Così la “Strada della vita” sulle acque del Lago Ladoga salvò la Leningrado assediata

Foto d'archivio
Centinaia di camion fecero la spola sul ghiaccio sottile sotto i colpi di tedeschi e italiani (qui fu attiva la XIIª Squadriglia MAS). Oltre 300 veicoli colarono a picco, ma l’operazione permise di rendere un po’ meno terribile la spaventosa situazione della seconda città dell’Urss

L’8 settembre 1941 le truppe naziste dell’Heeresgruppe Nord conquistarono la città di Schlisselburg, sulla riva del Lago Ladoga, chiudendo così l’anello d’assedio intorno alla seconda città più grande dell’Unione Sovietica. Circa mezzo milione di soldati dell’Armata Rossa, quasi tutte le forze navali della Flotta del Baltico e fino a tre milioni di civili rimasero intrappolati nella città di Leningrado (oggi: San Pietroburgo), completamente circondata.

L’unica via di comunicazione che ora collegava Leningrado al resto del Paese era sulle acque del Lago Làdoga. Fin dall’estate, il lago era stato usato per evacuare parte della popolazione civile, ma dopo che la città fu accerchiata, il lago venne utilizzato  principalmente per cercare di far arrivare almeno un po’ di generi alimentari. 

A quel tempo la flottiglia da guerra del Ladoga aveva il predominio assoluto sulle acque del lago, ma il pericolo per i convogli veniva dagli aerei e dall’artiglieria del nemico, che sparava dalle rive. Nonostante gli attacchi sistematici della Luftwaffe, i marinai riuscirono a organizzare un rifornimento costante della città, e anche a posare sul fondo del Ladoga (che ha una superficie di 17.870 km²; più dell’intera regione Lazio, per un raffronto) diversi cavi telefonici e telegrafici.

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Sul ghiaccio sottile

Con l’avvicinarsi del freddo, le autorità cittadine e il comando militare sovietico iniziarono a pensare a come la comunicazione attraverso il lago Ladoga sarebbe potuta essere effettuata in inverno. Questa era una questione cruciale per la già affamata Leningrado, poiché gli aerei da soli non sarebbero stati in grado di rifornire una metropoli così grande.

Già in novembre, squadre di idrografi e di esploratori cominciarono a uscire sul ghiaccio ancora sottile (10 cm) per definire i contorni del futuro percorso, che presto divenne noto come “Strada della Vita” (in russo: “Дорога жизни”; “Doróga zhizni”). La mattina presto del 17 novembre un gruppo di soldati dell’88° Battaglione separato di costruzione ponti si mise in marcia in direzione della riva orientale. Camminarono per 30 km, segnando la loro strada con dei cartelli.

“La neve sparata negli occhi accecava, un vento di bufera bruciava il viso, e faceva letteralmente cadere a terra”, il tenente generale delle forze tecniche Zakhar Kondratjev, che era a capo del dipartimento principale del servizio trasporti e strade durante la guerra, ha descritto così il duro cammino del gruppo di ricognizione: “Gli esploratori si allontanavano sempre di più dalla costa. Sulla loro strada facevano buchi nel ghiaccio, ne misuravano lo spessore e stabilivano punti di riferimento. Il pericolo era in agguato a ogni passo… Il ghiaccio si stava crepando pericolosamente. Al quinto-sesto chilometro dalla riva il vento è aumentato fino a diventare una vera burrasca. C’era una bufera di neve. Il ghiaccio è diventato sempre più sottile, sono apparse le prime crepe. I soldati si sono legati con delle corde. Procedevamo andati in cordata, rispettando la distanza. Ognuno teneva d’occhio il suo compagno e in caso di problemi era pronto a correre in soccorso”.

Il gruppo fu avvistato dalle vedette nemiche, dopo di che l’artiglieria tedesca aprì il fuoco contro di loro. Alcuni soldati caddero nei crateri apertisi nel ghiaccio ma furono tirati fuori dai loro compagni d’armi. Il giorno dopo, congelati, affamati e privi di forze, riuscirono a raggiungere la riva opposta. Nonostante le difficoltà e i pericoli vissuti, la missione era stata portata a compimento e il percorso era stato testato e ispezionato.

