Krasnoe Sormovo, la piccola Chernobyl del 1970 tenuta a lungo segreta

Russia Beyond (Foto: Malte Mueller/Getty Images, Nikolai Moshkov, V.Voitenko/TASS)
In questo stabilimento di Nizhnij Novgorod (allora Gorkij) i sovietici producevano sottomarini atomici, ma qualcosa andò storto. L’incidente fu secretato, ma le conseguenze furono pesanti

Quella di Chernóbyl è la catastrofe nucleare più famigerata dell’Urss, ma altri disastri atomici erano avvenuti nel Paese anche prima del 1986. Uno di questi ebbe luogo nel 1970 nello stabilimento “Krásnoe Sórmovo” di Gorkij (ora Nizhnij Novgorod, 400 chilometri a nordest di Mosca).

In epoca sovietica, “Krasnoe Sormovo” era un impianto ad accesso limitato, e ufficialmente costruiva motonavi, chiatte e navi cisterna. In realtà, la fabbrica costruiva principalmente imbarcazioni militari, inclusi sottomarini nucleari. Domenica 18 gennaio 1970 alla “Krasnoe Sormovo” stavano lavorando a tre sottomarini: il K-320 “Skat” (“Razza”), il K-302 “Som” (“Siluro”) e il K-308 “Sjomga” (“Salmone”). Gli specialisti dovevano finirne almeno uno, a qualunque costo, entro il 22 aprile, per il centenario della nascita di Lenin. Ecco perché avevano trascorso il fine settimana al lavoro e avevano pianificato di fare una cosa importante quella mattina: controllare se il circuito del liquido di raffreddamento primario poteva resistere alla pressione di esercizio di 250 atmosfere. Il reattore stesso non doveva essere acceso. Il turno che aveva lavorato il giorno prima aveva lasciato dei tappi di plastica sul coperchio del circuito. Dovevano essere cambiati con quelli metallici per fornire una capacità di tenuta totale, ma gli operai non lo sapevano e iniziarono comunque il test.

Gli operai della fabbrica “Krasnoe Sormovo” negli anni Trenta

Quando la pressione iniziò ad accumularsi, i deboli tappi di plastica volarono via. Questo causò un brusco calo della pressione dell’acqua di raffreddamento all’interno del circuito e le barre di grafite del reattore iniziarono a spostarsi e deformarsi. Cominciò quindi una reazione nucleare che presto raggiunse la sua massima potenza. La temperatura salì e trasformò l’acqua in vapore radioattivo. Quindici minuti dopo, si verificò una forte esplosione termica che fece volare la copertura del reattore, che aprì un buco nel tetto della fabbrica. La pesante botola venne ritrovata a qualche chilometro di distanza in primavera, quando finalmente la neve si sciolse. Parte dell’uranio fuoriuscì dal reattore creando una nuvola di vapore alta 60 metri che si alzò dopo l’esplosione. Vitalij Vojtenko, che prese parte ai lavori di bonifica, ha ricordato che quel giorno non c’era il minimo vento e la temperatura era gelida, fino a -40°C, quindi tutto il vapore radioattivo si cristallizzò sul territorio della fabbrica “Krasnoe Sormovo” e non ebbe modo di diffondersi ulteriormente.

Lo stabilimento “Krasnoe Sormovo” ai nostri giorni

Gli operai, in un primo momento, non presero abbastanza sul serio la situazione: praticamente nessuno sapeva cosa fosse realmente accaduto. Nina Zolina, che lavorava nello stabilimento nel reparto di verniciatura, ricordò che alla sua squadra era stato detto di lasciare il posto di lavoro perché era scoppiato un tubo dell’acqua calda. I militari presero rapidamente il controllo della situazione: da una base vicina, alcune ore prima dell’incidente, era arrivata per monitorare le radiazioni, una brigata di tecnici guidata da Valentin Dneprovskij. Solo loro indossavano tute di protezione chimica. Lo stesso Dneprovskij misurò il livello di radioattività ovunque nel sottomarino, nonostante il rischio. Sei specialisti che lavoravano sullo “Skat” al momento dell’esplosione vennero “ripuliti” dalle radiazioni e inviati a un ospedale di Mosca. Tre di loro morirono lì. I loro certificati medici dicono che hanno avuto varie complicazioni causate dai raggi gamma e beta.

