In una cupa giornata invernale del gennaio 2013, il capo della polizia di Mosca arrivò sulla scena del delitto. Un uomo era stato ucciso in pieno giorno nel centro della capitale. Una esecuzione in piena regola; con un proiettile in testa. Non c’era certo bisogno di frugare nelle tasche del defunto in cerca di un documento d’identità: la robusta faccia di Ded Khasan [il Vecchio Khasan, o Nonno Khasan], uno dei più influenti “Ladri nella legge” del Paese, era ben conosciuta.
Le strade russe negli anni Novanta erano piene di criminali. Ma perché i banditi più temuti erano i “Ladri nella legge” (“vory v zakone” in russo), e a cosa devono quell’appellativo, bizzarro per dei malviventi, di “nella legge”?
Il termine di Vory (che genericamente vuol dire “ladri”, ma che nello specifico gergo della malavita indica dei “Boss”; dei “capi delle famiglie criminali”) esisteva già nella Russia zarista, ma furono le repressioni di Stalin a rimodellarne il concetto. Nei Gulag, i detenuti, pieni di rancore, respingevano i valori del mondo legale e crearono una loro sottocultura violenta, che aveva una rigida gerarchia, una sua lingua e un “codice d’onore” non scritto.
I Ladri disprezzavano la Legge, ma giuravano di vivere “secondo la legge”, secondo, cioè, delle regole decise da loro, e violare le quali comportava spesso una condanna a morte.
Il viaggio spesso fatale negli inferi criminali russi iniziava sempre con piccoli crimini.
Il famigerato boss criminale Aslan Usojan (1937-2013), noto come Ded Khasan, aveva scontato la sua prima condanna a soli 19 anni. Fu dichiarato colpevole di resistenza a pubblico ufficiale e, in seguito, scontò altre pene per contrabbando di valuta estera e rapina.
Con il tempo, Ded Khasan era probabilmente cresciuto fino a diventare il capo criminale, “Ladro nella legge”, più influente non solo in Russia, ma anche in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica.
Sebbene gran parte dell’influenza che Ded Khasan e altri boss della mafia esercitarono sul mondo criminale russo degli anni Novanta fosse dovuto alla loro natura violenta, alla spietatezza e al fatto che erano pronti a correre enormi rischi, ci fu anche una misteriosa cerimonia che gli conferì ufficialmente il titolo “Vor”.
Una “incoronazione” criminale era un’elaborata cerimonia per inserire qualcuno nei ranghi dei criminali professionisti, vale a dire dei “Ladri nella legge”; un titolo riconosciuto e rispettato in tutto il mondo criminale russo. Prima che crollasse l’Unione Sovietica, era l’unico modo per una persona di essere riconosciuta come parte del vertice della mafia.
Per la maggior parte dei “Ladri”, il cursus honorum iniziava con una pena detentiva. Sebbene l’era del capitalismo selvaggio e dei grandi soldi avessero allentato le regole non scritte rispetto al periodo sovietico, scontare degli anni in carcere era ancora considerato il modo “giusto” di procedere. Tuttavia, negli anni Novanta c’erano voci secondo cui a volte cerimonie e titoli venivano ormai messi in vendita per ingenti somme di denaro.
In circostanze normali, tuttavia, l’adesione ufficiale alla mafia russa richiedeva tempo e fatica. Un criminale condannato che aspirava a diventare un “Ladro nella legge” doveva vivere una vita “onorevole” in isolamento: cioè non collaborare con le autorità della prigione e minare la loro autorità con tutti i mezzi. Doveva anche avere potenti mecenati tra gli attuali Ladri, pronti a garantire per lui.
Si sarebbe quindi posizionato come uno “stremjaschijsja”, termine che letteralmente significa “aspirante”. Le notizie sulle “aspirazioni” della persona sarebbero state diffuse in tutta la rete carceraria nazionale del Paese, raggiungendo i luoghi di detenzione più distanti della Russia.
Ciò veniva fatto per un motivo: chiunque avesse mai visto un “aspirante” Ladro fare qualcosa di “inappropriato” (come cooperare con la polizia o ricevere condanne sospette in passato) doveva denunciarlo immediatamente ai più influenti criminali della sua prigione, che poi avrebbero passato le informazioni a chi di dovere.
Se nessuno avesse riportato informazioni dannose sullo stremjaschijsja, lui sarebbe stato convocato in una congregazione dei Ladri più rispettati e influenti. I Ladri avrebbero posto una serie di domande all’aspirante Ladro sulle sue azioni passate: aveva condotto qualche rivolta in prigione? Aveva disobbedito in modo dimostrativo alle guardie carcerarie? Quanti soldi aveva raccolto per l’obschak, la cassa comune dei malviventi?
