Fenomenologia del borseggiatore russo, mestiere d’élite del mondo criminale

Russia Beyond (Collezione di A. Melitonyan/Russia in photo/Legion Media)
Anche nella mala esistono “lavori” più e meno rispettati. Tra i ladri russi, a godere della massima autorità sono tradizionalmente sempre stati quelli che operano con destrezza nel borseggio. Ecco una storia delle loro gesta

Nella Russia pre-rivoluzionaria, nei cortili delle aree urbane povere si poteva imbattersi un’immagine “idilliaca” di questo tipo: un nonnetto dalla barba grigia gioca con i ragazzi del cortile. Ha appeso il vecchio cappotto al ramo di un albero, vi ha attaccato tanti campanelli di latta grandi e piccoli, ha abbottonato tutti i bottoni e ha messo una banconota nella tasca interna. Se la aggiudicherà in premio chi sarà in grado di tirarla fuori dalla tasca senza far suonare un solo campanello.

“Perché dovrei uccidere? Sono un borseggiatore nato”

Un borseggiatore arrestato alla fermata del tram, 1979

Quella di borseggiatore (карманник; “karmánnik”) è una professione criminale che non tutti riescono a imparare. L’inclinazione verso questa attività si manifesta durante l’infanzia, motivo per cui i vecchi ladri sceglievano i futuri ladri tra i ragazzi, attirandoli con il gioco di cui sopra o altri impressionanti “trucchi”. “Professori del mondo dei ladri hanno mostrato proprio lì sulla piazza, con quale destrezza era necessario operare: hanno tirato fuori una tabacchiera ai passanti, hanno annusato il tabacco e l’hanno rimessa nella tasca del passante, che ha continuato a camminare senza accorgersi minimamente di nulla”, ha raccontato l’avvocato penalista e criminalista Leonid Belogrits-Kotljarevskij (1855-1908).

“Borseggiatore di classe extra si nasce. È necessario ottenere dalla natura un certo tipo di sistema nervoso, una reazione istantanea e precisa, una corrispondente risposta delle dita, delle mani, dei gomiti e delle spalle, nonché l’abilità artistica necessaria”, scrive il ricercatore del mondo della malavita Aleksandr Kuchinskij. E questi sono solo gli aspetti che dovevano essere sviluppati nel corso degli anni con un addestramento non meno difficile di quello dei maghi illusionisti o dei bari alle carte. A proposito, quando dicono dei ladri russi “gnut paltsy” (гнуть пальцы; “piegare le dita”), questa è solo un’allusione all’allenamento della plasticità delle dita, a cui di solito si dedicano in prigione.

“È impossibile insegnarlo”, afferma il borseggiatore sovietico Zaur Zugumov, detto “Zolotoruchka” (“Mano d’oro”), tuttavia i più bravi hanno sempre condiviso la loro esperienza dietro le sbarre. Nei campi di lavoro facevamo una specie di spaventapasseri, ci appendevamo dei campanelli e in quel modo ci allenavamo le mani al furto. Ogni volta cercavo di “allenarmi” per avvicinarmi al momento in cui non sarebbe più suonato nemmeno un campanello”.

Mercato Khitrov, Mosca

Ma perché queste persone hanno bisogno di padroneggiare quest’arte? I primi borseggiatori apparvero in Russia assieme alle prime banconote e ai primi gioielli, cioè nel XIX secolo. “Lavoravano” principalmente nei luoghi in cui si riunivano i ricchi: teatri, banche, boutique di lusso. Per non destare sospetti con il loro aspetto e le loro maniere, i ladri dovevano sembrare aristocratici. “Se qualcuno di voi vedesse un tale ladro, difficilmente crederebbe di trovarsi di fronte a un criminale professionista”, scrisse Grigorij Breitman, un noto avvocato penalista dell’inizio del XX secolo. “Un tale ladro è più simile a un medico, a un avvocato, a un agente di una compagnia di assicurazioni: ha un bell’aspetto, buone maniere; indossa un abito stupendo, sempre del miglior sarto. È chiaro che un tale ladro, specie se seduto in prima fila a teatro, non desta sospetti a nessuno”.

Ecco perché i primi borseggiatori si guadagnarono il titolo di “gentleman” (“джентльмены”; “dzhentlmeny”) della malavita. Nelle loro attività illecita, non facevano uso di violenza, non usavano minacce o armi, e solo i ricchi potevano diventare loro vittime, il che liberava le loro coscienze e assicurava un atteggiamento tollerante nei loro confronti persino da parte della polizia zarista. È chiaro che un ladro che ha rubato il portafoglio di un mercante sarà trattato meglio nel vicinato di un assassino o di un rapinatore. “Perché dovrei uccidere? Io sono un truffatore per natura, un borseggiatore nato! Vai in giro per tutta la Russia e chiedi: un borseggiatore può uccidere una persona? E tutti ti rideranno in faccia!”, disse un ladro borseggiatore di Odessa, detenuto ingiustamente per omicidio, con parole citate dal giornalista prerivoluzionario Vlas Doroshevich.