Uno dei primi sottomarini diesel costruiti nello stabilimento “Krasnoe Sormovo”, 1938

La gente ancora non sapeva cosa fare: lunedì, un accademico di nome Anatolij Aleksandrov notò che la porta del reparto interessato dall’incidente era aperta. Poi, la neve inquinata sul territorio della fabbrica si sciolse in appena una settimana, quando finalmente tutti si resero conto che diffondeva radionuclidi. Martedì, un gruppo di 18 volontari entrò nella sezione per aprire la strada verso lo “Skat” e per dare l’esempio ad altri specialisti. Funzionò: nei giorni successivi il numero degli addetti alla bonifica salì a mille. Tutti lavoravano per 2-4 ore sotto la supervisione del team di monitoraggio delle dosi radioattive. Gli addetti alle pulizie usavano metodi semplici per eliminare le radiazioni: con stracci e pezzi di stoffa lavavano via la polvere radioattiva. Gli operai si liberavano dell’acqua inquinata sversandola nel fiume Volga. A quel tempo, le radiazioni non erano studiate così bene come oggi. Ad esempio, si credeva che l’alcol aiutasse a ridurre le lesioni provocate dai raggi. Vojtenko ha ricordato che l’alcol era ovunque in fabbrica e causava un sacco di disordine, perché le persone spesso si ubriacavano terribilmente e in alcuni casi morivano anche per questo.

La costruzione del sottomarino “Skat” a “Krasnoe Sormovo”

Nonostante il disastro, “Krasnoe Sormovo” continuò la sua produzione perché bisognava pur sempre  varare un sottomarino per il centenario della nascita di Lenin. Quindi gli addetti alla bonifica dovettero lavorare rapidamente in modo che la costruzione potesse essere completata. Sembra incredibile, ma riuscirono a svolgere questo compito e vararono il sottomarino K-308 entro la data della celebrazione. Successivamente, a luglio, l’impianto completò la costruzione del K-302. Il K-320 “Skat”, quello esploso, ebbe bisogno di molto più tempo: venne pulito a fondo, vi fu installato un nuovo reattore e fu varato nel 1971. Ha servito la flotta sovietica fino all’aprile del 1990.

Come molte tragedie sovietiche, l’esplosione a “Krasnoe Sormovo” divenne immediatamente top-secret. Tutti i testimoni e gli addetti alle pulizie furono costretti a firmare documenti di non divulgazione, in vigore fino al 1995. I giornali non scrissero neppure una riga sul disastro e persino i residenti di Gorkij non sapevano la verità sul disastro. Per evitare che le persone ricevessero radiazioni dal Volga inquinato, l’amministrazione comunale proibì di nuotare nel fiume quell’anno. Le autorità affermarono che le acque erano pericolose, a causa di un’epidemia di colera iniziata proprio quell’anno nella Repubblica socialista sovietica georgiana e penetrata nel Volga attraverso Astrakhan (1.270 chilometri a sud-est di Mosca). Tuttavia, nessun documento dimostra che l’epidemia abbia effettivamente raggiunto Gorkij. E nessuno sa quante persone abbiano ricevuto dosi di radiazioni pericolose ignorando il divieto di balneazione.

La segretezza ebbe conseguenze negative anche sugli addetti alla bonifica. Quando alcuni di loro si ammalavano gravemente, i medici non potevano fare loro la diagnosi di malattia da radiazioni. Inoltre, non sono stati ufficialmente riconosciuti fino al 1996. Quando la loro responsabilità di non divulgazione è scaduta, hanno presentato domanda all’amministrazione di Nizhnij Novgorod che ha conferito loro lo status ufficiale di addetti alla bonifica nucleare. Successivamente, è stato deciso di commemorare il 18 gennaio come “Giornata dei lavoratori della bonifica”. Hanno iniziato a essere pagati 2.000 rubli (circa 25 euro) all’anno dallo stabilimento “Krasnoe Sormovo”. Nel 2021, meno di 200 di loro sono ancora vivi: molti lavoratori sono morti per malattie da radiazioni e cancro. Ancora oggi non hanno uno status riconosciuto a livello federale né alcuna onorificenza statale.


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