Più spregevole era il “curriculum vitae” criminale del candidato, meglio era. Fatti come aver prestato servizio nell’esercito, aver cooperato con la polizia o aver fatto uso di droghe erano considerati invece reati gravi nel codice penale malavitoso.
Se tutti erano soddisfatti dalle risposte del candidato, i Ladri lo dichiaravano collega Ladro, in una cerimonia chiamata incoronazione. La cerimonia non era così aggraziata come suggerisce il nome e non c’era certo nessuna corona. La congregazione annunciava semplicemente che l’uomo era ora “uno di loro” e che la folla si poteva disperdere. In questo momento, un nuovo membro della mafia, un nuovo “Ladro nella legge”, era “nato”.
Con l’incoronazione, il nuovo Ladro giurava di rinunciare allo stile di vita legale una volta per tutte: non doveva lavorare per nessuno, non doveva guadagnare denaro con mezzi legittimi, non doveva andare militare e non doveva cooperare con le autorità.
In cambio, in quanto ormai Vor, Ladro nel senso di boss, avrebbe ricevuto privilegi non disponibili ai criminali comuni. “Erano l’un l’altro come fratelli e compagni. Si sarebbero sostenuti a vicenda, erano onesti gli uni con gli altri e si sarebbero guardati alle spalle”, scrive un colonnello della polizia diventato scrittore, Sergej Dyshev.
La caduta dell’Unione Sovietica cambiò, tuttavia, le regole del gioco. Molto tempo dopo il Gulag, fu il selvaggio capitalismo senza legge degli anni Novanta a cambiare i Ladri, ancora una volta.
Gli ex colleghi iniziarono a spartirsi le sfere di influenza. E anche le loro prospettive erano ora cambiate.
“[Oggi], non si separano più dal mainstream, ed evitano i tatuaggi che li marchiano apertamente come membri del ‘mir vorovskoj’ [‘mondo dei Ladri’]”, ha scritto Mark Galeotti, uno studioso della mafia russa.
Il loro solenne giuramento di astenersi dal guadagnarsi da vivere con mezzi legittimi è quasi scomparso. Coloro che avevano abbastanza potere e influenza iniziarono a costruire imperi criminali che avrebbero prosperato negli anni Novanta, penetrando in tutte le sfere dell’economia del Paese.
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Un “Ladro nella legge”, Shurik Zakhar, noto per le sue feroci guerre con i boss della mafia cecena e georgiana nella capitale russa, investì in negozi di alcolici e concessionarie di automobili.
Un altro Ladro, Pavel Zakharov, che spediva cocaina dalla Colombia alla Russia, secondo quanto riferito, ha difeso il nuovo modo di fare affari: “L’obschak [la scorta di denaro illegale comune] è una gran cosa, ma i Ladri hanno bisogno di una solida base finanziaria per essere rilevanti in questi giorni e un tale la base può essere costruita solo dai capi criminali che investono in affari legittimi”.
Ladri particolarmente potenti e intraprendenti costituivano una parte sostanziale dell’economia nazionale a un certo punto. Secondo quanto riferito, l’impero criminale di Ded Khasan aveva quote in banche, casinò, hotel, mercati, ristoranti e altre importanti attività commerciali in Russia, Comunità degli Stati Indipendenti e persino in Europa.
Eppure il cambiamento più radicale che alla fine mise fuori gioco molti Ladri, arrivò all’erosione della riverenza che un tempo avevano gli uni per gli altri. Prima degli anni Novanta, colpire un Ladro “incoronato” senza una previa approvazione del resto della comunità dei Ladri avrebbe provocato la morte del colpevole. Gli anni Novanta capovolsero tutto. Gli ex intoccabili furono fatti saltare in aria con bombe nelle loro macchine e colpiti da proiettili così spesso che questi incidenti non sorprendevano ormai più nessuno.
“I conflitti tra queste persone si verificano per due motivi: lotta per il potere e denaro. Non ci sono altre ragioni”, ha detto Aleksandr Gurov, tenente generale della polizia e professore, in un’intervista.
In quella cupa giornata invernale del gennaio 2013, Ded Khasan, uno dei Ladri più influenti all’epoca, stava camminando verso il suo ufficio clandestino, situato in un ristorante nel centro di Mosca. Non sentì i colpi, visto che l’assassino sparò con un AS Val, un fucile d’assalto di fabbricazione russa con un silenziatore integrato nella canna. Un proiettile lo colpì dritto alla testa, mettendo fine alla sua vita e al suo impero criminale.
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