La prostituzione nella Russia imperiale: come nacque e si sviluppò il mercato del sesso

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L’amore a pagamento era un fenomeno quasi sconosciuto fino a Pietro il Grande, ma raggiunse poi livelli numerici incredibili, finché non arrivò la Rivoluzione d’Ottobre a chiudere gli ormai onnipresenti bordelli

Пойди за меня — я тебя хочу, а ты меня”. “Sposami, io ti voglio e tu mi vuoi”, scrisse un certo Mikita alla sua amata, piuttosto esplicitamente, in modo quasi moderno; anche se queste parole, preservatesi su una corteccia di betulla usata come lettera, risalgono al XIII secolo. Furono scritte nella libera Repubblica di Novgorod, in effetti; un Paese dai costumi europei. Nel regno di Mosca dei tempi precedenti Pietro il Grande (1672-1725), una donna, secondo le usanze orientali, era invece totalmente subordinata ai genitori e poi al marito, e l’argomento del sesso o delle relazioni uomo-donna era un tabù assoluto.

Nella Russia pre-petrina, la Chiesa interferiva pesantemente in tutte le sfere della vita pubblica e privata; le alte gerarchie religiose avevano influenza sulla politica, e nei villaggi il sacerdote era spesso l’unico rappresentante permanente del potere. La Chiesa proibiva l’adulterio e ancor più la fornicazione (il sesso al di fuori del matrimonio) e il tradimento era trattato in modo diseguale: per un uomo, la Chiesa era pronta a considerare un tradimento solo in presenza di un atto sessuale fuori dalla famiglia già formata (moglie e figli); per una donna, anche solo il pensiero era tradimento. Sì, e le scappatelle erano quasi impossibili: le donne ricche vivevano chiuse in torri sotto la supervisione di guardie e servi, e cittadine e contadine, oltre a un mucchio di lavori e faccende, erano circondate da bambini e parenti. Insomma l’antica Rus’ era piuttosto sessista. 

In queste condizioni, non vi era quasi alcuna prostituzione professionale in Russia. Il che, ovviamente, non significa che non vi fossero fornicazione, punizioni con frustate a singole “ragazze prodighe”, servizi sessuali presso le banja… Segretamente c’era anche il lenocinio, l’organizzazione e lo sfruttamento della prostituzione, vietato dal Sobornoe Ulozhenie, il codice di leggi promulgato nel 1649 dallo Zemskij Sobor.

Ma i bordelli permanenti apparvero solo nella Russia di Pietro. Molte cose sotto Pietro furono copiate dalle usanze europee, ed evidentemente anche sotto questo aspetto si prese spunto.

“Le case della filatura” e le loro abitanti

Nella seconda metà del XVII secolo, molti europei apparvero in Russia, spesso assunti dallo Stato: per costruire navi, progettare edifici, addestrare soldati, trasferire know-how agli artigiani, comandare reggimenti e flottiglie. Commercianti, cuochi, servi e prostitute li seguirono. In Europa, a quel tempo, l’amore a pagamento era una realtà ormai radicata. Forse i primi bordelli in Russia apparvero proprio nella Nemétskaja Slobodà (il quartiere tedesco) di Mosca, una specie di città europea sulle rive del fiume Jauza.

Nel 1697, lo zar Pietro mandò una circolare al voivoda di Jaroslavl Stepan Trakhaniotov, un documento che doveva poi fungere da linea guida per tutti i voivoda della altre città, in cui leggiamo: “Assicurati in modo severo che in città, nei sobborghi, nel distretto…e nelle taverne dei villaggi circostanti […] non ci siano né puttane né tabacco”. Il che è la prova diretta della comparsa di luoghi regolari dove si potevano ottenere servizi sessuali per soldi. La prostituzione, e con essa le malattie veneree, dilagò nell’esercito. Già nel 1716, nel regolamento militare Pietro ordinò ai medici del reggimento di curare gli “ufficiali che hanno preso malattie francesi” solo a loro spese.

