Come venivano sepolti gli zar? Storia di una cerimonia che cambiò con Pietro il Grande

Storia
GEORGY MANAEV
Usanze e tradizioni di un rito straordinario, che venne “europeizzato” dal Grande imperatore di Russia

Quando il Gran Principe Vasilij III di Mosca, padre di Ivan il Terribile, fu sepolto, i presenti alla cerimonia piagnucolarono e singhiozzarono talmente forte che il discorso funebre pronunciato dal metropolita Daniil e le parole d'addio dei boiari di Mosca non vennero udite da nessuno. Ma non ci fu alcun tentativo di fermare i lamenti: a quei tempi, infatti, si pensava che più forte era il pianto funebre, meglio era; venivano addirittura assunte delle donne “professioniste del lamento”, in modo da far sembrare la cerimonia funebre “più appropriata”. E ciò avveniva sia tra la nobiltà, sia tra la gente comune! 

Insomma, il rito di sepoltura dello zar nel governatorato di Mosca era, in buona sostanza, uguale a quello di qualsiasi altra persona... solo che molto più costoso! Una tradizione interrotta da Pietro il Grande, ultimo zar dello “zarato moscovita” nonché primo imperatore dell’Impero russo, che decise di trasferire la capitale a San Pietroburgo. 

Ma prima di “assistere” al funerale di Pietro il Grande, facciamo un salto indietro nel tempo per capire come si svolgevano i riti funebri degli zar di Mosca.

Come venivano sepolti gli zar prima di Pietro il Grande 

L’incarico più incombente che ci si ritrovava a svolgere subito dopo la morte di uno zar era quello della sua successione. Dopo la morte di Vassilij III, i boiardi giurarono per la prima volta la loro fedeltà al figlio del Gran Principe, il piccolo Ivan, e alla madre consorte, Elena Glinskaya; dopo di che avviarono le procedure funebri.

Gli zar di Mosca venivano solitamente sepolti il giorno dopo la morte, oppure, se spiravano al mattino, nel giorno stesso; le ragioni erano abbastanza ovvie: in assenza di frigoriferi, o di tecniche di imbalsamazione, il corpo doveva essere sepolto prima che iniziasse a decomporsi visibilmente. Il procedimento si svolgeva quindi in modo piuttosto rapido.

I primi a essere informati della morte dello zar erano i boiardi e il patriarca. In quell’occasione, il rintocco di una campana annunciava il triste evento. 

Il corpo dello zar veniva lavato dai sacerdoti e vestito con abiti da cerimonia realizzati con i migliori tessuti. Si usavano i colori bianco, rosso e verde, combinati con i colori associati al potere: cremisi, argento, oro. Solo gli zar che in vita avevano fatto voto monastico di austerità venivano vestiti di nero dopo la morte. A quanto pare Vasilij III e, più tardi, suo figlio Ivan il Terribile furono gli unici zar ad averlo fatto. Per loro venne preparata una bara in legno con l’imbottitura marrone; al momento della sepoltura, la bara doveva essere posta all’interno di un altro sarcofago in pietra.

Il personale che si occupava del feretro aveva l’obbligo di indossare abiti scuri, possibilmente vecchi e logori. “Un abbigliamento più ordinato ed elegante era percepito come una mancanza di rispetto per il defunto - spiega la storica Marina Logunova -, una persona che piange un parente non deve dimostrare la minima preoccupazione per il proprio abbigliamento".    

Il corteo funebre si dirigeva quindi verso la Cattedrale dell'Arcangelo, nel Cremlino di Mosca, il principale luogo di sepoltura degli zar. Se a morire invece era una donna appartenente alla famiglia reale, doveva essere sepolta all'interno del Convento dell'Ascensione del Cremlino di Mosca (distrutto nel 1929).

La processione era aperta dal clero, con il primo sacerdote (Patriarca, o Metropolita di Mosca) che camminava davanti alla bara. La cassa veniva portata in spalla dai boiardi più nobili, che si alternavano a seconda della loro posizione gerarchica al servizio dello Stato. Subito dietro al feretro, avanzava il regnante che aveva diritto al trono. 

Ecco allora che Feodor Alekseevich, figlio di Aleksej Mikhailovich di Russia, seguiva la bara del padre con un copricapo nero in testa e un bastone nero in mano; a dir il vero non camminava, ma veniva condotto su una portantina a causa della debolezza dei suoi arti inferiori (fin da bambino si rivelò cagionevole di salute, soffrì di scorbuto ed aveva difficoltà a reggersi in piedi). Lo zar era seguito dai suoi parenti, quindi dai principi, dai boiardi e dalla nobiltà. Ai laici e alla gente comune non era consentito di partecipare al corteo, che era strettamente sorvegliato.

