Il 29 aprile 2021 esce nei cinema russi un film su una delle fughe più audaci da un campo di concentramento nazista durante la Seconda guerra mondiale: “Devjataev”. Il film, del regista Timur Bekmambetov (1961-), sul mercato estero sarà distribuito con il titolo inglese di “V2. Escape from Hell” (ossia: “V2. Fuga dall’inferno”) e racconta l’incredibile storia di Mikhaìl Devjàtaev (1917-2002), che scappò dalla prigionia tedesca rubando un bombardiere.
Condannato a morte
Il tenente anziano (“starshij lejtenant”; corrispondente al grado di “primo tenente”) della Guardia Mikhail Devjataev cadde nelle mani dei tedeschi il 13 luglio 1944. Il suo caccia venne abbattuto nella regione di Leopoli, nell’Ucraina occidentale, e il pilota, lanciandosi dall’aereo, urtò contro l’ala e solo miracolosamente sopravvisse.
Devjataev si rifiutò di collaborare con i nazisti e cercò di scappare dal campo per prigionieri di guerra dove lo avevano rinchiuso, sul territorio della Polonia. Tuttavia, il tunnel che stava scavando venne scoperto e il pilota fu condannato a morte e trasferito nel campo di concentramento di Sachsenhausen, per essere giustiziato.
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Devjataev venne salvato dalla morte inevitabile da un barbiere del campo. Mentre gli rasava i capelli, uno dei prigionieri in attesa nel corridoio si accese una sigaretta, oltraggio per il quale fu subito picchiato a morte dalle guardie. Senza esitare un secondo, il barbiere prese la targhetta con il numero di identificazione del morto e la scambiò con quella di Devjataev. Così, ufficialmente, il cadavere di “Devjataev” bruciò nel forno crematorio del campo, e l’ex insegnante Grigorij Nikitenko continuò la pur terribile vita nel campo di Sachsenhausen.
In un campo di addestramento segreto
Presto “Nikitenko” dovette cambiare di nuovo luogo di detenzione. Venne trasferito in un campo sull’isola baltica di Usedom (oggi è divisa tra Germania e Polonia). L’isola ospitava anche il Centro di ricerca militare di Peenemünde, dove furono sviluppate le nuove armi del Terzo Reich: il primo aereo a reazione, il missile da crociera V1 e il missile balistico V2.
Devjataev, ormai conosciuto come Nikitenko, aveva un fisico molto forte, e quindi venne selezionato per il lavoro nel sito sperimentale: in particolare aveva il compito di trasportare attrezzature e materiali e quello pericoloso di neutralizzare le bombe inesplose sganciate dagli aerei alleati. Se avessero saputo che era un pilota sovietico non sarebbe mai stato autorizzato a lavorare nell’aerodromo e sugli aerei, ma nessuno temeva il semplice insegnante Nikitenko.
Mikhail Devjataev decise di fuggire di nuovo e trovò altre nove persone che la pensavano allo stesso modo tra i prigionieri sovietici che lavoravano a Peenemünde. Decisero così di organizzare una rocambolesca fuga per via aerea, e per questo scopo misero gli occhi su un bombardiere Heinkel He 111.
“Abbiamo preso questa decisione all’inizio di gennaio 1945 e da quel momento abbiamo chiamato sempre questo aereo ‘il nostro Heinkel’”, scrisse Devjataev nel suo libro di memorie “Poljót k solntsu” (“Volo verso il sole”): “Veniva usato dai tedeschi, che se ne prendevano cura, ma era già nostro, perché non gli staccavamo gli occhi di dosso, lo pensavamo, gli parlavamo, gli eravamo legati con tutti i nostri sentimenti e riponevamo in lui tutte le nostre speranze. Nella mia immaginazione, più di una volta avviavo i suoi motori, avanzavo sulla pista, e decollavo sopra le nuvole; facevo tutta la rotta e atterravo a casa con questo aereo altrui, dalle ali larghe, dalla fusoliera allungata, al quale ancora non mi ero potuto avvicinare”.
La fuga
Di tutto il gruppo di fuggitivi, Devjataev era l’unico che aveva qualcosa a che fare con l’aviazione. Sfruttava ogni occasione per avvicinarsi all’aereo e, se era fortunato, entrava e guardava i comandi.