E il decreto dello zar del 13 febbraio 1719 ordinava di arrestare a Mosca “le donne e le ragazze colpevoli di meretricio, ma di non condannarle alla pena di morte”, bensì di imprigionarle in speciali “prjadilnye domà”, “case della filatura”, “dove saranno usate per la produzione di filati e nutrite allo stesso modo dei prigionieri ai lavori forzati”. A San Pietroburgo, la prima istituzione del genere fu il “Kalinkinskij rabotnij dom”, al 166 del Lungofiume della Fontanka, presso la Manifattura di arazzi di San Pietroburgo. È noto che già sotto Elisabetta di Russia (Elizaveta Petrovna; imperatrice dal 1741 al 1762), la “riabilitazione” per mezzo del lavoro veniva effettuata in modo anonimo: le donne erano numerate, avevano il diritto di indossare una mascherina che ne camuffasse il volto e di nascondere il loro nome e il loro status.

Caterina la Grande e Nicola I cambiarono la vita delle prostitute

Caterina II affrontò di petto i problemi della diffusione delle malattie a trasmissione sessuale nella società, nonché questioni di moralità pubblica. Nel suo “Ustàv blagochinija” (“Statuto del buoncostume”) del 1782 proibì l’organizzazione di bordelli e della prostituzione. La pena per questo era una multa e la reclusione per sei mesi in “smirìtelnye domà” (“case di lavoro forzato”), o il lavoro obbligatorio nelle fabbriche. Inoltre, ancora prima, nel 1771, Caterina aveva obbligato gli imprenditori, senza possibilità di rifiutarsi, a impiegare nel lavoro le prostitute condannate. Prima di allora, vari proprietari, con diversi pretesti, le rimandavano indietro alla polizia.

Le autorità non cercavano di isolare o esiliare prostitute e protettori: entrambi venivano semplicemente periodicamente costretti a lavorare per lo Stato e a pagare multe. Alla fine del suo regno, Caterina obbligò tutte le lavoratrici del sesso a sottoporsi a controlli medici, e pianificava di assegnare quartieri speciali in città per i bordelli, ma morì prima di realizzare il proposito.

Paolo I, con la sua caratteristica mania di grandezza e in barba alle volontà di sua madre, nel 1800 ordinò di esiliare le prostitute di Mosca “verso le fabbriche di Irkutsk” (5.200 chilometri a est, in Siberia). Delle 69 donne catturate e tenute in prigione in quel momento, 19, per lo più mogli e vedove di soldati, partirono effettivamente per Irkutsk. Le sue furono le misure più severe adottate contro la prostituzione nella Russia zarista.

Nicola I, che regnò dal 1825 al 1855, legalizzò invece di fatto la prostituzione in Russia. Secondo le leggi precedenti, era formalmente vietata. Nel 1843 lui istituì un “Comitato medico e di polizia” che iscriveva le prostitute in uno speciale registro. Invece dei passaporti interni, veniva dato loro un “libretto sostitutivo” (“zamenitelnyj bilet”), su cui si teneva traccia degli esami medici sostenuti e del pagamento delle tasse statali. Nel 1844 furono pubblicate le “Regole per i bordelli” e le “Regole per le donne pubbliche”.

Nicola I (che, tra l’altro, aveva molte favorite) era un militare e capiva quanto agli uomini, nel loro lungo, estenuante servizio militare (e in tutte le città c’erano sempre reggimenti acquartierati), mancasse la frequentazione delle donne. La natura umana, secondo la logica dello zar, non doveva essere repressa, ma regolata.

Come vivevano le prostitute russe?

Dal 1844, con il permesso della polizia, potevano aprire bordelli donne “affidabili” dai 30 ai 60 anni. Alle ragazze era permesso lavorarvi dal compimento dei 16 anni (l’età minima per il matrimonio a quell’epoca). La proprietaria della casa di piacere doveva prendersi cura della salute di chi viveva nel bordello. Le case venivano regolarmente visitate dai medici, che inviavano negli ospedali le donne con evidenti segni di “malattie francesi” e segnavano sugli appositi libretti di aver effettuato la visita a quelle sane. Le “mamasha”, come venivano chiamate le maîtresse, potevano essere punite per aver portato le donne “all’estremo esaurimento per lavoro eccessivo”. A proposito, era possibile farsi togliere dal registro, restituire il libretto sostitutivo e riavere un normale passaporto. Motivazioni potevano essere: il matrimonio, l’età avanzata, la malattia o l’affidamento a parenti, che avevano l’obbligo di monitorare la moralità della ragazza.

