Il massacro di Novocherkassk del 1962: quando i sovietici spararono sugli operai in sciopero

Russia Beyond; Foto d'archivio
Reclamavano “carne, burro e salari più alti”, ebbero in cambio colpi di mitra, morti, feriti e condanne esemplari per gli arrestati. Ecco una delle pagine più buie della storia dell’Urss, da cui Andrej Konchalovskij ha tratto il film “Cari compagni”

Sergej Sotnikov aveva 25 anni nel 1962. Dopo la settima classe (seconda media), iniziò a lavorare come macchinista presso la fabbrica di locomotive elettriche di Novocherkassk (città nella regione di Rostov sul Don, 1.050 chilometri a sud di Mosca). Suo padre era morto in guerra, sua madre era un’infermiera in ospedale. Sotnikov era un membro del Partito Comunista, un lavoratore indefesso e padre di due bambine. Non aveva precedenti penali. La famiglia viveva poveramente: quando in seguito un investigatore del Kgb tentò di fare un inventario delle proprietà dei Sotnikov, non ebbe nulla da elencare.

Il 1° giugno 1962, Sotnikov era tra i manifestanti della sua fabbrica e suggerì di incoraggiare i lavoratori di altri impianti a scioperare. Si unì poi a un gruppo di operai che andarono in un’altra fabbrica per cercare (senza successo) di parlare con gli operai per convincerli a partecipare allo sciopero.

Sotnikov venne condannato a morte per fucilazione; uno dei sette manifestanti condannati alla pena capitale dalle autorità sovietiche dopo lo sciopero alla fabbrica di locomotive elettriche di Novocherkassk. L’inspiegabile e folle crudeltà delle autorità in questo caso rimane una delle pagine più oscure della storia dell’Urss. Questi eventi terribili furono tenuti segreti fino al crollo dell’Unione Sovietica.

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Le ragioni dello sciopero

Il parco pubblico nel territorio della fabbrica di locomotive elettriche di Novocherkassk, dove ebbe inizio il massacro

Le riforme economiche e monetarie attuate dal governo di Nikita Khrushchev tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta erano piuttosto discutibili. Già prima della ridenominazione del rublo del 1961, il ministro delle finanze Arsenij Zverev si dimise: pensava che la ridenominazione sarebbe stata devastante. E lo fu. Anche se formalmente tutto il denaro veniva ridenominato 10: 1 (10 rubli diventavano 1 rublo), i prezzi a volte rimasero gli stessi: alcuni prodotti, in particolare carne e latticini, aumentarono di prezzo di 2-3 volte, il che fu un duro colpo per i più poveri dell’Urss, ossia gli operai delle fabbriche.

Novocherkassk, nella Regione di Rostov sul Don, era la capitale dei cosacchi nei tempi pre-rivoluzionari. Nel 1962 questa era una delle zone più povere del Paese. La Fabbrica di treni elettrici di Novocherkassk, nota anche con la sigla di Nevz (НЭВЗ) era tra le fabbriche in peggiori condizioni economiche della città. I lavoratori avevano cattive condizioni di vita perché non c’erano abbastanza alloggi per le loro famiglie. C’erano poi molti ex detenuti tra il personale della Nevz, che accettavano di lavorare per salari molto bassi. Tutte queste condizioni combinate divennero la polvere da sparo che portò all’esplosione della rabbia all’inizio del giugno 1962. Sfortunatamente, i capi della fabbrica e le autorità locali non fecero nulla per impedire la rivolta fino a quando non fu troppo tardi.

La sirena della fabbrica

La porta d'ingresso della fabbrica di locomotive elettriche di Novocherkassk

Di prima mattina, venerdì 1º giugno 1962, i lavoratori della Nevz vennero a conoscenza di un ulteriore aumento dei prezzi dei latticini e dei prodotti a base di carne. Per coincidenza (e ovviamente, per l’insipienza dell’amministrazione della fabbrica), il giorno prima i lavoratori avevano appreso che gli obiettivi di produzione per loro erano stati aumentati, mentre i salari sarebbero rimasti invariati. Insomma, bisognava lavorare di più, per gli stessi soldi, e mentre i prezzi dei generi alimentari aumentavano a vista d’occhio. Alle 7.30, i lavoratori dell’officina di produzione dell’acciaio interruppero il lavoro e si riunirono per discutere la situazione. Ma “discutere” è un eufemismo. Come scrive lo storico Vladimir Kozlov nel suo libro “Nejzvestnyj CCCP” (“L’Urss sconosciuta”), i lavoratori “avrebbero reagito in modo ancora più duro di quanto il Kgb non abbia riferito”. Iniziarono a offendere apertamente l’amministrazione sovietica, il partito e persino lo stesso segretario generale Khrushchev, e a quei tempi, tutto questo era un grave reato penale.