Nel XIX secolo, i “gentleman” e la polizia si conoscevano spesso. Le città non erano ancora così grandi, non c’erano così tanti ladri, e, inoltre, i borseggiatori, di regola, lavoravano in luoghi e aree ben noti. “Tra questi ladri”, scrive Breitman, “non c’è la stessa corruzione generale degli altri criminali. Quasi tutti hanno la propria famiglia, vivono in casa propria, crescono dei figli e capita che molti di loro abbiano figli che diventano persone perbene». La polizia iniziò a tenere un archivio speciale con i dati dei ladri più noti, che erano anche conosciuti di faccia dai “filjory” (филёры), gli agenti in borghese che lavoravano sui mezzi di trasporto e nei luoghi più affollati. Ma perché allora i borseggiatori non venivano catturati?

Tre tipi di borseggiatore: lo shirmach, lo shchipach e il rybolov

Stazione ferroviaria Yaroslavsky di Mosca. I borseggiatori potrebbero sparire rapidamente in una folla come questa

Essendo persone istruite e conoscendo alla lettera la legge, i ladri erano ben coscienti di poter essere arrestati solo sulla scena del crimine, in flagranza di reato, nel momento in cui stavano sfilando i soldi dalla tasca della vittima. Se gli agenti avessero perso questo momento, non avrebbero potuto dimostrare il reato e che i soldi non erano semplicemente caduti dalla tasca a qualcuno. In un paio di secondi era di solito già impossibile trovare il portafoglio addosso al borseggiatore: che estraeva immediatamente i soldi e se ne sbarazzava, o lo consegnava di nascosto a un suo assistente, che si dileguava con tutta calma. Il ladro, invece, restava al suo posto e poteva anche “aiutare” chi era appena stato derubato a cercare con zelo i soldi “perduti”. Se sospettavano di lui, il “gentleman” cominciava aristocraticamente a fare l’indignato, e infatti, si diceva pronto a farsi perquisire e non gli veniva trovato nulla addosso. Pertanto, la polizia della Russia zarista fermava i borseggiatori principalmente per prevenire i loro crimini. Dopo di ciò, il ladro poteva solo essere espulso dalla città, ma la sua “professionalità” gli permetteva di “andare in tournée” in qualsiasi altro luogo.

Naturalmente, qualcuno veniva colto sul fatto. Brejtman descrive come un agente investigativo fosse riuscito ad arrestare la famigerata borseggiatrice “Anjutka la strega”. In uno dei teatri di San Pietroburgo, in una sera erano stati commessi quattro borseggi. Gli investigatori davano la caccia a un criminale maschio, fino a quando uno di loro notò un’anziana signora che si spostava sospettosamente tra la folla.

“Vide che la signora aveva messo la mano nella tasca di un gentiluomo. Il detective felice afferrò immediatamente la mano della ladra e la tenne in tasca. Il signore, a sua volta, si avventò contro l’agente gridando: ‘Mi hai messo le mani in tasca!’. ‘Mi scusi, signore’, rispose il poliziotto, ‘per favore, guardi le mie mani.’ Osservando meglio, il signore vide che la mano dell’investigatore sul suo vestito stringeva nella sua tasca la mano di una signora vestita in modo decente, che stava facendo un vano sforzo per liberarsi. ‘Oh! Signora!’, non poté che esclamare il signore stupito.”

Dopo la Rivoluzione di febbraio, il governo provvisorio graziò i prigionieri del regime zarista e furono rilasciati molti ladri e criminali vari. Le condizioni, inoltre, stavano cambiando: erano comparsi i trasporti pubblici, la rete ferroviaria si era ampliata, c’erano luoghi molto più affollati e le persone erano più povere. Anche i borseggiatori cambiarono: erano ancora l’aristocrazia della malavita, dal momento che non danneggiavano fisicamente le loro vittime, ma i metodi e le dimensioni del loro business cambiarono.

Poliziotti a San Pietroburgo, 2 aprile 1917

Chi rubava da cappotti e soprabiti era chiamato con disprezzo “shchipach” (“щипач”) e “verkhushnik” (“верхушник”) nel mondo dei ladri. “Vanno a lavorare come un intero branco”, scrive Aleksandr Kuchinskij, “e preferiscono eventi di massa: manifestazioni, feste, mercati. Mentre alcuni scippatori distraggono la vittima, altri le ripuliscono le tasche e le borse. Poi le ‘squadre’ cambiano ruolo. Con il ‘palo’ possono prendere le parti della vittima indignata, distogliere l’attenzione e persino organizzare una commedia con grida: ‘Fermate il ladro!’”.