In aiuto degli assediati

Senza perdere tempo, sulla “Strada della Vita”, o, come veniva chiamata ufficialmente, la “Strada Militare n. 101”, un veicolo trainato da cavalli che trasportava rifornimenti si diresse verso Leningrado. Il percorso pericoloso veniva seguito a distanza di sicurezza dai camion.

Il tenente generale Feofan Logunov, che era in servizio all’epoca come capo delle retrovie del fronte di Leningrado e che divenne in realtà l’organizzatore della famosa “Strada”, prese parte alla prima spedizione. “L’auto è scesa sul ghiaccio fragile”, ha ricordato il comandante militare: “Il ghiaccio ha iniziato ad afflosciarsi. Crepe a raggio si allargavano sotto le ruote di tanto in tanto in diverse direzioni. C’era un suono caratteristico, che ricordava lo strappo della gomma. Il ghiaccio vetroso rivelava le profondità scure del fondo e le bolle d’aria che fuoriuscivano dalle ruote. L’auto doveva essere guidata con grande attenzione. Ogni volta che toglievo il piede dal pedale del gas o rallentavo un po’, le ruote posteriori iniziavano a sbandare”.

Feophan Lagunov

Man mano che il ghiaccio diventava più robusto, il volume del traffico aumentava. Ciononostante, nelle prime settimane decine di camion finirono sott’acqua, anche se percorrevano tratti considerati affidabili. Gli scienziati di Leningrado determinarono che gli scoppi del ghiaccio erano causati da oscillazioni di risonanza, che si verificavano quando la velocità del veicolo coincideva con la velocità dell’onda sotto il ghiaccio. Per prevenire le tragedie, vennero elaborate regole speciali per il percorso, e furono date raccomandazioni circa la velocità e la distanza da tenere tra i veicoli.

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Un’impresa enorme

Per assicurare che tonnellate di cibo potessero raggiungere Leningrado senza interruzioni, fu creata un’enorme infrastruttura intorno alla “Strada della vita”. “I boschi, in alcuni punti che rasentano il lago, ronzavano di voci, di asce che colpivano e di seghe”, ha ricordato Kondratjev: “Si aprivano strade di accesso, si tagliava il legname per i rifornimenti, si costruivano magazzini e basi, vari edifici per il riscaldamento, le mense, i punti di assistenza medica e tecnica. Abbiamo preparato segnali stradali, punti di riferimento, tavole portatili e ponti in caso di crepe sul ghiaccio. Furono equipaggiate le officine per la riparazione dei veicoli, stazioni telegrafiche e telefoniche , e venne preparata l’attrezzatura mimetica. Lavori simili vennero eseguiti anche sulla riva orientale del lago”.

Più di trecento “regolatori del traffico”, per lo più donne, stavano lungo la "Strada della vita", vestiti tutti di bianco con bandiere e torce. Questi “angeli bianchi”, come venivano chiamati,  erano chiaramente visibili non solo ai piloti sovietici, ma anche ai cecchini e ai piloti nemici.

Due divisioni delle truppe dell’Nkvd erano impegnate nella protezione del percorso principale. Dagli attacchi aerei si cercava di proteggersi con l’azione di diversi reggimenti di aviazione da combattimento e con le batterie di piccoli cannoni antiaerei posizionate sul ghiaccio. La ricerca dei sabotatori nemici era condotta con i “buer”, veloci slitte a vela. La protezione contro gli sciacalli alle fermate del trasporto e alle basi di carico e scarico era fornita dalle forze della milizia di Leningrado.

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Aiuto a due direzioni

Sorprendentemente, le merci non venivano solo inviate dal resto del Paese alla Leningrado provata dall’assedio, ma anche all’opposto. Alcune strutture e alcuni specialisti della Fabbrica “Kirov” non furono evacuati negli Urali, e continuarono a produrre carri armati pesanti KV letteralmente in prima linea. Poiché il nemico teneva la città strettamente sotto assedio, ma non faceva alcun serio tentativo di prenderla d’assalto, i carri prodotti venivano inviati in altre parti del fronte sovietico-tedesco.