L’8 febbraio 1945, durante la pausa pranzo al poligono, dieci prigionieri si diressero verso l’Heinkel e, dopo aver ucciso la guardia, iniziarono a preparare l’aereo per il decollo. L’intero piano per poco non fallì a causa della mancanza di una batteria, ma venne rapidamente trovata e portata a bordo.
“L’aeroporto rimase indifferente al rumore del nostro aereo. Era facile per me immaginare come avrebbero reagito tecnici e piloti. Stavano mangiando in pace… Ecco perché non avevo paura di provare il motore a velocità diverse. Mi sentivo fiducioso. Ero sicuro che nessuno ci avrebbe fermato, che non si sarebbero accorti in tempo di cosa stava accadendo, tanto da impedirci di decollare”, ha ricordato Devjataev. “Aereo straniero, cielo straniero e terra straniera non tradite queste persone che hanno sofferto la fame e il dolore, e si sforzano di esercitare il diritto di sfuggire alla morte. Dateci una mano e vi ricorderemo con una parola gentile più di una volta nella nostra vita. Abbiamo tutta la nostra vita davanti a noi, oggi nasciamo di nuovo”, disse al momento di partire.
Ma il primo tentativo di decollo si concluse con un completo fallimento. L’aereo raggiunse la fine della pista, non riuscendo mai a staccarsi da terra, e fermandosi appena in tempo per non cadere in un canalone. Riuscendo a girare il bestione, Devjataev fece un secondo tentativo, dirigendo il bombardiere nella direzione opposta, proprio verso la folla di soldati tedeschi, che erano usciti, sorpresi. “Non si aspettavano che l’Heinkel si muovesse verso di loro. Né di morire schiacciati da un pilota prigioniero! Si sparpagliarono di corsa… Dovevo decollare prima che i cannoni antiaerei non fossero pronti ad aprire il fuoco…finché i soldati non fossero riusciti a riferire ciò che avevano visto… finché non fosse dato l’ordine di far decollare i caccia… finché, insomma, non fosse troppo tardi…”.
Non appena Devjataev riuscì a far alzare l’aereo in aria, la sirena dell’allarme iniziò a suonare nel campo. I cannonieri antiaerei si stavano preparando a sparare, i caccia, ricevuto l’ordine di abbattere il solitario Heinkel, si prepararono a decollare. Tuttavia, non era del tutto chiaro in quale direzione andare: l’aereo catturato dai russi scomparve subito tra le nuvole.
Solo un Focke-Wulf individuò il bombardiere. Tuttavia, non riuscì ad abbatterlo: il caccia, che era tornato da una missione poco prima dell’incidente, semplicemente non aveva munizioni.
Ritorno a casa
Dopo aver decifrato le mappe trovate a bordo, Mikhail Devjataev decise di far volare l’aereo sul mare, in direzione di Leningrado. Già in territorio sovietico, un altro Focke-Wulf gli si avvicinò: il pilota non capiva perché l’Heinkel stesse volando verso le posizioni nemiche a bassa quota, e con il carrello di atterraggio fuori.
Ma il caccia venne quasi subito colpito dalla contraerea sovietica. Colpirono anche l’aereo con i fuggitivi. Pur sotto il fuoco pesante, Devjataev riuscì però a far atterrare l’aereo, che fu presto circondato dalla fanteria sovietica.
Mikhail e altri due ufficiali che avevano partecipato all’incredibile fuga dovettero trascorrere un bel po’ di tempo in un “campo di filtraggio”, fino a quando la loro identità e il loro grado non furono confermati. Il resto dei prigionieri fuggiti dal campo di Usedom, tornati miracolosamente in libertà, furono subito rispediti al fronte, dove quasi tutti morirono presto nei combattimenti.
Devjataev, con una precisione di dieci metri, indicò le coordinate dei lanciarazzi situati sull’isola da cui era fuggito, dove venne immediatamente lanciato un potente attacco aereo. Inoltre, si scoprì che l’Heinkel da lui pilotato era pieno di apparecchiature segrete per la comunicazione, il controllo e il monitoraggio dei lanci di missili di classe V.
Già dopo la guerra, Devjataev per qualche tempo aiutò il padre della cosmonautica sovietica, il progettista Sergej Koroljóv, nello studio dei missili balistici e da crociera, dando così il suo contributo alla creazione di armi missilistiche avanzate da parte dell’Unione Sovietica. Nel 1957, su iniziativa dello scienziato, Mikhail Devjataev ricevette il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.
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