Il cosiddetto “shirmach” (“ширмач”), invece, copriva la borsa o la tasca della vittima con la “shirma”. La parola indica il “paravento”, ma in quel caso era spesso un mantello piegato o un mazzo di fiori. Con la stessa mano con cui reggeva la “shirma” agiva per tirar fuori i soldi, mentre con l’altra portava avanti l’opera di distrazione ai danni della vittima: poteva mostrare il biglietto sui mezzi di trasporto, agitare un giornale o gesticolare. Qui, come ai vecchi tempi, erano richieste ottime abilità. Zugumov ricorda come ha rubato una mazzetta di denaro a un lavoratore che aveva appena ricevuto lo stipendio. Il denaro era nella tasca dei suoi pantaloni, che indossava sotto la tuta da lavoro. “Non appena il tram si è avvicinato, sono salito a bordo con la vittima. Dopo essermi accertato che i soldi ci fossero davvero, ho iniziato a operare. C’è stato un momento in cui mi ha parlato. Immaginate la mia situazione: la mia mano sinistra fin quasi al polso è infilata nei pantaloni della vittima; le punte delle dita di questa mano tengono un pacchetto di banconote da dieci rubli per l’angolo e io, sorridendo dolcemente alla vittima, conduco un dialogo con lui…”.

C’era anche un tipo di borseggiatori detto “rybolov” (рыболов), ossia “pescatore”, che agganciava portafogli o borse con ami da pesca. Spesso lavoravano sui treni a lunga percorrenza, arrampicandosi sulla cuccetta superiore e lanciando un amo verso le proprietà del vicino della cuccetta in basso.

Le mie mani sono il mio pane

Poliziotti in un mercato di Mosca, 1909-1910

La casta più alta dei borseggiatori era quella dei “písar” (писарь), gli “scrivani”, che tagliavano tra la folla i vestiti o la borsa della vittima per rubarne il contenuto. “A un certo punto, prima degli anni Settanta, ricorda Zugumov, “per far questo affilavano una moneta da 20 copeche a semicerchio e lavoravano con quella. Poteva essere facilmente nascosta in bocca. Capitava di dimenticarsela, e di ingoiarla o dormire con il soldo in bocca”.

Perché nascondere una moneta in bocca? Le leggi sovietiche erano diventate più severe nell’assicurare i ladri alla giustizia: apparve il concetto di “furto con l’uso di mezzi tecnici”. Una moneta appuntita era considerato un dispositivo tecnico per il furto e, se trovato, un ladro poteva beccarsi fino a dieci anni di carcere. A proposito, i ladri “pescatori” avevano escogitato il loro stile proprio per avere con sé uno strumento, la canna da pesca, che non poteva farli accusare di avere un con sé un’attrezzatura specifica per il furto. Le loro azioni potevano essere qualificate quindi solo come furto ordinario (fino a 5 anni di carcere).

Ma gli strumenti principali del ladro erano la sua psiche e le sue mani. Pertanto, il nemico di un ladro erano le cattive abitudini e l’invecchiamento. “Feste abbondanti e notti insonni trascorse in compagnia di una donna o a giocare a carte”, scrive Kuchinskij. “Il fumo e l’eccesso di cibo influivano sulla sensibilità delle dita. La vecchiaia aggiungeva a tutti i suddetti inconvenienti l’irrigidimento dei movimenti”.

Naturalmente, i ladri avevano paura soprattutto della prigione e dei campi di lavoro, che potevano rovinare sia la psiche che le mani. Il sistema correttivo sovietico non distingueva tra “gentleman” e altri criminali. Negli anni Venti, quando il borseggio divenne un reato dilagante, le dita dei borseggiatori potevano essere rovinate da anni di duro lavoro forzato per la costruzione della centrale idroelettrica del Dniepr o del Belomorkanal, oltre che dalle terribili condizioni di vita nelle prigioni. Tutte cose che rovinavano irrimediabilmente la plasticità delle dita. Quindi i borseggiatori professionisti dovevano cercare in ogni modo di sottrarsi al lavoro del gulag e si comportavano da “otritsalnye”; erano cioè quel tipo di detenuti che “negavano” ogni regola della vita carceraria. Fu allora che si iniziarono a sviluppare i “valori dei ladri” (воровские понятия), uno dei principali tra i quali era il divieto per i ladri di qualsiasi lavoro fisico, e successivamente di lavorare in generale. Così, i borseggiatori continuarono a essere l’élite del mondo dei ladri nel XX secolo, guidando di fatto il movimento dei detenuti contro ogni collaborazione con l’amministrazione carceraria.

Milizia sovietica, 1991

I metodi dei borseggiatori sono rimasti approssimativamente gli stessi nel corso della storia della professione: sono cambiati solo i tipi di bottino e il luogo (e quindi i metodi) del furto. Oggi, nel nostro mondo di pagamenti senza contanti e con il furto delle carte di credito che è inutile, il “business” dei borseggiatori sta incontrando difficoltà comprensibili: quasi nessuno porta con sé somme davvero ingenti di cash.

Zaur Zugumov

“I borseggiatori veri si contano ormai sulle punta delle dita. Sono rimasti solo i verkushnik”, si rammarica Zugumov. “Per lo più rubano telefonini ai giovani. In estate dalle tasche posteriori dei jeans, in inverno dalle tasche superiori delle giacche. Poi li danno agli speculatori per quasi niente. Forse il punto è che i tempi sono semplicemente cambiati…”.

LEGGI ANCHE: Chi erano i “ladri nella legge”, i più violenti boss della mafia russa? 

Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie