Così l’elettricità divenne un elemento chiave dell’ideologia sovietica

Museo di Mosca
I bolscevichi scommisero fin da subito sull’elettrificazione totale del Paese e non sbagliarono: l’energia li aiutò a trasformare una Russia agraria, dall’economia in rovina, in un potente Stato industriale centralizzato, e anche dal punto di vista propagandistico ebbe il suo peso

L’elettrificazione in Russia non è avvenuta come in altri Paesi. Arrivati al potere, i bolscevichi si resero conto rapidamente che se non avessero convertito un Paese agrario estremamente arretrato in un’economia industriale entro pochi anni, l’esistenza stessa dello Stato sovietico sarebbe stata a rischio. E per far partire l’industria la prima cosa che serviva era elettrificare. Il compito non era per niente banale, date le dimensioni dei territori della Russia e l’analfabetismo dilagante della popolazione. Così i bolscevichi decisero di trasformare anche la questione dell’elettricità in un elemento della propaganda sovietica, e ci riuscirono brillantemente. 

L’elettrificazione della Russia, approvata nel 1921, non solo portò a massicci successi industriali, ma creò anche una nuova divinità da venerare per artisti, scrittori, scultori, architetti e registi. L’elettrificazione plasmò sotto molti aspetti la vita sovietica e influenzò significativamente l’arte. 

La “fata elettrica”

Nel dicembre del 1921, il IX Congresso Panrusso dei Soviet approvò il piano della Commissione Statale per l’Elettrificazione della Russia con una lista di centrali elettriche da costruire in 10-15 anni. Era un progetto razionale e lungimirante per trasformare l’intero Paese, ma aveva anche una componente irrazionale. Nei primi testi sovietici sull’elettrificazione, il motivo dell’elettricità come forza vivificante ed energia misteriosa è evidente. Nel saggio dedicato alla costruzione della centrale Shterovskaja si può leggere: “Una potente forza invisibile scorrerà attraverso le vene del Paese – sotto forma di fili – e darà una nuova primavera a 60 miniere morte… farà rivivere tutto il distretto dell’antracite... E il grano sarà più alto e più verde grazie a questa forza”. Queste idee sull’elettricità come una forza sia razionale che mistica furono importanti nel primo periodo sovietico. Erano una continuazione di idee precedenti, sviluppate già nel XIX secolo nella filosofia, nella letteratura e nella pubblicistica.  

La copertina della rivista Lumière-Electrique, 1887

A cavallo tra il XIX e il XX secolo, non esisteva un’unica, breve risposta alla domanda “Cos’è l’elettricità?”. Nel XIX secolo, l’elettricità era rappresentata come un fluido, diversi fluidi o un movimento di particelle. Uno status così ambiguo e misterioso del fenomeno rendeva difficile per la gente comune concepirla e farne un elemento di vita quotidiana. Poche persone erano disposte a far entrare nelle loro case una forza incomprensibile, che poteva anche essere pericolosa. Simbolicamente, questo senso dell’esperienza sconosciuta, ma nondimeno affascinante, si concentrava nell’immagine della fata elettrica (“электрическая фея”; elektricheskaja feja”), che in ogni sorta di variazioni si incontrava frequentemente nella pubblicità pre-rivoluzionaria.

F. Tamagno. Poster, 1900

Tali immagini antropomorfizzavano la forza sconosciuta dell’elettricità e la presentavano in modo amichevole e piacevole. Il più delle volte si trattava di una ragazza nuda o seminuda con il braccio destro alzato, che reggeva la nuova fonte di luce artificiale e una dinamo ai suoi piedi. Tali immagini circolavano in Europa, in America e anche nella Russia pre-rivoluzionaria.

La lampadina di Ilich 

Il ritratto di Vladimir Lenin realizzato d Natan Altman

I bolscevichi rielaborarono creativamente l’immagine della "fata elettrica" e decisero di fare di Vladimir Ilich Lenin, il leader del proletariato mondiale, il demiurgo e il simbolo dell’elettrificazione. La luce elettrica, che si doveva accendere in ogni casa come risultato dell’elettrificazione, fu chiamata "la lampadina di Ilich” (dal patronimico del rivoluzionario). Era lui l’uomo che portava l’illuminazione e un nuovo modo di vivere alle masse. Per inciso, l’espressione "la lampadina di Ilich” (“лампочка Ильича”) fu pubblicata per la prima volta sui giornali dopo che Lenin partecipò all’inaugurazione della prima centrale elettrica rurale del Paese, a Kashin, costruita su iniziativa dei contadini nel 1920. Il mito di Lenin come eroe culturale che porta la nuova luce elettrica fu poi replicato in film, manifesti e libri. Lenin non usava l’elettricità, ma si identificava letteralmente con essa, cioè Lenin era l’elettricità. 

