Sette giorni al Reno, il piano dell’URSS per distruggere la NATO bombardando anche il nord Italia

La flotta del Mar Nero durante un'esercitazione

La flotta del Mar Nero durante un'esercitazione

Mikhail Kuhtarev/Sputnik
La simulazione militare top secret, elaborata nel 1979 e portata avanti fino alla fine degli anni '80, prevedeva di annientare i paesi del Trattato Atlantico con testate nucleari in risposta a un possibile loro attacco. Nel mirino c’era anche l’Italia settentrionale

Nell’epoca della guerra fredda, le due superpotenze rivali - URSS e USA - erano pronte allo scoppio di un conflitto da un momento all’altro. Tutti erano convinti che la Terza guerra mondiale sarebbe stata nucleare e che l’unico scenario possibile sarebbe stato la distruzione mutua assicurata (MAD), secondo la quale ogni utilizzo di ordigni nucleari da parte di uno dei due opposti schieramenti avrebbe determinato la distruzione sia dell'attaccante che dell'attaccato. 

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Tuttavia, nel 1979, i sovietici svilupparono un piano su come schiacciare il loro più acerrimo nemico evitando l'apocalisse nucleare generale. Il piano “Sette giorni al fiume Reno” (nome in codice di una simulazione militare top-secret concepita dai capi militari del Patto di Varsavia e resa pubblica dal Ministero della Difesa polacco solo nel 2005) prevedeva che le forze della NATO in Europa sarebbero state distrutte in una sola settimana.  

La risposta a una possibile aggressione

Lo scenario concepito da Mosca prevedeva un primo colpo nucleare da parte della NATO. Secondo le previsioni, l'alleanza avrebbe bombardato 25 città polacche nell'area della valle della Vistola, trasformando il paese in una devastata area inquinata e tagliando fuori le truppe sovietiche in Germania orientale, Ungheria e Cecoslovacchia dalle sue principali basi in URSS.

Ciò, ovviamente, avrebbe immediatamente scatenato la reazione da parte dei membri del Patto di Varsavia. Le forze nucleari sovietiche a questo punto avrebbero colpito la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi, la Danimarca e l'Italia settentrionale, distruggendo anche il quartier generale della NATO a Bruxelles.

Non bombardando gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito, i sovietici puntavano a creare una divisione tra gli alleati occidentali. Sapevano infatti che le decisioni in merito all’utilizzo delle armi nucleari francesi, britanniche e statunitensi venivano prese non tanto dal comando generale della NATO, bensì dalle leadership dei singoli paesi. Con questa manovra, l’URSS li avrebbe messi davanti a una scelta difficile: se usare il proprio arsenale nucleare contro i sovietici ed essere bombardati di conseguenza o, al contrario, restare fuori dal conflitto. Viste le complicate relazioni della Francia con la NATO, che Parigi aveva lasciato nel 1966 (in quell’anno infatti Charles de Gaulle decise l'uscita della Francia dal comando militare NATO per poter perseguire un proprio programma di difesa non necessariamente dipendente da altri paesi), una tale prospettiva non era del tutto da escludere.

Esercitazioni di combattimento

Dopo gli attacchi nucleari, gli eserciti sovietico, tedesco-orientale e cecoslovacco avrebbero sfondato le linee nemiche verso il fiume Reno. Erano sicuri del successo dell’operazione dato che possedevano di gran lunga più carri armati dell’alleanza. Nel frattempo gli ungheresi avrebbero attaccato e occupato anche la neutrale ma strategicamente importante Austria.

Finché le squadre di sbarco catturavano importanti ponti sui fiumi, l’aviazione del Patto di Varsavia avrebbe annientato i campi d’aviazione e le basi militari europee della NATO. 

Alla Marina sovietica sarebbe stata affidata un'importante missione: tagliare tutte le comunicazioni tra gli Stati Uniti e l'Europa nell'Atlantico, impedendo agli americani di inviare rinforzi ai suoi alleati. I sottomarini sovietici avrebbero poi dato la caccia e distrutto la principale carta vincente degli Stati Uniti: i gruppi d'attacco delle portaerei. Nel frattempo, i sottomarini nucleari sovietici nell'Oceano Artico avrebbero dovuto esser pronti a rispondere a un possibile attacco nucleare da parte degli Stati Uniti.

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Un piano ingenuo

Mosca credeva che se tutto fosse andato secondo il piano, le principali forze della NATO in Europa sarebbero state schiacciate in sette giorni; se necessario, l'esercito sovietico avrebbe continuato la sua avanzata verso la Francia. Le leadership dei paesi occidentali, sconvolte e sotto shock, non avrebbero avuto altra alternativa che sedersi al tavolo dei negoziati, evitando così una guerra nucleare su larga scala.

Esercitazioni di combattimento

Ma il comando sovietico ignorava completamente la dottrina di difesa collettiva della NATO, proclamata nel Trattato dell'Atlantico del Nord del 1949, che affermava che l’attacco di un membro dell'alleanza era considerato un attacco a tutti loro. La NATO, quindi, sarebbe stata pronta a scatenare una guerra nucleare su larga scala nel caso in cui un solo Stato membro fosse stato nuclearizzato, indipendentemente dal fatto che possedesse o meno armi nucleari proprie.

Anche i più stretti alleati sovietici del Patto di Varsavia consideravano il piano troppo ottimistico e quasi impossibile da realizzare. Tuttavia, i sovietici hanno tenuto esercitazioni segrete basate su questo piano per 10 anni, fino alla fine degli anni '80. 

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