navigatrice Marina Raskova vennero insignite del titolo di Eroe per il record femminile di volo a lunga distanza.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Grizodubova comandò il 101° Reggimento di Aviazione a Lungo Raggio, che era composto da soli uomini. Tuttavia, la pilota si guadagnò rapidamente il rispetto dei suoi subordinati, come comandante durante i combattimenti e come organizzatrice di grande talento. Fu responsabile di 200 sortite, tra cui 132 voli notturni.
Valentina Grizodubova si dimostrò particolarmente efficace nel rifornire i distaccamenti partigiani dietro le linee nemiche. In diverse occasioni la comandante andò in prima persona in missioni pericolose, e di conseguenza fu premiata con la medaglia di “Partigiano della Grande Guerra Patriottica”. “Una donna molto coraggiosa, risoluta e audace nello svolgimento delle missioni”, scrisse di lei Aleksandr Saburov, comandante dell’unità partigiana.
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Zoja Kosmodemjanskaja è una delle più famose eroine sovietiche della Seconda guerra mondiale. In Urss su di lei c’erano film, libri e canzoni.
Durante la battaglia per Mosca, nel novembre 1941, la diciottenne fu inviata come membro di un gruppo di ricognizione diversivo in uno dei villaggi occupati dal nemico. Il comando sovietico aveva ordinato di bruciare gli insediamenti vicini alla capitale, che i nazisti avrebbero potuto usare come acquartieramento invernale.
Zoja riuscì a dare fuoco a diverse case prima di essere catturata. Né le torture né le percosse fiaccarono la ragazza: anche quando venne condotta al patibolo, continuò a esortare la folla di abitanti del villaggio riunita a intraprendere una lotta senza compromessi contro il nemico. Il 16 febbraio 1942 la Kosmodemjanskaja fu insignita post mortem del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.
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“Lady Morte” era il soprannome dato dai giornalisti americani a Ljudmila Pavlichenko, il cecchino donna più letale della storia. Il conto dei soldati e degli ufficiali del nemico uccisi da lei supera le trecento unità.
I tedeschi organizzarono una vera e propria caccia alla ragazza, selezionando a questo scopo i loro migliori tiratori. Ma si scoprì che i cacciatori diventavano essi stessi vittime: Ljudmila liquidò una trentina di cecchini tedeschi che la inseguivano.
Nel 1942 la Pavlichenko visitò gli Stati Uniti come membro di una delegazione sovietica. All’inizio gli americani non la presero sul serio, e tempestarono la ragazza di domande sulla vita quotidiana delle donne al fronte. Alla fine, Ljudmila non ce la fece più e rispose ai giornalisti con parole di sfida, non mancando di accennare all’importante questione dell’apertura di un secondo fronte: “Signori, ho 25 anni. Ho già ucciso 309 invasori nazisti al fronte. Non credete di esservi nascosti dietro alle mie spalle già troppo a lungo?”
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Dopo l’uccisione del marito in una delle battaglie dell’agosto del 1941, Marija Oktjabrskaja fu presa da una vera e propria sete di vendetta. Tuttavia, non avevano certo fretta di portare al fronte una segnalatrice trentaseienne, che aveva pure problemi di salute. Così Marija decise di prendere una strada diversa.
Vendette tutti i suoi averi, trovò un lavoro part-time oltre a quello principale e inviò tutto il denaro raccolto al Fondo di Difesa per pagare la costruzione di un carro armato T-34 per l’Armata Rossa. Contemporaneamente, scrisse una lettera a Stalin, raccontando la sua storia: “Voglio vendicarmi contro i cani fascisti per la sua morte e per quella di tutti i sovietici martirizzati dai barbari fascisti. A questo scopo ho versato alla Banca di Stato tutti i miei risparmi personali: 50.000 rubli per la costruzione del carro armato. Chiedo di chiamare il carro armato ‘Boevája podrúga’ [‘Amica di battaglia’] e di mandarmi al fronte come carrista di questo carro armato”.
Stalin venne incontro alla vedova. Dopo aver terminato la scuola per carristi di Omsk, Marija Oktjabrskaja divenne meccanico-guidatore del carro armato costruito con i suoi fondi e vi combatté con successo fino alla sua morte, avvenuta il 15 marzo 1944.
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L’idea di mandare una donna nello Spazio venne alle autorità sovietiche dopo il successo del volo di Jurij Gagarin nel 1961. Mentre il primo cosmonauta maschio era stato cercato tra i piloti militari, una degna candidata donna venne selezionata tra centinaia di ragazze impegnate nel paracadutismo. La scelta cadde su Valentina Tereshkova.
Il volo della prima donna cosmonauta iniziò il 16 giugno 1963 e durò quasi tre giorni, durante i quali la sua navicella spaziale, la “Vostok-6” girò intorno alla Terra 48 volte. La Tereshkova rimane l’unica donna nella storia ad aver volato da sola nello Spazio; tutte le altre hanno volato solo come parte di equipaggi.
Dopo il suo trionfo, Valentina Tereshkova, insignita del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, decise di dedicarsi alla politica, cosa che fa tuttora. Rimase membro del corpo dei cosmonauti fino al 1997, ma non andò mai più nello Spazio.
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