Quel 22 giugno quando tutto ebbe inizio: così cominciò la Seconda guerra mondiale in URSS

Foto d'archivio
Il 22 giugno 1941, alla notizia dell’invasione tedesca, la maggior parte dei cittadini sovietici era convinta che l'Armata Rossa avrebbe sconfitto i nazisti in pochi mesi. Ma poco dopo l’illusione lasciò il posto al terrore e allo sgomento

“L'offensiva delle nostre truppe sembrò essere una completa sorpresa tattica per il nemico su tutto il fronte. I ponti di confine attraverso il Bug e altri fiumi furono presi ovunque senza combattimenti e senza danni. La totale imprevedibilità del nostro attacco fu evidenziata dal fatto che le unità negli accampamenti furono colte alla sprovvista, gli aerei erano ancora sui campi d'aviazione coperti dai teloni, e gli squadroni attaccati dalle nostre truppe dovettero chiedere istruzioni al comando…”. Così il capo dello stato maggiore delle forze di terra tedesche, Franz Halder, descrisse nel suo diario l'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Wehrmacht, avvenuta all’alba del 22 giugno 1941.

Nonostante la feroce resistenza delle guardie di confine sovietiche e i contrattacchi dell'Armata Rossa, le truppe tedesche, sostenute dai loro alleati rumeni, avanzarono rapidamente in profondità nel territorio sovietico. Il primo attacco nemico fu contro la fortezza di Brest, situata sul confine. “Io e i bambini siamo stati svegliati la mattina presto da un terribile boato - raccontò Anastasia Nikitina-Arshinova -. Le granate e le bombe esplodevano, le schegge finivano ovunque. Ho preso i bambini e sono corsa in strada a piedi nudi. Abbiamo avuto appena il tempo di prendere dei vestiti. Il terrore attanagliava le strade. Gli aerei sorvolavano la fortezza e lanciavano bombe su di noi. Le donne e i bambini si precipitavano fuori in preda al panico, cercando di scappare. Davanti a me c'erano la moglie di un tenente e suo figlio: entrambi erano stati uccisi da una bomba”.

Quando la fortezza di Brest fu attaccata, Pëtr Kotelnikov, cadetto del plotone musicale del 44° reggimento di fanteria, aveva solo 12 anni. “Fummo svegliati al mattino da un colpo terribile. Il tetto era sfondato. Ero stordito. Ho visto i feriti e i morti, e ho capito che non era un’esercitazione, ma la guerra. La maggior parte dei soldati della nostra caserma era stata uccisa nei primi secondi. Ho seguito gli adulti che correvano a prendere le armi, ma non volevano darmi un fucile. Poi sono corso con un soldato dell'Armata Rossa a spegnere un incendio nel deposito dei vestiti. Dopo di che sono andato con i soldati nelle cantine della caserma del vicino 333° Reggimento Fucilieri... Abbiamo aiutato i feriti, portato loro munizioni, cibo e acqua. Di notte, ci siamo fatti strada attraverso l'ala occidentale fino al fiume per prendere l'acqua e tornare indietro”.

La Luftwaffe effettuò un massiccio attacco contro decine di campi d'aviazione sovietici, dove si trovavano le principali forze aeree dei distretti militari occidentali. Nel primo giorno di guerra, il nemico colpì fino a 1.200 aerei, 900 dei quali non riuscirono nemmeno a decollare. “Mi si è gelato il sangue. Davanti a me c'erano quattro bombardieri bimotori con le croci nere sulle ali”, disse il vice comandante del 46° Reggimento dell'Aviazione da Caccia, Joseph Geibo: “Mi sono morso il labbro. Sono Junkers! Bombardieri tedeschi Ju-88! Cosa dovremmo fare? Poi un altro pensiero: oggi è domenica, i tedeschi non effettuano voli d'addestramento la domenica. È la guerra? Sì, è guerra!”.