Poco prima della sepoltura, tutti imploravano il perdono del defunto zar: una tradizione russa, proprio come il grande lutto. 

Durante i 40 giorni successivi alla sepoltura, i sacerdoti in cimitero recitavano senza sosta delle preghiere; e allo stesso modo, in tutte le chiese del paese si svolgevano quotidianamente, per 40 giorni, funzioni religiose per l’anima dello zar. Al termine dei 40 giorni veniva organizzata un’altra veglia funebre, durante la quale la famiglia reale distribuiva generose elemosine ai mendicanti e vagabondi. 

Curiosamente la morte di ogni zar scatenava un’ondata di criminalità. E l’amnistia concessa ai criminali nei giorni successivi al funerale era uno dei tanti modi con cui il potere statale faceva sfoggio della propria magnanimità: nelle settimane successive, infatti, ladri e briganti uscivano dalle carceri e tornavano alle loro attività. Ma tutto ciò venne spazzato via da Pietro il Grande.

Perché Pietro il Grande amava i funerali

Pietro il Grande amava partecipare ai funerali dei nobili russi e stranieri. Nel 1699 morì il suo amico e consigliere, Franz Lefort. Pietro pianse molto la scomparsa del suo amico, ma non alla vecchia maniera moscovita.

Lefort infatti fu sepolto secondo i riti funebri riservati ai nobili in Europa, con tanto di reggimento, orchestra funebre e diverse squadre di cavalli vestiti di nero. La posa della tomba fu accompagnata da un saluto di artiglieria e il discorso funebre fu letto dallo stesso Pietro. 

Le cerimonie funebri dei monarchi europei seguivano il modello di quelle utilizzate per i re di Francia. E Pietro decise che il suo funerale avrebbe seguito gli stessi riti. Nella tradizione francese, quando moriva il re venivano mandati in piazza due messaggeri per annunciare la triste notizia. Il primo messaggere, vestito in abito da lutto, proclamava: "Il re è morto!" e subito dopo il secondo, vestito in abito da lutto, esclamava: "Viva il re!". Sullo sfondo risuonava la fanfara. Questo atto simboleggiava la continuità del potere del regnante. In Russia (come in alcuni ducati tedeschi, da dove proveniva Franz Lefort) questa funzione fu svolta da due cavalieri. 

Il cavaliere in armatura color oro con la spada alzata simboleggiava la vita e la nuova monarchia; mentre il cavaliere in abito scuro con la spada rivolta a terra rappresentava la morte. L'ultima volta che due cavalieri presero parte a un corteo funebre fu per le esequie di Alessandro III (7 novembre 1894), l'ultimo funerale ufficiale di un Romanov al potere nella storia. 

Pietro proibì il lutto e il pianto ai funerali: da quel momento, le cerimonie dovevano essere solenni. Fu proprio lui a creare il nuovo modello sulla base del quale si sarebbero svolti i funerali. Il 4 aprile 1723 ordinò agli ambasciatori russi all'estero di inviargli le descrizioni dei funerali europei ai quali avevano partecipato. Sembra che l'imperatore, intuendo l'avvicinarsi della sua morte (soffriva di malattie alla vescica e ai reni), avesse pianificato in anticipo la propria cerimonia. “Testò” addirittura queste sue idee “rivoluzionarie” in occasione dei funerali di alcuni parenti. Pietro, infatti, amava partecipare ai funerali... soprattutto a quelli degli stranieri morti in Russia!

Secondo le nuove regole, l’estremo saluto al defunto diventava in tutto e per tutto una cerimonia in pompa magna e vennero introdotte anche alcune tecniche di imbalsamazione. Una delle prime reali russe a essere imbalsamate fu Natalia Alekseevna, la sorella minore di Pietro, verso la quale egli nutriva un forte affetto. Quando morì nel 1716, all'età di 42 anni, Pietro si trovava all'estero. Ordinò che il corpo di sua sorella fosse imbalsamato per potersi congedare al suo ritorno. Tornò dopo un mese e le diede l'addio. Il corpo, però, non fu esposto al pubblico: solo poche persone lo videro, ma a quanto pare il processo di imbalsamazione fu realizzato con successo.

Non si può dire la stessa cosa di quanto avvenne con Pietro: lo zar morì il 28 gennaio e fu sepolto il 10 marzo 1725. A distanza di 10 giorni dalla sua morte, il corpo divenne nero e iniziò a decomporsi: qualcosa nel processo di imbalsamazione era andato storto, forse a causa della natura stessa delle malattie che lo portarono alla tomba. 