Bische e bordelli nelle città russe, come in Europa, erano solitamente situati in determinati quartieri. La caratteristica più comune di queste case chiuse erano le finestre ben serrate. Dopo tutto, i vicini si lamentavano spesso con la polizia del rumore proveniente da tali luoghi. Nel 1861, le tende di giorno e gli scuretti di notte furono resi obbligatori per tutti i postriboli. Allo stesso tempo, le case d’appuntamento erano obbligate ad “agire di nascosto”, cioè senza insegne e pubblicità, ed era vietato collocarle a meno di 300 metri da istituti, chiese e scuole, ma nelle province russe questa distanza veniva costantemente ridotta. E il business andava a gonfie vele!

I clienti venivano informati di cosa si celasse in quelle mura con segni convenzionali. La storica Svetlana Malysheva scrive che in una delle strade di Kazan un cane giocattolo sulla finestra faceva da segno: se era girato con il muso verso l’esterno, allora la ragazza era libera.

Era vietato esporre l’immagine dello zar nei bordelli, ma le icone non erano vietate. Molte prostitute erano religiose e frequentavano regolarmente la chiesa. L’arredamento delle case stesse variava a seconda del livello e della regione; i migliori bordelli delle capitali assomigliavano generalmente ad hotel, con uno staff di servitori, un ristorante, musica dal vivo… Nelle città di provincia la situazione era talvolta dura.

Il numero di “ragazze” nei bordelli provinciali superava regolarmente il numero di letti presenti, il che significava che, durante le ore di riposo, le donne dovevano dormire insieme. Quando potevano dormire a sufficienza? Solo per le feste religiose e alla domenica, e solo fino a mezzogiorno! Nel loro tempo libero durante il giorno, stavano quasi sempre all’interno del bordello, e le leggi proibivano loro di guardare fuori dalle finestre e di camminare in compagnia lungo la strada. Bere era una parte obbligatoria della loro vita quotidiana. Negli anni Settanta dell’Ottocento, il governo revocò persino il divieto di possesso e vendita di alcolici ai clienti nei bordelli, visto che tanto non era mai stato rispettato.

Se a metà del XIX secolo c’erano circa 2.000 prostitute registrate a San Pietroburgo, nel 1901 ormai più di 15.000 donne lavoravano nei 2.400 bordelli della città (e questi sono solo i numeri della prostituzione legale!) Per fare un confronto, a Kazan nel 1859 c’erano 274 prostitute registrate e 11 bordelli; nel 1898 c’erano già 35 case (non ci sono dati su quante donne vi lavorassero). Ma il numero reale di prostitute superava di diverse volte quello ufficiale. Non desiderando registrarsi come prostitute, alcune vivevano ufficialmente come “coriste”, “arpiste” o “cantanti” nei bordelli, ma spesso abbandonavano gli strumenti musicali per passare all’altra occupazione.

Questa prostituzione “segreta” crebbe straordinariamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale. “Le città”, scrisse un soldato in una lettera a casa nel 1915, “sono una specie di enorme casa di tolleranza”.

Il numero di donne che facevano sesso per i soldi in Russia alla vigilia della Rivoluzione del 1917 era ormai incommensurabile. Andare con le prostitute nella società pre-rivoluzionaria non era una forma di dissoluzione, come nell’antica Rus’ e come sarebbe poi tornato a essere nella Russia sovietica e contemporanea. Era una forma socialmente accettabile di svago maschile, tradizionale per studenti, ufficiali e altri gruppi urbani urbani di uomini. Ma tutto sarebbe presto cambiato con la Rivoluzione d’Ottobre.


Come esplose (e poi implose) la rivoluzione sessuale in Russia negli anni Venti 

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