Altri operai si sono unirono e lo sciopero si allargò nel parco pubblico sul territorio della fabbrica. Le autorità esortarono i lavoratori a tornare al lavoro ma furono ignorate e subirono attacchi verbali. Boris Kurochkin, il direttore della fabbrica, uscì per calmare la situazione, ma disse una frase piuttosto stupida, che finì per gettare benzina sul fuoco: “Compagni, se non avete soldi per la carne, mangiate le polpette di fegato”. Queste parole indignarono i lavoratori. Kurochkin riuscì a malapena a tornare all’edificio amministrativo. Alle 11 del mattino, ora della prima pausa in fabbrica, oltre 200 lavoratori si erano uniti allo sciopero.

L'edificio principale della fabbrica di locomotive elettriche di Novocherkassk

Vjacheslav Chernykh, 24 anni, la cui giovane moglie era incinta del loro primo figlio in quel momento, in seguito disse nel corso degli interrogatori: “Per comprare la carne e il burro dovevamo andare fino a Rostov [a 46 chilometri di distanza, ndr]. Perché Novocherkassk era rifornita così male? C’era una sola spiegazione: non c’era abbastanza attenzione da parte delle autorità per i bisogni dei lavoratori…”.  Il 1 ° giugno, Chernykh e altri 15 lavoratori entrarono nella sala di controllo della fabbrica e attivarono la sirena al massimo del volume. Poi, lui e il pittore di insegne della fabbrica Koroteev scrissero uno slogan su uno striscione e lo piazzarono su un palo nel cortile della fabbrica: “Carne, burro, aumento del salario!” (Мясо, масло, повышение зарплаты!). Con queste parole chiave, la protesta dei lavoratori prese forza.

In città industriali come Novocherkassk, suonare la sirena della fabbrica in un orario non atteso significava un’emergenza. Ben presto, anche gli operai che avevano il giorno libero, e fino ad allora se ne stavano a casa a bere, si presentarono sul piazzale della fabbrica e iniziò una rivolta incontrollata a tutti gli effetti.

“La carne di Khrushchev per fare il salame!”

Una rara foto d'archivio dello sciopero del 1962

A mezzogiorno c’erano ormai 5.000 rivoltosi vicino all’impianto industriale. Bloccarono persino la linea ferroviaria per Rostov, fermando un treno passeggeri. Qualcuno scrisse con il gesso sulla locomotiva: “Хрущева на колбасу” (“[La carne di] Khrushchev per [fare] il salame”). Gli eventi stavano prendendo una brutta piega molto velocemente. “Carne, burro, salari più alti!”, ritmava in coro la folla intorno al treno. La gente improvvisava discorsi di protesta proprio lì, usando la locomotiva come tribuna. Alcuni di questi oratori erano ubriachi. Ma la maggior parte degli operai che protestavano credeva che le autorità avrebbero ascoltato le loro suppliche e le loro proteste. Alcuni disillusi, però, come una donna delle pulizie di nome Marija Zaletina, che aveva visto tre figli e il marito morire nella Seconda guerra mondiale, si misero a gridare apertamente frasi ingiuriose come: “Abbasso quei maiali dal ventre grasso! Picchiamo i comunisti!”.

Alle 16, le autorità cittadine e regionali, compreso il capo regionale del Partito Comunista, Aleksandr Basov, erano riunite nell’edificio amministrativo della fabbrica, mentre i lavoratori irrompevano alle sue porte. Tolsero il ritratto di Khrushchev dalla facciata e lo calpestarono. Basov cercò di rivolgersi alla folla infuriata attraverso un megafono dal balcone, ma i lavoratori iniziarono a lanciargli pietre e bottiglie. 200 uomini della milizia locale furono chiamati, ma si ritirarono, perché in forte inferiorità numerica rispetto ai lavoratori. Alle 8 di sera, vari soldati e tre veicoli corazzati comparvero nella fabbrica. Tuttavia, non attaccarono i manifestanti: erano lì solo per attirare la loro attenzione mentre le autorità fuggivano. Neanche i soldati spaventarono i manifestanti; se ne andarono presto, e la folla inferocita rimase nel piazzale della fabbrica fino a tarda notte, costruendo barricate.

Cronaca di un massacro

Il vice primo ministro Anastas Mikojan (1895-1978)

Alle prime ore del mattino del 2 giugno, i carri armati entrarono a Novocherkassk. Questo spaventò e fece infuriare ancora di più i manifestanti. Alcuni di loro attaccarono i carri armati a martellate. Correvano voci di persone schiacciate con i cingoli. Nel frattempo, un gruppo dei più alti funzionari del partito arrivò in tutta fretta a Novocherkassk da Mosca, tra cui il vice primo ministro Anastas Mikojan, e due segretari del Comitato centrale del Partito comunista: Frol Kozlov e Aleksandr Shelepin. Lo sciopero era ormai diventato una questione di interesse nazionale. Tuttavia, furono prese misure affinché la notizia non trapelasse fuori da Novocherkassk. Nessun mass media o giornale coprì gli eventi.