Pietro morì a causa di una vescica infiammata, che si suppurò notevolmente prima della sua morte. I liquidi dell'imbalsamazione quindi non riuscirono a fermare la decomposizione, che continuò nel corpo dell'imperatore morto; ma sua moglie, la successiva imperatrice Caterina I, si rifiutò di seppellire Pietro prima del tempo previsto.

Come fu sepolto Pietro il Grande 

Il funerale di Pietro non ebbe precedenti per l’epoca: per l’organizzazione del rito ci si affidò a una Commissione Funebre, appositamente organizzata per l’occasione e guidata da Jacob Bruce (1669-1735), statista e scienziato, uno degli amici più intimi di Pietro. Il 30 gennaio, il corpo dello zar venne esposto in una delle sale del Palazzo d'Inverno per i parenti e gli statisti. L'8 febbraio Friedrich von Bergholz (1699-1765), che visse e servì in Russia, scrisse: "Il corpo dell'imperatore è già diventato molto nero e rovinato; non tutti possono vederlo".

Nonostante ciò, dal 13 febbraio la salma venne esposta in un'altra sala del Palazzo d’Inverno allestita a lutto: uno spazio più grande e appositamente decorato. Aveva una superficie di 200 metri quadrati ed era stata rivestita di tessuto nero. La cosa straordinaria fu la completa assenza di icone ortodosse russe nella sala. 

L'imperatore giaceva in una bara su un piedistallo, vestito con un abito cremisi con fili d'argento. Intorno alla bara vennero collocati i simboli dello Stato, le regalie originali dello zar, gli ordini e le decorazioni dell’imperatore. Furono collocate sculture allegoriche, piramidi, obelischi e dipinti. Sopra le sei porte che davano accesso alla sala furono sistemati gli stemmi di tutte le città russe. 

Una dozzina di generali, cortigiani e dignitari si alternavano per stare di guardia alla bara 24 ore su 24 (così come avveniva per le cerimonie sepolcrali degli zar di Mosca). L'accesso alla salma era consentito a chiunque, e la sala era sempre piena di gente semplice che piangeva e gemeva; nonostante Pietro lo avesse proibito, ogni giorno vicino al feretro riecheggiavano i pianti, le urla e i lamenti. 

A piangere più di tutti fu l’imperatrice Caterina I, che non passò neanche un giorno senza far visita alla bara esposta. Più tardi il vice ammiraglio François de Villebois (1681-1760) avrebbe detto: "Versava lacrime in quantità tali da sorprendere tutti, nessuno riusciva a capire come una tale riserva d'acqua potesse entrare nella testa di una donna. [...] Molte persone si recarono deliberatamente a palazzo nelle ore in cui l'imperatrice si avvicinava al corpo per guardarla piangere e piangere". A Caterina fu chiesto più volte di chiudere la bara, dalla quale si intravedeva il corpo dell'imperatore. Ma l'imperatrice, irremovibile, decise di seguire scrupolosamente gli ordini post-mortem del marito. A qualunque costo.

Pietro fu sepolto il 10 marzo. Al corteo - enorme! - parteciparono diverse migliaia di persone; si contarono 11.000 uomini solo tra i reggimenti di guardia. L’intera Pietroburgo venne decorata con i colori del lutto e durante la cerimonia i cannoni sparavano ogni minuto. 

L'ultimo addio si tenne nella Cattedrale di Pietro e Paolo, all'interno dell’omonima fortezza. Ma siccome la Cattedrale non era ancora stata completata, Pietro non venne effettivamente sepolto. La sua bara venne sistemata all’interno dell’edificio religioso e nel 1727 si aggiunse la bara di Caterina I. Solo il 29 maggio 1731 furono sepolti in una doppia cripta sotto la cattedrale. Ancora oggi le salme di Pietro e Caterina non potrebbero essere riesumate: per farlo, sarebbe necessario demolire la cattedrale di Pietro e Paolo.  

Pietro fu il primo monarca russo a essere fotografato dopo la sua morte. E non solo venne fotografato, ma ne ricavarono anche una maschera postuma. Jacob Bruce creò un album speciale dedicato alla cerimonia funebre dell’imperatore e un artista sconosciuto realizzò un’incisione di 30 metri raffigurante l’intero corteo. 

In tutto ciò i russi “risposero”... in un modo “molto russo”: nello stesso anno un artista sconosciuto creò il lubok "Topi seppelliscono il gatto" da vendere nelle fiere e nei mercati (il lubok era un genere di stampa popolare russa a uso delle classi meno abbienti, con racconti e notizie sotto forma di vignette, ndr). Questo lubok si prendeva chiaramente gioco dell'immagine del corteo funebre di Pietro. Per i russi di quei tempi, la nobiltà che piangeva il crudele e terrificante zar sembrava un topo in lutto per il gatto che fino a poco prima lo inseguiva per mangiarselo.