I mostri d’acciaio, che pesavano 40-50 tonnellate, avevano le torrette rimosse per ridurre la pressione sul ghiaccio, e venivano trainati su slitte. Inoltre, l’Armata Rossa ricevette mortai e pezzi di artiglieria dalla città assediata di Leningrado, che vennero usati nella Battaglia di Mosca (30 settembre 1941–20 aprile 1942).

Il tenente generale Andrej Kozlov ha ricordato: “Il 22 e 23 aprile 1942 circa undicimila soldati equipaggiati furono trasportati attraverso il Ladoga verso la riva orientale: erano rinforzi per la 54ª Armata. Con le macchine sono riusciti ad attraversare solo la metà del tragitto, il resto lo hanno fatto a piedi con l’acqua gelida che arrivava fino alle ginocchia”. 

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I nazisti volevano distruggerla a ogni costo

Per i tedeschi, la Strada della Vita era una spina nel fianco. Ostacolava notevolmente il loro piano di affamare la città fino alla morte, e per questo la colpivano regolarmente con attacchi aerei e di artiglieria. Il nemico non puntava a singoli obiettivi, ma piuttosto colpiva nel tentativo di rompere il ghiaccio.  

I buchi nel ghiaccio che ne risultavano, coperti da una crosta leggera e di neve, erano quasi invisibili e quindi mortali per i guidatori dei convogli, soprattutto di notte, quando avveniva il flusso principale del traffico. In questo caso gli stessi trivellatori che avevano ispezionato attentamente il percorso, spesso davano una mano.

Nella primavera del 1942, quando la navigazione fu ripristinata, la flottiglia di guerra del Ladoga apparve di nuovo sul lago. Quest’anno aveva però più nemici: oltre alle forze aeree, i marinai sovietici dovevano resistere a distaccamenti di torpediniere tedesche e a motoscafi d’assalto italiani (qui fu attiva la XIIª Squadriglia MAS), che operavano dalla base navale finlandese di Lahdenpohja (dal dopoguerra è diventata territorio sovietico e poi russo). Inoltre, fu formata una cosiddetta “flottiglia di traghetti”, fatta di chiatte da sbarco Siebel.

Il nemico, tuttavia, non riuscì a volgere a suo favore la situazione sul Lago Ladoga. E non poté neanche impedire la posa nel maggio-giugno 1942 sul fondo del lago della conduttura principale per la fornitura a Leningrado di combustibile e carburante.

Il 22 ottobre, i tedeschi e i loro alleati tentarono di impadronirsi della piccola isola di Sukho, dove c’era un faro, una batteria di artiglieria e una guarnigione di 90 uomini. Le forze d’attacco contavano più di cento uomini su 15 chiatte da sbarco sostenute da barche. Il comando sovietico a Leningrado inviò immediatamente rinforzi sull’isola, ma alla fine non furono necessari; l’aviazione aveva già risolto il problema.    

“Non più di 30 minuti dopo, centinaia di aerei da guerra sorvolarono il lago da dietro la foresta a bassa quota, sopra le nostre teste…”, ha ricordato Georgij Somov, capitano del servizio medico. “Come abbiamo appreso più tardi, il comando aveva fatto alzare in volo quasi tutta l’aviazione della flotta del Baltico e parte dell’aviazione dei fronti di Leningrado e Volkhov. Per gli hitleriani fu l’inferno. In pochi minuti persero la maggior parte dei loro mezzi di sbarco e delle loro imbarcazioni. La nostra flottiglia si avvicinò e dette il colpo di grazia alle poche rimaste a galla. In questa battaglia la flottiglia militare fascista sul lago Ladoga fu completamente sconfitta e da quel momento le navi nemiche non ci disturbarono più".

Nel gennaio 1943, le forze sovietiche ruppero parzialmente il blocco di Leningrado (anche se l’assedio sarebbe finito solo un anno dopo), e i rifornimenti alimentari cominciarono ad arrivare in città, principalmente via treno. Durante i due inverni in cui la famosa rotta lacustre era in funzione, più di un milione di carichi furono consegnati alla città affamata, e circa un milione e mezzo di civili furono evacuati grazie alla “Strada della vita”. 

Più di trecento veicoli finirono però sott’acqua durante questo periodo, e il numero di soldati, marinai, personale di sicurezza e dipendenti pubblici che hanno dato la loro vita per mantenere la Strada della Vita aperta e funzionante non è noto con precisione.  

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