Era illegale per i cittadini sovietici possedere dollari o altre valute straniere?

Storia
EKATERINA SINELSHCHIKOVA
Sì, e le pene erano pesantissime. Ecco come funzionava allora il cambio, come si stabiliva il corso, e cosa dovevano fare, per avere qualche spicciolo in tasca, i pochi che erano autorizzati ad andare all’estero

Il popolo sovietico conosceva molto bene il simbolo $ del dollaro: lo vedeva spesso nelle vignette contro l’Occidente e il “nemico capitalista” sulle riviste sovietiche. Ma i cittadini sapevano che aspetto avessero le banconote della valuta americana? La maggior parte, per molto tempo, no. Prima del crollo dell’Urss pochi ebbero la possibilità di tenere tra le mani dei bigliettoni verdi, e non mancarono casi di frode, come quando dei cambiavalute illegali vendettero sul mercato nero dollari dal bollino rosso (che valgono esattamente quanto quelli, più comuni, dal bollino verde) a prezzi maggiorati, dicendo che avevano un cambio più alto degli altri.

Legalmente era molto complesso acquistare qualsiasi valuta estera e le regole erano rigorose. La violazione prevedeva pene esemplari, che arrivavano fino alla fucilazione.

Le regole generali

In primo luogo, lo Stato aveva il monopolio su tutte le transazioni in valuta estera. Non c’erano certo cambiavalute nei sottopassi pedonali o vicino alle principali mete turistiche.

E solo se le autorità permettevano a un cittadino un viaggio di breve durata fuori dal Paese, questi era autorizzato a cambiare i rubli in valuta.

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Lo scambio poteva avvenire solo presso le filiali di Vneshtorgbank (la Banca per il commercio estero dell’Urss) e solo al mattino, fino alle 12. Si poteva entrare in banca solo in piccoli gruppi e all’ingresso due poliziotti verificavano se il cittadino aveva il permesso di viaggiare all’estero.

Al rientro in Unione Sovietica (avendo preventivamente dichiarato la valuta in dogana), il cittadino doveva consegnare la valuta residua allo Stato entro pochi giorni. In cambio, venivano emessi certificati speciali che potevano essere spesi nella catena di negozi Berjozka. A differenza dei normali negozi con scaffali vuoti e carenza di prodotti, nei Berjozka c’era sempre abbondanza. Ma erano pochissimi i fortunati che potevano andarci a fare shopping, perché lì si poteva fare acquisti solo in valuta estera: di regola i clienti erano diplomatici, marinai, membri dell’élite del partito, atleti o artisti.

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La procedura descritta riguardava solo il denaro scambiato all’interno dell’Unione Sovietica. Se la valuta veniva guadagnata direttamente all’estero, lo schema era un altro: prima si doveva consegnare il denaro allo Stato, che la depositava su un conto bancario a tuo nome. Era possibile incassare quei solo per utilizzarli nei seguenti viaggi all’estero, se si era di nuovo autorizzati a lasciare il Paese.

Anche per trasferire denaro all’estero e incassarlo in una banca estera era necessario un permesso speciale da parte dello Stato.

Tutte queste regole non si applicavano agli stranieri, che potevano facilmente spendere dollari nei negozi “Berjozka” o cambiarli con rubli al tasso ufficiale. Ma come veniva fissato il tasso, vi chiederete, se non c’era alla base un modello domanda/offerta della valuta? Ebbene, il sistema sovietico aveva previsto anche questo.

Un cambio propagandistico

In ogni caso, anche chi aveva il permesso di recarsi all’estero, e quindi di cambiare valuta, poteva farlo solo in quantità molto limitata. Ufficialmente, il massimo convertibile era di 30 rubli. “I cittadini sovietici, per questo, si portavano spesso con sé una valigia di cibo in scatola, per non sprecare denaro prezioso per il cibo all’estero, e semmai, con quello che rimaneva dalle spese inevitabili, comprare qualche vestito”, ricordano oggi su Internet.

Il cambio ufficiale era effettuato a un tasso ingiustificatamente basso di 67 copeche per dollaro. Un altro paradosso era che su base mensile “Izvestija”, il giornale ufficiale degli organi di governo del governo sovietico, pubblicava il tasso di cambio del rublo rispetto alle valute estere, con piccolissime fluttuazioni di mese in mese. Cioè, ogni cittadino sovietico poteva leggere che, ad esempio, nel settembre 1978, davano 67,10 rubli per 100 dollari USA, 15,42 rubli per 100 franchi francesi e 33,76 rubli per cento marchi tedeschi.

Guardando a tale corso, la conclusione era inequivocabile: il rublo sovietico era l’unità monetaria più forte del mondo. Tali riepiloghi dei tassi di cambio avevano un solo scopo propagandistico. In effetti, tutto questo era molto lontano dal prezzo di mercato reale.

Prigione e pena di morte

Il popolo sovietico fu “tagliato fuori” dalla valuta estera nel 1927, quando i bolscevichi bandirono il mercato privato dei cambi. Fino ad allora era possibile vendere, accumulare ed effettuare trasferimenti di valuta di qualsiasi Paese senza ostacoli. Esattamente dieci anni dopo, nel 1937, con l’articolo 25 del codice penale, apparve il reato di transazione illegale di valuta estera, equiparato ai crimini di Stato.

Stalin spiegò il divieto del dollaro come segue: “Se un Paese socialista lega la sua valuta alla valuta capitalista, allora il Paese socialista può dimenticarsi un sistema finanziario ed economico stabile e indipendente”.

Per la vendita illegale di valuta, il massimo previsto era una pena di otto anni. Ma già nel 1961, sotto Nikita Khrushchev, l’articolo 88 del codice penale prevedeva la pena dalla reclusione da tre a quindici anni e, in caso di importi particolarmente elevati, la pena di morte per fucilazione. Da cui una celebre barzelletta sovietica: “– Quanto danno per il dollaro? – 67 copeche, o da tre a 15 anni o la pena massima”.

Tali pene draconiane si spiegano con un mercato nero sempre più fiorente sullo sfondo dei divieti ufficiali. Ed è in base al mercato illegale, che pur sempre rispondeva a dinamiche di mercato e non era un prezzo dettato per ragioni propagandistiche dallo Stato, che è possibile stabilire che il tasso di cambio reale del rublo sovietico con il dollaro Usa, non fosse certo di 67 copeche, ma di 8-10 rubli per dollaro, a seconda del periodo.

I commercianti di valuta facevano incetta di dollari dai turisti stranieri, e stavano sempre in agguato negli hotel. Gli stranieri, sentendo quanto offrivano. accettavano di buon grado: questi speculatori pagavano il dollaro da cinque a sei volte di più rispetto a una banca sovietica al tasso di cambio ufficiale.

Il divieto stalinista e l’articolo del codice penale che prevedeva fino alla fucilazione per possesso illegale di valuta sono rimasti in vigore fino al 1994. Anche se le autorità avevano cominciato a chiudere gli occhi su questo alcuni anni prima, con la Perestrojka. Come si vede da questo ricordo: “Era il 1990. Ordinai in una bettola due vodke e due panini con il prosciutto e, in silenzio, misi sul bancone il primo dollaro della mia vita (me l’avevano regalato). Lo presero, e sempre in silenzio, mi dettero qualche spicciolo in rubli di resto”.


Cos’è che non andava nella vita in Unione Sovietica?