“Non dimenticherò mai come è iniziata la guerra. Non ho mai provato tanta paura e panico come il primo giorno o addirittura nelle prime ore di quella guerra”, ha detto il carrista Ivan Khokhlov, allora in servizio a Kaunas, attuale Lituania: “Poco dopo le 4 del mattino gli aerei tedeschi cominciarono a bombardarci. Noi dormivamo, solo le sentinelle erano di guardia. Tutti sono saltati su e hanno iniziato a correre, urlando, non si vedeva niente. Gli aerei bombardavano, tutto era in fiamme. Quasi tutti i nostri veicoli erano senza ruote, in piedi su dei blocchi. I ragazzi si affrettarono a mettere le ruote... ma non ce n'erano abbastanza... C'erano solo tre veicoli utilizzabili. Tutti noi che eravamo sopravvissuti, insieme al comandante, ci siamo stipati nel camion e siamo andati verso est”.

Non tutti i tedeschi credevano nel successo della campagna militare contro l'URSS. Alla vigilia dell'operazione Barbarossa, l'Oberleutnant (luogotenente) Erich Mende dell'ottava divisione di fanteria della Slesia ebbe una conversazione con un suo superiore. “Il mio comandante aveva il doppio della mia età - ricordò in seguito Mende -, e aveva già combattuto i russi a Narva nel 1917, con il grado di tenente”. 

“Qui, in questa distesa infinita, periremo come Napoleone…”, disse, senza nascondere il proprio pessimismo. “Mende, ricorda questo momento: segnerà la fine della Germania”.

Che la guerra contro l'Unione Sovietica non sarebbe stata una passeggiata, i tedeschi lo capirono subito. Proprio all'inizio della campagna, il capo di stato maggiore della 4a Armata, il generale Gunther Blumentritt, disse: “Il comportamento dei russi anche nella prima battaglia era sorprendentemente diverso da quello dei polacchi e degli alleati sconfitti sul fronte occidentale. Anche quando sono stati accerchiati, i russi hanno messo in piedi una solida difesa”.

A mezzogiorno del 22 giugno 1941, il commissario del popolo per gli affari esteri Vyacheslav Molotov, in una trasmissione radiofonica, annunciò l'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Germania, e l'inizio della Grande guerra patriottica. Molti erano perplessi sul perché questo discorso non fosse stato pronunciato dal capo di Stato, Joseph Stalin. Il maresciallo Georgij Zhukov, nel suo libro Memorie e Riflessioni, in seguito avrebbe detto: “Stalin era una persona volitiva e non, come si dice, fifona. L'ho visto perdere la sua compostezza solo una volta. Fu all'alba del 22 giugno 1941, quando la Germania nazista attaccò il nostro paese. Non fu in grado di riprendersi e di gestire le operazioni per tutto il primo giorno. Lo shock inflitto a Stalin dall'attacco nemico fu così profondo che la sua voce si indebolì e i suoi ordini militari non sempre corrispondevano alla situazione”.

Per molti cittadini sovietici, specialmente quelli lontani dalla linea del fronte, lo scoppio della guerra non causò gravi preoccupazioni. “La nostra casa si trovava un po' fuori rispetto al villaggio, quindi seppi della guerra solo nel tardo pomeriggio - disse Vitalij Chernyaev, un residente della regione di Kalinin (oggi Tver), che aveva 11 anni quando scoppiò il conflitto -. Sai una cosa? All’inizio non mi ha turbato affatto. Il giorno dopo ero addirittura contento! Eravamo stati educati con canzoni e film patriottici. Hitler ha fatto il passo più lungo della gamba: li sconfiggeremo tutti! Furono questi i nostri primi pensieri”.

Anatolij Vokrosh viveva vicino a Mosca in quel periodo: “Correvamo tra i cespugli, gridando: ‘La guerra è iniziata! Urrà! Batteremo tutti!’. Non avevamo assolutamente idea di cosa significasse tutto questo. Gli adulti discutevano la notizia, ma non ricordo alcun panico o paura nel villaggio. Gli abitanti del villaggio continuavano i loro soliti affari, e nei giorni successivi la gente se ne andò in dacia”. Nessuno nel suo peggior incubo avrebbe potuto immaginare allora che la guerra contro la Germania nazista e i suoi alleati sarebbe durata 1.418 giorni e sarebbe costata la vita a oltre 27 milioni di cittadini sovietici.

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