Il 2 giugno, i lavoratori di turno arrivati alla fabbrica videro i soldati a tutti gli ingressi e si rifiutarono di iniziare a lavorare “sotto la minaccia delle armi”. Lo sciopero riprese vigore. Un altro treno venne fermato lungo la ferrovia. Altre fabbriche della città si sono unirono alla protesta e, a mezzogiorno, una vasta folla di manifestanti si diresse verso il centro della città, al principale edificio amministrativo di Novocherkassk, dove si erano radunati i funzionari del partito. La folla portava bandiere rosse sovietiche e il ritratto di Lenin, a simboleggiare uno sciopero pacifico dei lavoratori per rivendicare i loro diritti. La via era sbarrata dai carri armati, ma gli operai riuscirono comunque a passare.

Il principale edificio amministrativo di Novocherkassk, dove avvenne la sparatoria

La folla prese d’assalto e invase l’edificio amministrativo, facendo gravi danni e malmenando i burocrati rimasti intrappolati all’interno. Chiesero di vedere Anastas Mikojan, il numero due del governo sovietico. Ma a quel punto, Mikojan e altri papaveri del partito erano già stati evacuati, terrorizzati dalla rabbia dei lavoratori. La rivolta continuò. All’improvviso, 50 soldati con i fucili automatici apparvero davanti alla folla. Il loro comandante, il maggiore generale Ivan Oleshko, si rivolse alla folla, ordinando di disperdersi, ma venne accolto solo con urla e minacce. La folla avanzò ancora e cercò di attaccare i soldati.

I sette lavoratori della fabbrica condannati a morte per fucilazione: Vladimir Shuvaev (1937-1962), Sergej Sotnikov (1937-1962), Mikhail Kuznetsov (1930-1962), Boris Mokrousov (1923-1962), Vladimir Cherepanov (1933-1962), Andrej Korkach (1917-1962), Aleksandr Zaytsev (1927-1962)

Ci sono resoconti contrastanti su quello che è successo dopo, ma la maggior parte delle fonti concorda sul fatto che, dopo due raffiche di avvertimento sparate in aria, le truppe abbiano aperto il fuoco sulla folla. Almeno 15 manifestanti rimasero uccisi sul posto, con un numero imprecisato di feriti. La folla fu presa dal panico e fuggì. Si sparse la voce in tutta la città che i soldati avevano sparato ai lavoratori sovietici disarmati in sciopero. Novocherkassk sprofondò nel terrore e nello sgomento. Secondo i dati del Kgb citati dalla storica Tatjana Bocharova, quel giorno ci furono 26 morti e 87 feriti. Subito dopo la sparatoria, i camion dei pompieri entrarono sulla piazza per lavare via tutte le tracce di sangue.

Successivamente, i corpi delle persone uccise furono sepolti in modo anonimo in vari cimiteri della zona di Novocherkassk. Non c’è mai stata alcuna commemorazione o riconoscimento ufficiale di questa orribile strage da parte delle autorità comuniste.

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Un silenzio durato troppo a lungo

La simbolica sepoltura delle vittime del massacro del 1962 in un cimitero di Novocherkassk, 1994

Il 3 giugno la rivolta era ormai sedata. Solo alcuni manifestanti solitari, ubriachi per il terzo giorno consecutivo, vagavano ancora per le strade, mentre le milizie e il Kgb arrestavano quelli che erano considerati i leader dello sciopero. Frol Kozlov, uno dei segretari del partito, si rivolse alla gente di Novocherkassk dalla stazione radio locale, cercando di calmare la città e attribuendo la responsabilità dell’intero triste evento ad alcuni “teppisti e istigatori”. Le autorità negarono fermamente qualsiasi sparatoria e parlarne poteva portare ad essere interrogati e incarcerati dal Kgb. Tra il 3 e il 4 giugno, più di 240 persone vennero arrestate.

Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, commemora le vittime della sparatoria del 1962 a Novocherkassk

Il processo che ne seguì non fu reso pubblico a livello nazionale. Si tenne a Novocherkassk nell’agosto del 1962 e le sentenze furono estremamente dure. Molte persone che si erano trovare in piazza più o meno per caso, 105 in totale, furono condannate a periodi da 10 a 15 anni ai lavori forzati. Sette operai furono condannati a morte e fucilati. Gli eventi vennero resi pubblici solo verso la fine degli anni Ottanta. La maggior parte dei documenti, delle fotografie e delle registrazioni audio relative alle sparatorie erano però scomparse o erano state distrutte. Solo negli anni Novanta furono scoperti i luoghi di sepoltura delle persone uccise, ma i corpi della maggior parte di loro sono ancora dispersi. L’Urss ha fatto di tutto per nascondere e seppellire il ricordo di una delle azioni peggiori e più spaventose della sua storia.

La

Non una sola persona tra le autorità responsabili del massacro è mai stata condannata.


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