Una lampada con una spirale a forma di testa di Lenin, anni '50. Dalla collezione del Museo di Mosca

Lenin come “conduttore di elettricità” si trova anche nella letteratura per bambini. Un nuovo linguaggio visivo e nuove strategie per rappresentare l’elettricità vennero creati non solo per i libri per l’infanzia, ma anche per film, poster, dipinti, scultura e architettura.

La rete elettrica come metafora del centralismo 

Mappa dei progetti di elettrificazione

Un’altra caratteristica dell’elettrificazione molto importante per gli ideologi e i propagandisti sovietici era la sua connessione obbligatoria con il centro. La rete elettrica, che era distribuita agli angoli più remoti del Paese, proveniva dal centro. In altre parole, collegava effettivamente le province con il centro.

Poster

La centralizzazione fu un processo essenziale per la nascita del  Paese sovietico. Questo doveva permettere di gestire tutta l’economia nazionale in contemporanea dal centro. E se i risultati visibili della centralizzazione risalgono agli anni Trenta, quando cominciarono ad apparire le prime stazioni di controllo della rete elettrica, a livello di idea, l’informazione su questo circolava nella società già negli anni Venti. Fu allora che la rete elettrica divenne una metafora per concettualizzare il nuovo spazio sovietico, che era radicalmente diverso da quello della Russia zarista. Questa opposizione è stata spesso visualizzata, per esempio, nei film, dove il vecchio Paese era rappresentato come informe e frammentato in pezzi scollegati, mentre nella nuova realtà anche il più remoto angolo periferico era collegato al centro. La rete elettrica era lo strumento che faceva sentire i villaggi remoti alla pari con le grandi città. 

Un palo della linea elettrica di Mosca, 1929. Fotografia di Aleksandr Rodchenko, dalla collezione del Multimedia Art Museum

Nel 1931, il filosofo e storico della scienza Boris Kuznetsov pubblicò un opuscolo intitolato “La rete unificata di alta tensione dell’Urss”, dove spiegava perché la rete elettrica era importante e come corrispondeva alle idee del materialismo dialettico e agli obiettivi del comunismo e del socialismo. 

L’elettrificazione della vita quotidiana 

Lampada da tavolo, anni 1920-1930. Dalla collezione di Mikhail Vilkin

Negli anni Venti e Trenta molti appartamenti nelle città avevano sia luce che apparecchiature elettriche, ma era ancora troppo presto per parlare di elettrificazione di massa, che rimaneva un piano per il futuro. L’elettrificazione della vita privata era promossa ma solo come processo complementare all’elettrificazione della produzione industriale. Ogni apparecchio elettrico avrebbe fatto risparmiare il combustibile essenziale per il Paese: il cherosene. L’elettrificazione doveva anche infliggere un duro colpo ai resti del passato: facendo uscire di moda l’antidiluviano samovar e il fornelletto primus, e dando ai cittadini sovietici una vita futura pulita, razionale e comodamente organizzata. Una di queste invenzioni razionali sovietiche fu l’utopica “cucina-elettrica-sveglia”. Alla stessa ora in cui suonava la sveglia, i fornelli si accendevano da soli, cosicché, quando un lavoratore usciva dalle coperte per fare colazione, c’erano già caffè caldo e uova sode ad aspettarlo. 

Ventilatore da tavolo, anni '30. Dalla collezione di Sergej Bobovnikov

Una delle questioni su cui gli ingegneri sovietici si impegnarono da subito era come trasformare la vita della donna sovietica, in modo da liberarla dalla schiavitù della cucina e darle più tempo per il lavoro in società. Nel 1937 apparve sulla rivista “Obshchestvennitsa” un grande articolo in prima persona, in cui la protagonista si lamentava di quanto fosse irrazionale la sua vita: da cucinare il pranzo passava a lavare i panni, dal bucato alle pulizie di casa, e quindi doveva già rimettersi ai fornelli per preparare la cena, e così via ogni giorno. Aveva parlato a suo marito delle sue difficoltà e lui aveva risposto che sarebbe stato felice di aiutarla. Un fornello elettrico e un motore elettrico erano stati installati in cucina e la vita stava già cambiando di molto. Fu uno dei primi approcci all’organizzazione scientifica della vita quotidiana in Urss.

L’autrice del testo è culturologa, PhD, ricercatrice post-dottorato presso l’Istituto di studi umanitari, storici e di studi teorici “A. Poletav” della Higher School of Economics di Mosca

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